Quale ebraismo dopo Gaza?

Un tema che divide: la lealtà politica degli ebrei allo Stato di Israele

12 settembre 2025

La sukkà è la capanna al centro della Festa di Sukkot, espressione di unità nella fragilità (immagine generata con ChatGpt)

(ve/gc) In ampi settori dell’ebraismo, soprattutto di matrice liberale o riformata, è stata avviata la riflessione su come essere ebrei dopo il genicidio israeliano a Gaza. Tra i temi discussi figurano la lealtà politica allo Stato di Israele, ma anche le rotture etiche e politiche con cui l’identità ebraica si trova confrontata all’ombra dell’azione del governo israeliano e del suo esercito. 
Il noto giornalista statunitense Peter Beinart, direttore editoriale di Jewish Currents, con il suo ultimo volume ha avviato la discussione sulla “ridefinizione di ciò che significa essere ebrei”. Nel suo Being Jewish After the Destruction of Gaza: A Reckoning (New York, ed. Alfred A. Knopf), appena tradotto in italiano da Baldini&Castoldi (Essere ebrei dopo la distruzione di Gaza), invita al dialogo e ad una riflessione critica sulla narrazione ebraica, partendo da testi sacri e dalla storia, per aspirare a una tradizione basata sulla giustizia e l’uguaglianza.

Come riflettere sulle conseguenze dell’occupazione israeliana? Come far emergere le dinamiche storiche e politiche che hanno plasmato il discorso ebraico su Israele, in particolare per le giovani generazioni? Di questo si è parlato in occasione di un recente incontro promosso dal Dipartimento Religion and Public Life della Harvard Divinity School, alla presenza dell’autore Peter Beinart, incalzato dal professore di studi ebraici moderni Shaul Magid.

Per Peter Beinart qualsiasi analisi significativa dell’intera situazione mediorientale deve iniziare dall'oggettiva diseguaglianza giuridica e politica dei palestinesi. L’autore ha citato i dati demografici di Gaza evidenziando come la maggior parte dei residenti della Striscia sono rifugiati provenienti da villaggi che ora si trovano all’interno di Israele. "Se non si riconosce ciò - ha affermato -, la narrazione sulla sicurezza o sul terrorismo resta incompleta". Secondo lui Israele non ha un problema con Hamas, ma ha un problema con i palestinesi. "Non vuol dire che io non pensi che ciò che Hamas ha fatto sia orribile. Penso che il 7 ottobre Hamas abbia commesso crimini di guerra. Tuttavia - ha proseguito - se la vostra analisi su Israele e Palestina è su Israele e Hamas, avrete qualche problema a spiegare ciò che è successo prima del 1987, quando c’era già una resistenza armata palestinese”. Beinart ha poi osservato che gran parte della resistenza palestinese, prima e dopo la creazione di Hamas nel 1987, “è stata soprattutto nonviolenta”. 
In particolare Beinart ha puntato il dito contro il nazionalismo israeliano e la logica a esso soggiacente. “È quasi un cliché - ha affermato -, ma la visione di Israele è sempre stata: come avere quanta più terra possibile con il minor numero possibile di palestinesi”. Secondo lui “disumanizzare i palestinesi e l'insistere sul ruolo di vittime ci impedisce di riconoscere la dignità della vita”.

Le riflessioni di Beinart sugli attuali dibattiti intorno all’identità ebraica, soprattutto nel contesto statunitense, nascono dalla sua preoccupazione per la dominazione strutturale di Israele. L’autore ha parlato di un allontanamento dal mainstream politico, specialmente tra la popolazione ebraica statunitense più giovane, evidenziando un processo di polarizzazione che sta attraversando l’ebraismo tutto: “La tensione - ha affermato - è tra le forze che cercano di annullare il confine tra ebraicità e lealtà politica allo Stato di Israele e quelle che insistono sulla necessità di distinguere le due cose”.

Lui stesso ritiene che la sua identità di ebreo sia sempre più compromessa dal trattamento che il governo israeliano riserva ai palestinesi. Si tratta di una presa di coscienza dolorosa, perché nel corso del XX secolo, e soprattutto dopo la Shoah, gli ebrei sono stati incoraggiati a riporre la loro fede nel sionismo e in Israele, che promettevano loro sicurezza in uno Stato ebraico.

Una concezione sempre più ristretta dell’ebraicità, secondo Beinart, ha conseguenze tangibili in particolare per gli studenti ebrei convolti nella solidarietà con la Palestina. Tra gli esempi ha citato episodi in cui studenti ebrei, in occasione della festa di Sukkot, avevano costruito delle capanne per esprimere solidarietà con Gaza, senonché quelle succà sono state demolite dalle università. “Hanno letteralmente mandato persone armate di martelli per abbatterle”, ha detto Beinart. Invece di difendere l’azione degli studenti, espressione non violenta della propria religione, importanti organizzazioni ebraiche hanno applaudito la misura repressiva. Sono fatti come questi, ha detto Beinart, che lo hanno interpellato a prendere sotto la lente la comprensione delle attuali aspettative e classificazioni dell’ebraicità. La frattura del consenso politico intorno alla guerra, per Beinart, ha avviato una “ridefinizione di ciò che significa essere ebrei”.

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