La resistenza etica degli individui può fare la differenza
(reformes.ch) La Conferenza mondiale del movimento per il cristianesimo pratico, tenutasi a Stoccolma nel 1925 e nota altresì come Conferenza mondiale delle chiese di Stoccolma, si svolse nel contesto della prima guerra mondiale. Stabilì un programma ecumenico imperniato su giustizia, pace e riconciliazione. Cento anni dopo, la Commissione dei programmi del Centro internazionale John Knox ha organizzato un simposio sul tema della resistenza alla guerra e alle sue forme attuali.
L’evento ha avuto luogo il 12 settembre scorso al Centro internazionale John Knox di Le Grand-Saconnex (Ginevra). Esperti di vari settori hanno discusso sulle forme storiche e attuali di resistenza alla guerra e alla violenza. Sono state inoltre esaminate le dinamiche economiche e politiche che destabilizzano le democrazie e favoriscono la violenza estremista.
Laure Borgomano, ordinaria di lettere, titolare di un dottorato in filosofia (facoltà di teologia di Ginevra) e in semiologia del film (Università di Grenoble-Alpes), ex consigliera presso la Rappresentanza permanente della Francia alla NATO, al convegno è intervenuta per parlare delle modalità di resistenza alla guerra, ricordando che un’azione resta sempre possibile, anche dinanzi a conflitti sempre meno leggibili. Nel suo recente saggio per le edizioni "Labor et Fides", La Réserve. Pudeur, ressources et résistance par temps de crise. (La Riserva. Pudore, risorse e resistenza in tempo di crisi), Laure Borgomano sviluppa l’idea che ogni individuo dispone “di uno spazio transizionale” in grado “di ospitare in sé l’umanità”, da cui è possibile attingere, per mezzo di “va e vieni” permanenti, per affrontare la realtà traumatizzante dei conflitti. L’intervista è a cura di Camille Andres per réformés.ch.
Guerre permanenti, conflitti ibridi… Le nostre società sono in guerra?
Oggi viviamo in una situazione di guerra permanente, non ancora un conflitto aperto, in cui tutto può essere utilizzato come un’arma. È l’“arsenalizzazione” di tutto: commercio, immigrazione, salute, energia, informazione, digitale… Anche in una guerra aperta abbiamo questi strumenti, ma generalmente sono inquadrati dal diritto. In una situazione di guerra permanente non è possibile distinguere chiaramente tra aggressori e aggrediti, sapere se un attacco informatico è opera di una potenza straniera o no.
Come leggere questo mondo diffuso?
I civili sono ormai in prima linea. Anche nei conflitti aperti svolgono un ruolo importante. Non sono semplicemente vittime passive, ma attori delle guerre, volontariamente o no. Dalla loro capacità di resistenza etica dipende la risoluzione dei conflitti. Le minacce ibride hanno un effetto smobilitante. Ci sentiamo impotenti, insicuri. Il martellamento mediatico sui conflitti aperti (Gaza, Ucraina, Africa) angoscia e paralizza la riflessione. Non si riflette più su altri temi, sulle vulnerabilità che i conflitti provocano - da dove vengono le materie prime per i nostri telefoni, per esempio. Inoltre la delegittimazione di tutte le istituzioni di mediazione - sociali, politiche - e gli attacchi contro il diritto alimentano una forma di disperazione. Ma la resistenza etica individuale è inseparabile dalla presa a carico, attraverso la mediazione, delle istituzioni.
La spiritualità può essere una risorsa etica, una forma di “riserva”?
Assolutamente sì. il filosofo Gabriel Marcel (1889-1973), in una conferenza tenuta nel 1942, spiega che la speranza, qualità spirituale per definizione, è l’esperienza intima di una conversione interiore della nostra relazione con il tempo e con il mondo. La speranza implica una connessione con un tempo e uno spazio altri, qui e ora. Senza negare la realtà, l’orrore, la sofferenza, ma dicendosi che non è “il tutto” della realtà.
Come articolare resistenza etica individuale e lavoro collettivo nei conflitti?
Si tratta di riacquistare fiducia in noi stessi, di ripersuaderci che siamo antropologicamente, ontologicamente, spiritualmente dotati di capacità interiori di simbolizzazione per analizzare la realtà, avere accesso alla cultura, alla memoria, alla politica, per operare la differenza tra sé e gli altri. Essere dunque in grado di ritirarsi psichicamente e spiritualmente da una situazione per connettersi con la collettività. Le popolazioni civili sono di fatto incredibilmente resistenti e si adattano costantemente. Al di là della sopravvivenza quotidiana, l’investimento collettivo di tutto ciò che permette di ripensare nuove condizioni temporali e spaziali è fondamentale: creatività culturale, inventiva politica; tutto ciò si fa collettivamente. (Da: reformes.ch; trad.: G. M. Schmitt; adat.: G. Courtens)