Cresce l’antisemitismo, serve più prevenzione

Lo chiedono gli estensori del rapporto 2021 sull'antisemitismo

22 febbraio 2022  |  Gaëlle Courtens

Scarpe di bambini, Museo del Campo di concentramento di Auschwitz (foto: William Warby/unsplash)

La pandemia ha alimentato l’antisemitismo e ha favorito la banalizzazione della Shoah. Confermando il trend dell’anno precedente, anche nel 2021 in Svizzera c’è stato - soprattutto online - un forte aumento delle teorie complottiste antisemite in relazione al coronavirus. È quanto scaturisce dal rapporto sull’antisemitismo pubblicato oggi dalla Federazione svizzera delle comunità israelite (FSCI) e dalla Fondazione contro il razzismo e l'antisemitismo.

L'odio corre in rete

Nella Svizzera tedesca, italiana e retoromancia sono stati recensiti 806 casi in rete, con un aumento del 66%. Il 61% era concentrato su Telegram, in particolare negli ambienti degli oppositori alle misure sanitarie contro il Covid-19, dove circolano fantomatiche cospirazioni anti-ebraiche. Nel mondo reale, invece, gli episodi sono stati 53, contro i 47 dell'anno prima. Si tratta principalmente di dichiarazioni (49%), insulti (30%) e graffiti (13%), come quelli apparsi in febbraio sulla porta della sinagoga di Bienne. Nel 2021 non si sono verificate aggressioni fisiche. La situazione in Romandia è oggetto di un rapporto separato della CICAD (Coordination intercommunitaire contre l'antisémitisme et la diffamation), che giunge a conclusioni simili.

Fenomeni da combattere

“Proprio perché la gente stava più in casa c’è stata meno violenza fisica sulle persone", ha dichiarato alla RSI il vicepresidente della FSCI Ralph Friedländer, il quale ha aggiunto che probabilmente la tensione dovuta all’emergenza sanitaria ha alimentato un antisemitismo latente. Friedländer ha inoltre espresso preoccupazione per la banalizzazione della Shoah trasmesso da motti come "il vaccino rende liberi", ripreso dalla tristemente famosa scritta "Arbeit macht frei" all'entrata del campo di sterminio di Auschwitz. Il paragone fra misure antipandemiche e quanto accaduto nella prima metà del secolo scorso "non sta in piedi", ha affermato Friedländer, e “offende la memoria dei sopravvissuti della Shoah e dei loro discendenti”.
La Chiesa evangelica riformata in Svizzera (CERiS), nell'opuscolo “Dibattito sul coronavirus e vaccinazione. Prospettive etiche ed ecclesiastiche” pubblicato a fine 2021, aveva affermato: “L'abuso di simboli ebraici e di segni, espressioni e gesti nazisti è insopportabile, indegno di una società libera e inaccettabile all'interno della chiesa”.
Questi fenomeni, così come le teorie complottiste, vanno combattuti sul nascere, dicono gli autori del rapporto sull’antisemitismo, e invitano il mondo della scuola, lo Stato e la società civile a impegnarsi di più nella prevenzione.

Rita Famos e Ralph Lewin (foto: Christian Aeberhard/reformiert.info)

Contrastare l'antisemitsmo

Lo scorso 18 gennaio. la presidente della CERiS, pastora Rita Famos, e il presidente della FSCI, Ralph Lewin, hanno firmato un accordo che prevede una più stretta collaborazione tra le due istituzioni, anche nella lotta all’antisemitismo. A questo scopo è stato istituito un “Comitato di esperti per le questioni ebraico-protestanti". L'accordo si colloca nel solco del dialogo ebraico-cristiano avviato in Svizzera nell'estate del 1947, a Seelisberg, nel canton Uri. In quella occasione, un centinaio di leader religiosi si riunì in una Conferenza internazionale contro l'antisemitismo da cui scaturì il documento considerato fino a oggi la Magna Charta del dialogo ebraico-cristiano.

Nuovo osservatorio in Ticino

L’anno prossimo il rapporto annuale sull’antisemitismo si arricchirà di una sezione dedicata in particolare alla situazione nella Svizzera italiana. La Fondazione Goren Monti, in collaborazione con l’Università della Svizzera italiana (USI), ha deciso di aprire un’antenna in Ticino. Il rettore dell’USI, Boas Erez, intervistato dalla RSI, ha parlato della necessità di un lavoro più sistematico sul territorio.

"La vita quotidiana degli ebrei del Surbtal" - Segni dei Tempi

RSI

Gli ebrei in Svizzera

Perseguitati ed espulsi da ogni regione della Confederazione a partire dal 14. secolo, gli ebrei nel 1622 ottennero il permesso di risiedere nei due comuni argoviesi di Lengnau e Endingen. L’ufficiale giudiziario della contea di Baden aveva deciso di tollerare la loro presenza perché poteva esigere da loro imposte in cambio di protezione. Le famiglie ebraiche di Lengnau e Endingen dapprima potevano seppellire i loro morti solo su un’isoletta sul Reno. Siccome questo luogo, allora conosciuto come “l’isola ebraica”, fu inondato e devastato più volte, nel 1750 gli ebrei poterono costruire un cimitero vicino ai loro comuni di residenza. Quel cimitero, classificato come bene culturale di importanza nazionale, contiene circa 2700 tombe.
È grazie al pastore riformato di Zurigo Johann Caspar Ulrich (1705-1768) e alla sua raccolta di storie ebraiche pubblicata a Basilea nel 1768, che sono state tramandate molte delle vicissitudini dell’ebraismo svizzero di allora. Nel 1866 gli ebrei in Svizzera, grazie ad una votazione popolare, ottennero il pieno riconoscimento dei diritti civili.
Oggi in Svizzera vivono circa 20’000 persone di fede ebraica, pari allo 0,4% della popolazione. In Ticino, a partire dal 1919 si stabilirono a Lugano degli ebrei chassidici provenienti dall’Est europeo. Negli anni ’60 del secolo scorso venne costruita la sinagoga di via Maderno. I membri della comunità israelitica ticinese sono oggi sono circa trecento.

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