COP30 a Belém, l'importanza delle popolazioni indigene

Leader cristiani in vista dell'importante appuntamento sul clima in Brasile

29 ottobre 2025

Belém, Brasile (foto: Commons WikiMedia)

(agensir/ve) La COP30, in agenda a Belém (Brasile) dal 10 al 21 novembre, sarà “un’opportunità unica per porre le voci indigene al centro dei negoziati globali sul clima”: è quanto hanno affermato diversi leader cristiani in una recente conferenza stampa promossa dal Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) incentrata sul prossimo vertice in programma nell’Amazzonia brasiliana, parlando già di una “COP dei Popoli”, per via del ruolo di primo piano che si prevede sarà riservato alle comunità indigene.

Il vescovo luterano Heinrich Bedford-Strohm, moderatore del Comitato centrale del CEC, ha ricordato che il CEC ha lanciato il “Decennio Ecumenico per l’Azione per la Giustizia Climatica”. Le 356 chiese in 120 paesi, con 600 milioni di membri, daranno priorità all’azione per il clima nei prossimi dieci anni. “L’abbiamo deliberatamente chiamato decennio dell’azione per la giustizia climatica perché il cambiamento climatico, e la sua gestione, è una questione di giustizia”, ha affermato Bedford-Strohm. “Sappiamo tutti che coloro che hanno contribuito meno al cambiamento climatico sono le prime vittime, e questa è una questione di giustizia”.

Jocabed Solano, leader indigeno della nazione Guandule di Panama e membro della Commissione del CEC per la Giustizia Climatica e lo Sviluppo Sostenibile, ha sottolineato l’importanza dei popoli indigeni per le soluzioni climatiche. “Non c’è giustizia climatica senza giustizia per i popoli indigeni”, ha affermato. “I popoli indigeni dell’Amazzonia stanno lottando con la propria vita per preservare l’equilibrio della Terra”. Solano, che negozia per il Panama sulla transizione giusta, ha chiesto un’azione concreta: “Chiediamo impegni certi alla COP30 per la transizione al 100% di energia rinnovabile”.

L’arcivescovo anglicano di Belém, Marinez Rosa dos Santos Bassotto, ha descritto i gravi impatti climatici che colpiscono l’Amazzonia. “Da almeno tre anni stiamo vivendo una siccità estrema, con i fiumi della regione che si sono abbassati fino a 30 metri, è terribile. Alcune comunità sono completamente isolate, molte senza acqua potabile o cibo”.

Bedford-Strohm ha spiegato le ragioni teologiche che guidano il coinvolgimento delle chiese: “Crediamo che ogni essere umano sia creato a immagine di Dio allo stesso modo. E pensiamo che faccia la differenza se nelle nostre funzioni affermiamo che Dio è il Creatore di questa terra. Ciò significa che ogni essere umano ha lo stesso diritto di godere dei frutti della terra”.

L’augurio dei leader cristiani intervenuti alla conferenza stampa è che le voci indigene possano influenzare significativamente i negoziati principali. “La nostra speranza è che queste voci non vengano ascoltate solo nelle manifestazioni popolari, non solo nelle zone 'verdi' e 'gialle' della COP30, o negli eventi collaterali, ma che queste voci siano veramente al centro delle discussioni e dei negoziati”, ha affermato l’Arcivescovo Bassotto.

Le popolazioni indigene saranno accolte nella zona “blu” della COP30 di Belém, riservata ai negoziati ufficiali delle delegazioni nazionali ed internazionali accreditate con le Nazioni Unite? O quella rimarrà per loro una zona rossa?

Temi correlati

CEC Amazzonia clima

Articoli correlati