Gaza, le chiese al crocevia

A Chicago cristiani palestinesi chiedono di prendere posizione contro il genocidio - ne va della testimonianza del Vangelo

16 settembre 2025  |  Bob Smietana

(rns/ve) All’inizio di quest’anno Lydia El-Sayegh ha ricevuto la buona notizia che la sua amata nonna era riuscita a fuggire da Gaza. Sebbene fosse grata che la sua parente non si trovasse più in una zona di guerra, la notizia aveva per lei un sapore agrodolce. “È una benedizione e una tragedia”, ha detto venerdì, 12 settembre, la 25enne El-Sayegh, seduta su una panchina all’esterno della Parkview Community Church, nella periferia occidentale di Chicago. “Non avrebbe mai dovuto sperimentare tutto questo e men che meno essere costretta a lasciare casa sua”.
El-Sayegh è una delle tante voci palestinesi intervenute alla conferenza Church at the Crossroadsun evento di tre giorni organizzato recentemente a Parkview con lo scopo di sollecitare i cristiani affinché prendano posizione per i fratelli e le sorelle nella fede a Gaza. La speranza, nelle parole degli organizzatori, è di convincere i cristiani statunitensi a passare dal disagio per la guerra di Gaza all’azione concreta per porvi fine.

“Siamo al crocevia”, ha detto il teologo palestinese Daniel Bannoura (nella foto) ai circa 800 presenti giovedì scorso alla sessione di apertura della conferenza. “È il momento di compiere una scelta. Opteremo per la via della pace o per quella della violenza?”. Diversi relatori si sono detti esasperati di fronte all’atteggiamento dei cristiani che si dichiarano sgomenti per i sofferenti di Gaza ma poi si limitano a qualche preghiera. Bannoura ha detto che restare passivi non è un’opzione, dal momento che gli Stati Uniti hanno dato il loro sostegno alle operazioni militari di Israele a Gaza. “Se non fate nulla, state comunque facendo qualcosa”, ha detto. “Se siete negli Stati Uniti, allora siete complici”.

Gary Burge, studioso del Nuovo Testamento e autore di “Whose Land? Whose Promise?, ha respinto la nozione sposata dai cristiani sionisti secondo cui la Bibbia richiede ai cristiani di sostenere lo Stato moderno di Israele. Quella credenza, comune tra gli evangelicali, ha alimentato gran parte del sostegno incondizionato a Israele dei cristiani conservatori. “L’Israele moderno non è l’Israele biblico”, ha detto Burge, “sia chiaro”.

Anton Deik, direttore associato del Bethlehem Institute for Peace and Justice, è un cristiano palestinese che attualmente vive in Bolivia. Ha detto ai partecipanti alla conferenza che collegare l’Israele odierno alla storia biblica “è uno dei maggiori scandali teologici” e mira a giustificare la Nakba (l’esodo palestinese del 1948), ossia la “catastrofe”, quando - alla fondazione dello Stato di Israele - le milizie israeliane cacciarono i palestinesi dai loro villaggi. Tony Deik non è interessato alle discussioni sul diritto di esistere di Israele. Sebbene consideri ingiusta la fondazione dello Stato di Israele, interpellato da RNS ha detto che il fatto che Israele esista “è una realtà. La domanda è: come possono israeliani e palestinesi vivere insieme in pace? Viviamo insieme, che sia in due Stati o in uno”, ha aggiunto. Deik ha detto che Hamas si è resa colpevole di crimini di guerra durante gli attacchi del 7 ottobre e ha precisato che lui non sostiene Hamas. Ma ha anche chiesto la fine di quello che lui definisce il genocidio in atto a Gaza. Inoltre, lo preoccupa il fatto che i cristiani statunitensi ignorino la violenza e la sofferenza a Gaza. “È deplorevole che negli ambienti cristiani non si cerchi la verità - ha detto Deik, precisando -: non c’è l’impellente desiderio di conoscere la verità di ciò che sta accadendo”.

Tra tutti gli oratori è stato forse Munther Isaac, pastore luterano di stanza in Cisgiordania, a muovere la critica più acuminata al sionismo cristiano: “Sapete qual è il problema maggiore del sionismo cristiano? - ha detto -. Non c’è Gesù nel sionismo cristiano”. Isaac ha chiesto ai presenti di osservare un minuto di silenzio per commemorare Charlie Kirk, l’attivista e influencer conservatore ucciso mentre parlava nel campus dell’Università dello Utah. “In quanto cristiani piangiamo con coloro che piangono”, ha detto, aggiungendo che i cristiani devono respingere ogni violenza.

L’argomento di Isaac, che il sostegno dei cristiani statunitensi alla guerra di Gaza danneggi la testimonianza cristiana, è stato ribadito da Fares Abraham, ministro cristiano e CEO di Levant Ministries, che in Medio Oriente organizza eventi di evangelizzazione rivolti ai giovani. Ha chiesto ai partecipanti di pronunciarsi chiaramente contro la violenza a Gaza. “Ci sono in gioco la testimonianza del Vangelo e la testimonianza della chiesa”, ha detto Abraham. “Il mondo osserva per vedere come i cristiani reagiranno a questo male compiuto dagli uomini nella nostra amata terra d’origine”. Abraham, laureatosi alla Liberty University (oggi tra i punti di riferimento dell'estrema destra cristiana statunitense, ndr), si considera evangelicale e ha detto di auspicare il “trionfo del Vangelo”, quel Vangelo che promuove la pace, non lo spargimento di sangue. “In altre parole, vogliamo che le atrocità abbiano fine. Vogliamo che gli spargimenti di sangue abbiano fine, vogliamo che la fame e la carestia abbiano fine e, sì, vogliamo che gli ostaggi vengano restituiti alle loro famiglie”, ha detto, con riferimento agli israeliani nelle mani di Hamas.
Abraham ha raccontato in un’intervista del suo arrivo negli Stati Uniti all’età di 18 anni perché il pastore Jerry Falwell, fondatore della Liberty, gli offrì una borsa di studio dopo un incontro con suo padre in occasione di un viaggio in Terra Santa. Abraham ha detto di aver conservato molti amici alla Liberty nonostante le divergenze sul Medio Oriente. Più di tutto, ha aggiunto, vuole che altri cristiani si adoperino per la fine delle violenze in Medio Oriente e si concentrino sul messaggio cristiano di amore e di riconciliazione. “Voglio vivere in pace con tutti”, ha dichiarato.

El-Sayegh ha detto che a volte i cristiani negli Stati Uniti sembrano vedere i cristiani palestinesi e altri palestinesi come persone scomode, come mobili indesiderati di cui ci si può disfare. Ha affermato inoltre che Gesù è presente con il suo popolo, anche nella sofferenza. “Egli è a Gaza e sta sperimentando la perdita di ogni bambino e ogni morso della fame e il peso soffocante delle macerie, proprio come fece sulla croce”, ha spiegato. “È qui che sta risorgendo”. (da: RNS; trad. M. G. Schmitt; adat.: G. Courtens)

L'autore di questo resoconto è redattore dell'agenzia stampa statunitense Religion News Service. Per saperne di più clicca qui

 

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