Razzismo di Stato: il caso Wa Baile

Importante sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo

21 febbraio 2024

(immagine: stop-racial-profiling.ch)

(ve/gc) Ieri, 20 febbraio, la Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) ha dato ragione a Mohamed Wa Baile (49). Nove anni fa, alla stazione ferroviaria di Zurigo centrale, mentre andava al lavoro, fu fermato dalla polizia per un controllo di identità. Ma Wa Baile si rifiutò, perché considerava quel fermo basato su nient’altro che sul suo aspetto fisico. In gergo si parla di Racial Profiling, profilazione etnica. Per quel rifiuto di mostrare il suo documento d’identità gli fu inflitta una multa di 100 franchi. Ma Wa Baile ha contestato quella sanzione e, con l’aiuto di organizzazioni per i diritti umani, ha fatto ricorso, fino ad arrivare, dopo l’esaurimento di tutte le istanze giurisdizionali elvetiche, alla CEDU. All'unanimità i giudici di Strasburgo, nella loro sentenza di ben 50 pagine, hanno tratto altre conclusioni rispetto ai tribunali svizzeri: Le corti svizzere non avrebbero sufficientemente esaminato l’elemento discriminatorio di quel fermo e di quella multa. La Svizzera deve ora a Mohamed Wa Baile 23'975 euro di risarcimento danni.
Da più parti è stata già definita come “sentenza-faro”, non solo per la Svizzera, ma per tutti i governi degli Stati membro della CEDU, ai quali giunge un chiaro messaggio in tema di contrasto al Racial Profiling nelle forze dell’ordine, contro la discriminazione razziale.

La colpevolezza della Svizzera

La giurista di Amnesty International SvizzeraAlicia Giraudel, ha spiegato: “Il diritto e gli standard internazionali sono molto chiari. I controlli d'identità, i fermi e le perquisizioni possono essere effettuati solo se la polizia ha un ragionevole sospetto di reato e la discriminazione è vietata. Il profiling etnico viola i trattati internazionali ed europei sui diritti umani”.
Per Amnesty la Svizzera deve ora prendere provvedimenti per rivedere le proprie leggi, linee guida e pratiche, affinché siano in linea con gli standard internazionali. “Il caso deve servire come campanello d'allarme per tutti gli Stati europei, che devono assicurarsi di adempiere ai propri obblighi, impedendo attivamente alle forze di polizia di ricorrere a questo trattamento discriminatorio e diseguale", aggiunge Giraudel.

Vale la pena agire!

Mohamed Wa Baile (foto: stop-racial-profiling.ch)

L’Alleanza contro la profilazione razziale, co-fondata dallo stesso Wa Baile, è tra le organizzazioni che hanno portato avanti la procedura legale costata più di 100'000 franchi. La lotta contro il razzismo sistemico ed istituzionale, specialmente in relazione alle forze dell’ordine, richiede molto impegno, molti soldi e molta energia - ricorda l'organizzazione - per cui non tutte le vittime di Racial Profiling sono nelle condizioni di portare avanti simili battaglie giudiziarie. Nel loro comunicato stampa si legge: "Mentre la polizia per molte persone è sinonimo di sicurezza e gode di un alto grado di fiducia, molte altre persone, o di colore o percepite come ‘straniere’, sono quotidianamente al centro dell'attenzione della polizia ed esposte al rischio di essere fermate arbitrariamente, perquisite, di veder violata la propria dignità o addirittura di subire abusi fisici. Con il caso Wa Baile contro la Svizzera, Alleanza contro la profilazione razziale ha dimostrato che vale la pena agire contro il razzismo”. 

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