Il crollo del Credit Suisse in prospettiva riformata

Too big to fail: due punti di vista protestanti sulle implicazioni etiche

21 aprile 2023  |  Gaëlle Courtens

(foto: Bruce Warrington/unsplash)

Lo scorso 17 aprile il Consiglio della Chiesa evangelica riformata in Svizzera (CERiS) ha pubblicato una sua presa di posizione sulla vicenda che da settimane tiene banco nei media, scuotendo gli animi della popolazione elvetica: il crollo del Credit Suisse e l’operazione di “salvataggio” da parte del governo e della Banca nazionale svizzera (ne abbiamo parlato qui.)

Il Consiglio CERiS, nella sua prima riunione utile dopo l’annuncio sulle sorti del secondo istituto bancario svizzero da parte del Consiglio federale il 19 marzo, è dunque entrato nel dibattito con un testo di 10 domande e 10 risposte intitolato “Too big to fail” (per la traduzione italiana del documento clicca qui).
Dobbiamo imparare a tollerare l’ambiguità del mondo: queste, in sostanza, le conclusioni a cui giunge il documento. Di fronte a crisi espressione di altissima complessità, per il Consiglio della CERiS è impossibile dare la colpa in modo semplicistico all’uno o l’altro soggetto. “La personalizzazione della responsabilità ha un significato simbolico e si basa sull'illusione che l'identificazione dei presunti colpevoli porti all'eliminazione del crimine. In questo senso, le reazioni alla crisi climatica sono paragonabili a quelle nei confronti della crisi bancaria”, si legge al punto 10 del documento che così conclude: “Un modo costruttivo di affrontare le crisi consiste invece nel considerarle come specchi. La crisi ci sfida a comportarci non come osservatori e vittime di eventi e condizioni indesiderate, ma come partecipanti e attori responsabili”.

Ci chiediamo: qual è dunque lo spirito che sottostà al documento del Consiglio della CERiS?

“Il nostro intento è quello di contribuire alla riflessione su quanto è accaduto e fornire una propria valutazione - ci ha risposto la vicepresidente del Consiglio CERiS, l’avv. Catherine Berger -. Secondo la concezione riformata, non solo i cristiani appartengono contemporaneamente alla ‘comunità cristiana’ e alla ‘comunità civile’, ma hanno anche responsabilità in entrambi gli ambiti. Nella nostra Dichiarazione ‘Too big to fail’ abbiamo voluto offrire delle chiavi di lettura etico-politiche ed etico-economiche dei fatti, da una parte, e una riflessione etica in prospettiva ecclesiastica dall’altra”. 

Si può dire che lo stesso titolo da voi scelto, e cioè “Too big to fail”, solleva molteplici implicazioni etiche? In fondo, un istituto bancario considerato a prescindere “troppo grande per fallire”, non rischia di rischiare - scusi il bisticcio - oltre misura, tanto sa già che non fallirà mai del tutto?
La formula ‘too big to fail’ non costituisce un principio etico, ma nomina un problema: le imprese globali e i flussi di capitale sono inseriti in dinamiche di accentramento tali, da poter scatenare conseguenze economiche e sociali che impattano a livello nazionale e mondiale. La sfida è quella di non limitare l'etica alla sola analisi di azioni di singoli individui, bensì di tracciare un quadro più ampio che si riferisca ai processi sistemici. È questa la considerazione che ha portato il Consiglio della CERiS ad affermare che non c’è un solo o una sola responsabile a cui attribuire la colpa. Tuttavia, è importante creare condizioni quadro che impediscano a persone del tutto estranee alla vicenda di dover pagare per i danni di chi, nel migliore dei casi, non avrebbe mai condiviso con loro i proventi della propria attività economica.

È però esattamente quello che sembra succedere adesso. Cioè, vengono socializzate le perdite, mentre sono stati ampiamente privatizzati gli utili. Nel vostro documento “Too big to fail” vengono illustrate numerose questioni di ordine economico, finanziario, aziendale nel tentativo di spiegare come funziona il sistema. Al punto 8 appare il primo riferimento biblico relativo al noto passaggio sull’impossibilità di servire due padroni, Dio e Mammona. In tutto il documento, però, non viene fatto nemmeno un cenno al tema dell’avidità, dell’ingordigia, o della cupidigia, cioè, del profitto per il profitto. Eppure, esistono riferimenti biblici calzanti. Lo stesso Comitato Centrale del Consiglio ecumenico delle chiese nel 2009 pubblica una Dichiarazione sulla finanza equa e l'economia della vita, partendo dal versetto “E disse loro: "Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni” (Luca 12:15). Con la vostra presa di posizione ritenete di aver adempiuto al ruolo profetico della chiesa?
Il Consiglio CERiS si occupa di promuovere azioni che rendano possibile la vita buona nel senso della responsabilità reciproca e della solidarietà. Le banche, per mezzo della loro cultura aziendale, contribuiscono anche loro alla coesione sociale. Come si legge nel documento, va tenuto conto del fatto che le banche dipendono da condizioni che non hanno il potere di influenzare direttamente: la pace e la coesione sociale, il modo in cui interagiamo, la cultura dell'informazione e la volontà di partecipazione politica. Le fondamentali disuguaglianze nella distribuzione delle risorse e delle ricchezze tra i Paesi del Nord e del Sud, a cui fa riferimento il documento del CEC, riguardano noi e le nostre società. L'impegno per la giustizia, quindi, non può essere delegato al solo settore economico, ma riguarda l'intera società. Crediamo che sia più efficace essere solidali in prima persona, piuttosto che accusare gli altri di mancata solidarietà. In questo, la chiesa non ha un ruolo profetico. Il ministero profetico, secondo la comprensione biblica e riformata, si esercita a partire da un incarico personale conferitoci da Dio.

Abbiamo chiesto un parere sul documento della CERiS "Too big to fail", anche al teologo riformato Pierre Bühler, professore emerito di diverse facoltà teologiche, già presidente della Società svizzera di teologia. Recentemente ha redatto un “Manifesto” contro il silenzio delle chiese. Citando il preambolo della Costituzione federale: “la forza di un popolo si commisura al benessere dei più deboli dei suoi membri”, il teologo si augura che le chiese possano essere - in una relazione dialettica con le autorità statali - delle sentinelle profetiche, partendo proprio dai precetti evangelici della dignità umana, del rispetto per la vita e per la salvaguardia del Creato.

Professor Bühler, sulla vicenda del Credit Suisse il Consiglio CERiS ha diffuso una sua posizione il 17 aprile. Secondo lei, ha aspettato troppo per entrare nel dibattito?
Accolgo con favore il fatto che il Consiglio CERiS abbia pubblicato una sua posizione, anche se ultimamente è rimasto in silenzio su molte altre questioni importanti. Forse sarebbe stato auspicabile intervenire prima. Diverse inchieste giornalistiche avevano già evidenziato gli scandali del Credit Suisse e la perdita di fiducia che ne sarebbe conseguito. L'ottimo studio del 2010, redatto dalle chiese evangeliche dopo la crisi finanziaria del 2008 e a cui la CERiS fa riferimento, avrebbe potuto servire da base per svolgere un ruolo di monito nei confronti delle autorità federali e della loro inerzia. Ritengo che qui sia stato commesso quello che potremmo definire un “peccato di ommissione”. 

La presa di posizione “Too big to fail” della CERiS la soddisfa? 
Il documento contiene molti spunti di riflessione interessanti. Tuttavia, mi risulta difficile definirla una "presa di posizione”. Il testo non lascia spazio all'indignazione. Quella che potrebbe essere una puntuale critica etica viene sommariamente squalificata quale “minacciosa” e “moraleggiante”, e tacciata di “soluzione semplicistica”. Il testo invita soprattutto a comprendere la complessità dei meccanismi sistemici del mondo dell'impresa, ma sorprende la conclusione finale, secondo cui dovremmo imparare la "tolleranza dell'ambiguità"! Anche per questo motivo la questione di una regolamentazione più severa viene affrontata con estrema cautela: soprattutto, non deve portare alla "disattivazione dei meccanismi di mercato nel settore bancario". Ma non è proprio questo mercato incontrollato che ha portato a una crisi di fiducia? Inoltre, la presentazione di ciò che la Bibbia ha da dire sull'argomento rimane sommaria e superficiale: la critica di Gesù alla trappola di Mammona è forse troppo moralistica per essere messa in maggiore evidenza? Infine, trovo che chi afferma che "le crisi non sono eventi del mondo, ma interpretazioni del mondo" (Apocalisse 10) probabilmente non ha mai vissuto una situazione di crisi nella realtà.

In questi giorni circolava sui social il dipinto di Friedrich Dürrenmatt del 1966 "Ultima assemblea generale dell'Istituto bancario elvetico" (Creative Commons Wikipedia)

 

In occasione dell’ultima assemblea generale degli azionisti del Credit Suisse, svoltasi il 4 aprile nell’Hallenstadion di Zurigo, il presidente del Consiglio di amministrazione, Axel P. Lehmann, ha espresso rammarico per la situazione venutasi a creare, chiedendo scusa agli azionisti. Secondo lei è sufficiente?
No, non lo è. Il presidente, dal momento che chiede scusa, dovrebbe anche assumersi la responsabilità di quanto è successo. Cioè, dovrebbe riconoscere gli errori che sono stati fatti nella sua banca, gli errori di cui lui stesso si è macchiato, dovrebbe chiarire cosa esattamente sapeva. Nella liturgia si dice che non c’è perdono se non c’è anche la confessione di peccato. In questo caso un “mea culpa” chiaro e sincero ci stava tutto. Solo chiedere scusa non basta.

(Abbiamo anticipato un breve stralcio di quanto si potrà leggere sul prossimo mensile di “Voce evangelica” in uscita a maggio, e che dedica il suo Dossier proprio al crollo del Credit Suisse e alle implicazioni etiche che questa vicenda solleva).

Temi correlati

Credit Suisse finanza CERiS

Articoli correlati