USA. Cosa succede nelle chiese migranti di Washington DC?

Gli effetti della “securizzazione” voluta da Trump

22 agosto 2025  |  Aleja Hertzler-McCain e Jack Jenkins

WASHINGTON (rns) – Il primo fine settimana da quando il presidente Donald Trump ha chiesto la federalizzazione delle forze di polizia a Washington DC schierando la Guardia nazionale nelle sue strade, i leader religiosi delle chiese di immigrati dell’area hanno segnalato una frequenza inferiore rispetto al solito, un’ansia diffusa nei gruppi WhatsApp e paure crescenti dei parrocchiani per le notizie di arresti.
Domenica 17 agosto un usciere della messa serale al Santuario del Sacro Cuore nel quartiere di Washington Columbia Heights è stato fermato da agenti federali ad appena tre isolati dal luogo di culto verso il quale era diretto. Secondo il rev. Emilio Biosca Agüero, francescano cappuccino e parroco della chiesa, l’uomo è uno di sette parrocchiani attualmente in detenzione, tra i quali ci sono anche un uomo che stava seguendo un corso di preparazione al matrimonio e un cresimando. Nelle scorse settimane, ha detto, alcuni sono stati fermati mentre erano diretti in chiesa per le lezioni di catechismo.

La paura viaggia sui social
Le chat di WhatsApp della parrocchia si sono riempite di segnalazioni di avvistamenti di agenti dell’immigrazione e di avvertimenti ai parrocchiani, ha proseguito il religioso. Due uomini sono stati fermati venerdì davanti alla Sacred Heart Catholic School, associata alla parrocchia. Non erano parrocchiani, ma la notizia del loro arresto è stata diffusa su Facebook e quella sera soltanto poco più di 200 persone hanno preso parte in parrocchia alla celebrazione ecumenica in onore del parroco salvadoregno Óscar Romero – una funzione che solitamente attira parecchie centinaia di fedeli.
“Le persone che partecipano alla vita della parrocchia del Sacro Cuore sono operose, resilienti, rispettose della legge e devote, ripongono la propria fiducia in Dio e sperano che le leggi degli Stati Uniti tengano conto del loro contributo al miglioramento di questo paese”, ha detto Biosca della sua parrocchia, dove ogni fine settimana vengono celebrate sei messe in spagnolo, due in inglese e una rispettivamente in portoghese, in vietnamita e in creolo haitiano.
La preoccupazione, secondo il religioso, era crescente già prima dell’intervento federale. Stima che la frequentazione della messa negli ultimi due fine settimana sia calata di circa il 20%, passando da un livello abituale di 2.500 persone a meno di 2.000.
Alcuni leader religiosi dell’area di Washington DC, che come Biosca servono congregazioni composte in massima parte da immigrati, hanno parlato di un crescendo di inquietudine, paura e sdegno nelle loro comunità da quando agenti mascherati e soldati in uniforme sono diventati una presenza abituale nelle strade.

Giro di vite trumpiano
L’11 agosto Trump ha annunciato l’intenzione di inondare la città di agenti federali e di truppe della Guardia nazionale per dare un giro di vite a quella che ha descritto come una città invasa dal crimine violento e dai senzatetto. La mossa è stata decisa in seguito a un incidente occorso all’inizio del mese, in cui un ex membro dello staff del Dipartimento dell’efficienza governativa sarebbe stato aggredito e percosso. Trump ha definito “falsi” i dati che mostrano una drastica riduzione del crimine violento in città e ha invece ribadito che Washington DC è “totalmente fuori controllo”.
Il presidente ha poi annunciato la federalizzazione delle forze dell’ordine di Washington, schierando in città un gran numero di agenti di varie agenzie federali e della Guardia nazionale locale, con l’ulteriore spiegamento, nel corso della settimana, di militari di altri Stati. In pratica, i fermi di immigrati costituiscono la principale tipologia di arresti effettuati da quando è stato assunto il controllo, con oltre il 40% degli arresti eseguiti nei primi 10 giorni che rientrano in questa categoria.

Culti annullati
Almeno una chiesa ha annullato le funzioni a causa della crescente presenza di funzionari dell’immigrazione, i cui sforzi sono ora sostenuti da una maggiore condivisione delle informazioni con la polizia locale – una svolta rispetto alle precedenti politiche del distretto che scoraggiavano la collaborazione delle forze dell’ordine con l’agenzia federale.
Domenica il rev. Yoimel González Hernández, parroco della chiesa episcopale di St. Stephen and the Incarnation, a pochi isolati di distanza dal Santuario del Sacro Cuore, ha annunciato con un post pubblico su Facebook che per quel giorno il culto era annullato.
“Non avrei mai pensato che un giorno avrei annullato un culto domenicale perché non è sicuro per i nostri fratelli e sorelle latini venire in chiesa. Ma eccoci qui…”, ha scritto nel post, che è stato condiviso quasi 200 volte. “L’occupazione federale di Washington DC, con l’appoggio del Congresso e di altre autorità, non garantisce la sicurezza delle nostre strade e delle nostre comunità. Fanno sparire persone senza un giusto processo e violando i loro diritti”.
In un commento sotto il post il parroco ha aggiunto che domenica 10 veicoli dell’Immigration and Customs Enforcement, l’agenzia statunitense preposta al controllo delle frontiere e dei flussi migratori ICE, erano parcheggiati vicino alla chiesa, anche se era in corso la distribuzione del cibo nell’ambito del programma alimentare della chiesa “Loaves and Fishes DC”.
I responsabili della chiesa si sono astenuti dai commenti, ma quello stesso giorno un gruppo di agenti privi di identificativi è stato visto in un parcheggio dietro la chiesa di St. Stephen. Una persona del posto ha detto che il parcheggio è usato da un’altra chiesa sul lato opposto della strada, la Trinity AME Zion Church. Stando alle riprese e ai servizi postati dall’inviato di Zeteo Prem Thakker, gli agenti sono stati affrontati da un gruppo di residenti frustrati che ha intimato loro di andarsene, con uno di loro che ha gridato: “Siete nel parcheggio di una chiesa, andate via!”.
Interpellati in merito, i responsabili della Trinity AME Zion Church non hanno confermato la proprietà dell’area né hanno voluto commentare la situazione.

Immigrati tappati in casa
Diversi leader religiosi hanno scorto un parallelo tra questo fine settimana e i primi giorni della pandemia di coronavirus, con alcune famiglie di immigrati che si sono chiuse in casa, hanno rinunciato ad andare in chiesa e hanno fatto scorte di cibo pur di non uscire e rischiare la deportazione.
Adesso qualcuno sta già finendo le riserve alimentari, ha detto il rev. Julio Hernandez del gruppo interreligioso con focus sull’immigrazione Congregation Action Network. Qualcuno gli ha detto: “Vivo nella paura costante che vengano a bussare da me e mi portino via”.
“Ci è stato riferito di famiglie che non sanno dove si trovino i loro cari”, ha detto. “Non sappiamo se sono stati arrestati o se si stanno nascondendo”. Non compaiono nel database dell’ICE e la comunità ha altresì paura dei “malintenzionati che arrivano mascherati e molestano le persone e le feriscono”.

Situazione in chiaro e scuro
Gli effetti dell’intensificazione dei controlli in materia di immigrazione non sono stati percepiti in ugual misura in tutta la regione di Washington o nelle periferie della città, dove sono stati assegnati meno agenti federali.
Una persona che ha risposto al telefono della chiesa cattolica di St. Gabriel, nel quartiere di Washington Petworth, ha detto a RNS che in quel fine settimana la frequenza è calata, mentre a St. Camillus, una grande parrocchia con molti immigrati a Silver Springs, nel Maryland, una persona ha detto che non si è notato alcun impatto sulle presenze in chiesa.

Debra Anderson, direttrice della comunicazione della Potomac Conference Corporation of Seventh-day Adventists, organizzazione avventista, ha detto a RNS di aver contattato cinque chiese avventiste di Washington, tra cui una nel quartiere di Columbia Heights, e nessuna ha riferito di cali significativi nella frequenza a causa delle paure derivanti dalla condizione migratoria dei fedeli. Soltanto una ha registrato un leggero calo, ma i responsabili di quella comunità le hanno detto di non essere in grado di stabilirne con certezza le cause.
Il rev. Anthony Parrott, co-pastore principale della The Table Church, ha detto che la sua congregazione ha già sperimentato disagi a causa della presenza della polizia. Alcuni fedeli hanno preso a frequentare i culti in una sede distaccata della chiesa, lontana dal centro, ha detto, mentre altri hanno organizzato corsi di formazione su come reagire al meglio alle azioni della polizia in qualità di testimoni. Questi sforzi fanno seguito a una serie di condanne pubbliche espresse dai leader religiosi, anche locali, nei confronti del controllo federale sulle forze dell’ordine di Washington DC.

Azione interreligiosa
Mercoledì 13 agosto un gruppo di vescovi, rabbini e pastori ha firmato una dichiarazione congiunta in cui denunciano l’afflusso di agenti, affermando che “la paura non è una strategia per la sicurezza”.
“Dalla Casa Bianca il presidente vede un deserto senza legge”, si legge nella dichiarazione. “Ci permettiamo di dissentire. Noi vediamo esseri umani nostri pari – vicini, lavoratori, amici e familiari – ognuno fatto a immagine di Dio”.
Tra i firmatari la rev. Mariann Budde, vescova episcopale di Washington, e un ampio ventaglio di leader religiosi della città: ebrei, metodisti, luterani e presbiteriani.
Il giorno prima un gruppo di leader religiosi, tra cui il rev. Carlos Malavé della Latino Christian National Network, il rev. Julio Hernandez della Congregation Action Network e Sandra Ovalle Gómez, ha tenuto una veglia davanti al tribunale dell’immigrazione di Sterling, in Virginia, esortando i partecipanti a vestirsi di bianco nella tradizione del movimento delle madri dei desaparecidos, i dissidenti scomparsi durante la dittatura militare in Argentina negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso.
Il gruppo ha chiesto il rilascio delle persone rapite, detenute e scomparse, la fine della partecipazione della Guardia nazionale alle deportazioni e il libero accesso del pubblico alle udienze in nome della trasparenza. “C’è molta paura in questo momento”, ha detto Hernandez.
Molti leader religiosi non si esprimono “perché sono preoccupati delle conseguenze per le proprie comunità”, ha aggiunto. “Ci sono persone che durante la prima amministrazione Trump hanno manifestato nelle strade con noi e che adesso si rifiutano di farlo perché sono troppo spaventate”. Tra queste persone anche leader afroamericani che hanno paura della brutalità della polizia.
Hernandez ha proseguito: “Credo che stiamo condannando a morte le persone” se gli Stati Uniti le deportano in paesi d’origine o paesi terzi non sicuri. Il pastore battista ha detto di seguire l’esempio dei fratelli Berrigan, due preti cattolici e attivisti pacifisti durante la guerra del Vietnam, che lo hanno ispirato a chiedersi: “Che cosa siamo disposti a rischiare in questo momento per salvare delle vite?”.
“È ora che le comunità religiose, le organizzazioni comunitarie e i lavoratori a tutti i livelli inizino ad alzare la loro voce, poiché ciò che sta accadendo in questo momento è ingiusto e inaccettabile”, ha concluso Hernandez. (Trad.: G. M. Schmitt)

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