Redaelli: “La politica tace, le religioni richiamino l’umano e la giustizia”
(agensir/ve) Nel pieno di un’escalation che rischia di infiammare l’intero Medio Oriente, Riccardo Redaelli - tra i più autorevoli esperti italiani di geopolitica della regione - propone una lettura lucida e approfondita degli equilibri in gioco, tra logiche militari, tensioni politiche e implicazioni religiose. Dall’attacco israeliano alla risposta iraniana, dal crollo della diplomazia internazionale al ruolo delle religioni, Redaelli analizza le radici e gli scenari della crisi: “La geopolitica ha fallito sistematicamente. O si risveglia l’umano, o resterà solo la logica della forza”.
Radaelli è professore ordinario di Geopolitica e Storia delle istituzioni dell’Asia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove dirige il Centro di ricerca sul sistema Sud e il Mediterraneo allargato (CrisSMa). Esperto di Iran e mondo islamico, è autore di numerosi saggi sulle dinamiche politiche, religiose e strategiche del Medio Oriente. Ha svolto attività di ricerca sul campo in Iraq, Libano, Afghanistan, Pakistan e Iran. L'agenzia stampa SIR lo ha intervistato.
Nella notte tra il 12 e il 13 giugno, Israele ha lanciato l’operazione “Rising Lion”, colpendo più di cento obiettivi in territorio iraniano: impianti nucleari a Natanz e Fordow, basi missilistiche e centri di comando dei Pasdaran. Diversi alti ufficiali e scienziati sono stati uccisi. In risposta, l’Iran ha attaccato Israele il 13 giugno con oltre 150 missili balistici e droni, in parte intercettati dal sistema di difesa Iron Dome e da alleati regionali. Alcuni ordigni hanno colpito obiettivi nei pressi di Tel Aviv e Be’er Sheva, causando feriti e danni. La comunità internazionale ha convocato d’urgenza il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Intanto, crescono le preoccupazioni per una possibile estensione del conflitto al Libano, alla Siria e all’Iraq, dove sono attive milizie filo-iraniane.
Riccardo Redaelli, l’attacco israeliano all’Iran segna l’inizio di un conflitto bilaterale o l’innesco di una crisi regionale più ampia?
Il rischio è che diventi un conflitto regionale. Inizialmente è stato Israele ad attaccare un altro Stato.
Israele è uno Stato nucleare che da anni afferma di voler impedire all’Iran di ottenere l’arma atomica. Netanyahu ha deciso l’attacco mentre erano ancora in corso trattative: l’Iran non è vicino alla bomba, ma solo all’arricchimento dell’uranio a fini militari.
Secondo Gerusalemme, si trattava di un’azione preventiva contro il programma nucleare iraniano. Una narrazione credibile?
I rapporti dell’intelligence americana affermano che l’Iran non stesse fisicamente costruendo un ordigno nucleare, che è un processo ben più complesso. L’attacco è stato quindi una scelta politica deliberata, legata anche alla situazione interna israeliana: quando è in difficoltà Netanyahu ricorre alla guerra.
La reazione dell’Iran ha sorpreso molti osservatori. Lei come la interpreta?
È un regime oppressivo, ma ha reagito con maggiore efficacia di quanto ci si aspettasse. Nemmeno Israele si attendeva che lo scudo difensivo venisse penetrato. È un elemento significativo.
Cosa ci dice il fatto che questa volta i Paesi arabi non abbiano sostenuto Israele come in passato?
Dice molto. Nei precedenti attacchi missilistici iraniani erano intervenuti anche Paesi arabi e occidentali per aiutare Israele. Questa volta no. Un po’ per la presunzione dello Stato israeliano che ha dichiarato di bastare a se stesso. Un po’ perché il mondo arabo è oggi molto meno allineato su posizioni filo-israeliane rispetto al passato.
Lei parla spesso di una “resistenza” iraniana più che di una forza reale. Cosa intende con esattezza?
Israele ha una superiorità militare totale. L’Iran si era illuso di poter esercitare una deterrenza asimmetrica, con missili e milizie regionali. Ma Israele ha neutralizzato le milizie filo-iraniane e fortemente ridimensionato il programma missilistico. L’Iran oggi può solo infliggere fastidi, non controbilanciare la potenza israeliana.
L’eliminazione dei vertici dei Pasdaran può incrinare gli equilibri interni della Repubblica islamica?
Ne dubito. Il regime è profondamente impopolare: almeno tre quarti degli iraniani vorrebbero vederlo cadere. Ma non esiste un’opposizione organizzata capace di sfidarlo. E finché ci sono centinaia di migliaia di Pasdaran e Bassiji disposti a sparare sulla propria gente, il potere regge.
Anche la decapitazione della leadership non basta?
No, perché non si elimina un regime abbattendo i suoi vertici. Peraltro, quei vertici erano già fortemente contestati all’interno. La vecchia guardia dei Pasdaran, vicina a Khamenei, era corrotta, ammorbidita dal potere e dal denaro. Una nuova generazione li disprezzava, e ora può emergere. Ma non è detto che sia un bene. Anzi, rischia di essere peggio: più ideologica, più dura, più fanatica.
Intanto, sulla Striscia di Gaza la guerra prosegue. Con quali caratteristiche, secondo lei?
A Gaza si combatte una guerra di generali contro gente affamata, per lo più bambini. È il massacro di una popolazione privata di cibo, cure, medicinali.
Qual è il disegno politico che sta dietro a questa escalation?
Realizzare il sogno inaccettabile dell’estrema destra israeliana: l’“Israele biblico”.
Esiste ancora uno spazio credibile per la mediazione internazionale?
L’Unione europea è purtroppo pateticamente irrilevante. Le crisi in Ucraina e Medio Oriente potevano rappresentare una svolta, ma l’Europa non ha saputo coglierla. Gli Stati membri restano divisi, e il rappresentante per la politica estera è concentrato solo sulla Russia.
Gli Stati Uniti possono ancora esercitare un ruolo di contenimento?
Con o senza Trump, restano incoerenti: dicono una cosa, ne fanno un’altra. Fingono di negoziare, ma lasciano mano libera a Israele per condurre una guerra folle. Chi ha i mezzi non ha la volontà; chi ha la volontà non ha i mezzi. Il risultato è la paralisi morale della diplomazia.
Ha ancora senso, in questo contesto, parlare di pace?
Sì, perché deve restare uno spazio per la pace. Le iniziative religiose vengono spesso derise come ingenue.
Ma la verità è che la politica ha fallito. La geopolitica ha fallito sistematicamente. I leader religiosi – cristiani, musulmani, ebrei – devono continuare a proporre una visione diversa, fondata sull’umanità, la giustizia, la compassione.
Ha visto segnali concreti in questa direzione?
Leone XIV e il Vaticano hanno avuto un ruolo importante, ad esempio nello scambio di prigionieri e feriti. Non hanno fermato la guerra, ma hanno aperto spiragli. Questo è fondamentale. Perché al di là dei calcoli politici, serve un appello alla parte migliore dell’essere umano.
Un appello che vada oltre la religione e chiami in causa l’umano…
Esatto. Non voglio dire che la religione sia per definizione la parte migliore, ma può evocare valori profondi: compassione, giustizia, dignità. Se li perdiamo, restano solo algoritmi e logiche di potere. Diventiamo macchine, e il mondo diventa un gioco tragico senza volto.
L'intervista a Riccardo Redaelli è stata condotta da Riccardo Benotti di AgenSIR il 14 giugno 2025.