Lo ha detto in una intervista a ref.ch la prima protestante svizzera
(ve/ref.ch) Rita Famos, presidente della Chiesa evangelica riformata in Svizzera (CERiS), ritiene che l'Ucraina abbia il diritto di difendersi con le armi. Ciò non impedisce alla pastora Famos di continuare a credere nell'importanza di mantenere aperto il dialogo con la Chiesa ortodossa russa.
Mentre la guerra in Ucraina è entrata nel suo secondo anno, la pastora Famos, in una intervista rilasciata a ref.ch riflette non solo sul ruolo della Chiesa ortodossa russa al fianco di Vladimir Putin, ma anche sulla posizione assunta dal 24 febbraio 2022 dal Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), organismo con sede a Ginevra, che tra le sue 352 chiese membro sparse in tutto il mondo annovera anche il Patriarcato di Mosca.
Pastora Famos, molte persone in Svizzera, soprattutto nelle parrocchie, hanno accolto i rifugiati ucraini. È in contatto con qualcuno che è fuggito?
Solo indirettamente. A Uster (ZH), dove vivo, molte persone aiutano le donne ucraine. Anche alcuni miei amici hanno accolto dei rifugiati.
Come stanno?
Il peso psicologico dei rifugiati e di chi li sostiene è enorme. Mi colpisce molto. Credo sia importante ascoltare anche le persone che danno rifugio ai rifugiati. Perché a volte raggiungono i loro limiti.
Ai rifugiati ucraini è stato concesso lo status di protezione S. Ci sono state lamentele per la disparità di trattamento nel sistema di asilo. Gli altri rifugiati dovrebbero ottenere lo stesso status?
Questa è stata una delle questioni sollevate negli ultimi colloqui con la Segreteria di Stato della Migrazione (SEM). In concreto, si tratta di rivedere i vari permessi di soggiorno per i rifugiati. Ci auguriamo che la nuova ministra della Giustizia, la consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider, trovi presto il tempo per portare avanti questa faccenda.
Un'altra questione politica è quella delle forniture di armi. Stati come la Germania volevano fornire all'Ucraina armi prodotte in Svizzera. È necessario rivedere la legislazione svizzera a questo proposito?
Non spetta alla CERiS commentare la posizione politica della Confederazione sulla neutralità. Una cosa mi sembra chiara: l'Ucraina ha il diritto di difendersi. Anche con le armi. Non si può parlare di neutralità nel caso di violazioni dei diritti umani e di interventi contrari al diritto internazionale. Non sono mai stata una sostenitrice del “pacifismo assoluto”, che vuole abolire l'esercito, ad esempio. Uno Stato deve essere in grado di proteggere e difendere il proprio popolo. Questo non è in contraddizione con il lavoro per la pace.
La sua omologa Annette Kurschus, presidente della Chiesa evangelica in Germania (EKD), si è espressa chiaramente a favore della fornitura di armi. (Lo ha ribadito proprio ieri, intervenendo al talk-show della conduttrice Anne Will della ARD, ndr). Lei, pastora Famos, sembra avere più riserve su questo fronte.
Penso che sia giusto e positivo che Annette Kurschus si sia espressa così chiaramente. Ha scelto parole molto sagge quando ha detto che il comandamento "Non uccidere" significa anche che non dobbiamo stare a guardare quando vengono uccise persone innocenti e indifese. A differenza della Svizzera, in quanto Paese della NATO, la Germania deve affrontare sfide completamente diverse. Noi possiamo sostenere attivamente le chiese in Ucraina nella promozione della pace.
Può spiegarsi meglio?
A un certo punto, l'Ucraina dovrà essere ricostruita. Le diverse chiese ortodosse del Paese sono giustamente chiamate a svolgere un ruolo di primo piano nell'opera di riconciliazione e ricostruzione. Il Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) intanto può cercare di portare le chiese in Ucraina a sedersi allo stesso tavolo. Una cosa deve essere chiara: il lavoro di pace è un lavoro difficile. Richiede molte discussioni e mediazioni.
Lo scorso 24 febbraio, il giorno in cui un anno fa era iniziata l'invasione russa dell'Ucraina, le chiese in Svizzera hanno invitato a pregare per la pace. A quale scopo?
La preghiera comune dovrebbe unirci e rafforzare la nostra speranza e la fiducia di camminare insieme - e con Dio - in questi tempi difficili. Vogliamo garantire che la solidarietà con il popolo ucraino qui, ma anche in Ucraina, non venga meno.
Pregare va benissimo, ma cos'altro fa CERiS per le persone che fuggono dalla guerra?
Abbiamo istituito un gruppo di lavoro. Per esempio, abbiamo invitato un dipendente dell'Aiuto svizzero ai rifugiati (OSAR), che ci ha portato la sua esperienza nell'accompagnamento dei rifugiati. Esperti del governo federale ci hanno anche spiegato cosa significa lo status di protezione S e perché i rifugiati ucraini lo ricevono mentre altri no. Abbiamo trasmesso queste informazioni alle nostre chiese membro. Abbiamo anche organizzato un corso online per i pastori e le pastore. Le persone che sono fuggite sono spesso molto religiose. Nell'ambito di questa formazione, esperti di ortodossia hanno spiegato di cosa dovrebbero tenere conto gli operatori pastorali e qual è la situazione delle chiese ortodosse in Ucraina.
A ottobre lei ha criticato Ioan Sauca, allora segretario generale del CEC, per aver incontrato a Mosca il patriarca Kirill, leader della Chiesa ortodossa russa che sostiene la guerra di Putin. Cosa è successo da allora?
La mia critica non era rivolta all'incontro in sé, ma al comunicato stampa diffuso dal CEC dopo la conversazione tra l'allora segretario generale Ioan Sauca e il Patriarca Kirill. Non era specificato se Sauca avesse criticato la posizione teologica di Kirill. Da allora, il nuovo segretario generale Jerry Pillay in un'intervista ha chiaramente condannato la guerra della Russia contro l'Ucraina, contraria al diritto internazionale, nonché l'atteggiamento di sostegno del Patriarca.
Ma è sufficiente?
No, è necessario fare di più e le cose si stanno muovendo in seno al CEC. Attualmente sono in corso dei preparativi per una tavola rotonda con i rappresentanti delle chiese di Russia, Ucraina e paesi limitrofi. Inoltre, Jerry Pillay sta programmando un viaggio a Mosca. In quella sede il concetto della nozione di "guerra giusta" espressa dalla leadership della chiesa ortodossa russa dovrebbe essere messa in discussione. Anche se non credo che il Patriarca Kirill e i suoi sostenitori cambieranno la loro posizione, su questo è tuttavia imperativo mantenere il punto con la Chiesa ortodossa russa.
Le critiche sembrano rimbalzare sulla Chiesa ortodossa russa. In queste condizioni, che senso hanno ancora queste discussioni?
Resistenza e critica hanno tempi lunghi. Un anno è un periodo molto breve. Non credo che riusciremo a far cambiare posizione a Kirill. È stato vicino a Putin per anni. Allo stesso tempo, il CEC è l'unico luogo in cui la Chiesa ortodossa russa deve ascoltare altre posizioni.
In una recente intervista, Jerry Pillay ha dichiarato che la leadership della Chiesa ortodossa russa non sostiene in alcun modo la guerra. Sembra assurdo.
Sì, in effetti, questa affermazione solleva delle perplessità e contraddice ciò che ha detto nella stessa intervista, ovvero che il CEC non smetterà di criticare l'atteggiamento della leadership della Chiesa ortodossa russa. Ho intenzione di chiedergli come sia arrivato a questa strana affermazione. Ci sono voci critiche nella Chiesa ortodossa russa, ma non provengono dalla leadership. Personalmente chiedo che il CEC si adoperi per sostenere la resistenza intraortodossa all'attacco della Russia contro l'Ucraina. Per esempio, Kirill intende sanzionare i suoi sacerdoti critici nei confronti della guerra. Il CEC deve ricordare che la critica deve essere possibile all'interno di una chiesa.
Il presidente del Consiglio della Chiesa riformata di Zurigo, Michel Müller, ha chiesto se non sia giunto il momento per la CERiS di rinunciare alla sua membership al CEC. È una questione all'ordine del giorno?
Spero di no. Sarebbe troppo facile tagliare il contributo delle ricche chiese svizzere al CEC per sottrarci al dibattito teologico. Il CEC non è un'associazione ecclesiale, ma una piattaforma per lo scambio teologico. Le differenze tra le denominazioni membro del CEC sono considerevoli. Essere membro del CEC significa affrontare queste differenze. Anche se non è sempre facile: il protestantesimo svizzero ne fa parte. (trad. e adat.: G. Courtens)