1971. Le donne entrano a Palazzo Federale

Tra le prime parlamentari elette c’era la teologa Hanna Sahlfeld-Singer

25 febbraio 2021

Sopra l'ingresso di Palazzo federale a Berna sventolano le bandiere dedicate ai 50 anni dall'introduzione del suffragio femminile in Svizzera (foto: Twitter: @ParlCH)

(Susanne Wenger) Il giorno in cui le donne svizzere divennero cittadine a pieno titolo può essere datato con precisione: era il 7 febbraio 1971. Con una votazione storica le svizzere ottennero il suffragio attivo e passivo, con il diritto di voto e di eleggibilità a livello federale. Da quel momento in poi potevano cioè partecipare a votazioni ed elezioni e candidarsi al Parlamento, sottoscrivere iniziative popolari e referendum. La cosa notevole è che furono gli uomini a deciderlo, perché fino ad allora tutti i diritti politici spettavano a loro soltanto. 

Ancora nel 1959 con quasi il 70% di no gli uomini respinsero il suffragio femminile a livello federale. Dodici anni dopo la futura consigliera agli Stati zurighese Emilie Lieberherr a una grande manifestazione sulla piazza federale aveva annunciato: “Siamo qui non per implorare, ma per rivendicare”. Due uomini svizzeri su tre depositarono un sì nell’urna. Già nell’autunno del 1971 ebbero luogo le prime elezioni con la partecipazione delle donne. Undici consigliere nazionali e una consigliera agli Stati furono “elette con onore”, come riportò il Cinegiornale svizzero.

Il racconto della pioniera

Due di queste pioniere sono in vita ancora oggi: la vallesana Gabrielle Nanchen e la sangallese Hanna Sahlfeld-Singer, entrambe socialdemocratiche. Hanna Sahlfeld vive in Germania, paese di provenienza del marito. All’epoca dell’elezione in Consiglio nazionale la teologa aveva 28 anni ed era madre di un bambino di un anno.

“Il primo giorno a Palazzo federale fu emozionante” ricorda la 77enne a colloquio con la Schweizer Revue. Al suo primo ingresso nel centro del potere federale a Berna fu dapprima indirizzata verso l’entrata dei visitatori di Palazzo federale. Ancora oggi ride dell’aneddoto. Tuttavia l’episodio illustra quali resistenze occorreva ancora superare.

Una donna pastora riformata con la volontà di trasformare la politica, una madre lavoratrice e sposata con uno straniero: “Era troppo per molte persone”, osserva Sahlfeld. Nei discorsi per la festa nazionale del 1970 aveva fatto propaganda per il suffragio femminile, suscitando accese reazioni. Non fu però confrontata direttamente con le critiche: “Le persone sapevano che non potevano farmi cambiare idea”. Fu piuttosto il marito, pastore anche lui, a doverne sentire parecchie. Ma lui l’ha sempre sostenuta, dice Sahlfeld.

Costretta a rinunciare alla professione

Hanna Sahlfeld-Singer (foto: parlament.ch)

Hanna e Rolf Sahlfeld avevano intenzione di condividere incombenze educative e lavoro fuori casa. Il loro modello di famiglia non corrispondeva a quello allora usuale. Hanna Sahlfeld-Singer, originaria di una famiglia della classe operaia e proveniente dalla Svizzera orientale, con l'accettazione del mandato in Consiglio nazionale dovette rinunciare al ministero pastorale. Così esigeva la legge, secondo un antico residuo del Kulturkampf, la lotta tra Chiesa e Stato. La norma era stata pensata per i preti cattolici: “Per cento anni nessuno ha pensato a una giovane donna”. Per potersi impegnare in politica Hanna Sahlfeld dovette assumere da quel momento in poi i compiti tradizionalmente non remunerati della moglie di un pastore. In qualità di consigliera nazionale si impegnò tra l’altro per una migliore copertura sociale delle donne e per la riduzione della velocità sulle strade.

Nel 1972 divenne madre per la seconda volta, prima consigliera nazionale in carica a partorire durante il mandato. I media riportarono l’evento e accennarono al fatto che poiché il padre era straniero i bambini non avevano la cittadinanza svizzera. La stessa Hanna Sahlfeld era rimasta svizzera solo su esplicita richiesta quando si era sposata. Una penalizzazione delle donne che riguardava molte famiglie binazionali. La norma venne abolita nel 1978. “Da allora anche molte svizzere all’estero hanno potuto riottenere la cittadinanza svizzera per i propri figli”, afferma Sahlfeld.

Tanto nuovo quanto audace

(foto: Twitter: @ParlCH)

In materia di diritti politici delle donne la Svizzera era il fanalino di coda dell’Europa insieme con Portogallo e Liechtenstein. A titolo di paragone la Germania aveva introdotto il suffragio femminile nel 1918, la Francia nel 1944, alla fine delle guerre mondiali con i loro sconvolgimenti. In Svizzera ciò non avvenne e il suffragio femminile dovette superare l’ostacolo del voto. Tuttavia ciò non spiega del tutto perché proprio in una delle più antiche democrazie ci volle così tanto tempo. Nel suo libro “Jeder Frau ihre Stimme” (“A ogni donna la sua voce”), pubblicato nel 2020, la storica Caroline Arni giunge alla conclusione che privare le donne dei diritti politici è stata in Svizzera una decisione ripetutamente presa e confermata: “Non si tratta di un ritardo dovuto a dimenticanza, né di una balbuzie nel motore della modernità”. La “cultura della solidarietà maschile” in Svizzera, influenzata dagli antichi miti fondatori della Confederazione, è stata corresponsabile, aggiunge il politologo Werner Seitz. C’era anche, trasversale ai ceti sociali, l’idea di un ordine di genere prestabilito. 

La giurista Emilie Kempin-Spyri se ne rese conto già nel 1887. Poiché, in quanto donna, era priva del diritto di cittadinanza attiva, non poté fare la giudice. Fece ricorso al tribunale federale, ma senza successo. La sua argomentazione che il diritto di voto inscritto nella Costituzione includesse anche le donne fu definita dal giudice “tanto nuova quanto audace”.

Un prezzo personale da pagare

Hanna Sahlfeld-Singer nel 2018

Al volgere del secolo sempre più donne - e uomini - cominciarono a impegnarsi a favore del suffragio femminile. Il governo tardava ad affrontare la questione, mentre singoli cantoni procedevano con determinazione sui propri territori. E con i sommovimenti sociali della fine degli anni ‘60 anche il governo federale dovette arrendersi. Appenzello Interno fu l’ultimo cantone a introdurre il suffragio femminile, nel 1990, su diktat del Tribunale federale.

“C’è voluta sempre molta volontà, in tutto”, osserva Hanna Sahlfeld. Nel 1975 fu rieletta con un risultato brillante, ma poi rinunciò al mandato. A causa del suo impegno politico suo marito non riusciva più a trovare lavoro nella Svizzera orientale. La famiglia lasciò la Svizzera e si trasferì in Germania, nei pressi di Colonia. Hanna Sahlfeld è una delle pioniere che a Palazzo federale spianarono la strada alle successive generazioni di donne. Oggi, per rendere loro omaggio, sono state applicate targhe commemorative ai loro banchi di un tempo. “È valsa la pena lottare”, è il bilancio di Sahlfeld, anche se lei e suo marito hanno dovuto pagare un prezzo personale al riguardo. In termini di parità di genere oggi molto viene dato per scontato, tuttavia: “Se le donne non si tengono stretto ciò che hanno acquisito, rischiano di perdere tutto di nuovo rapidamente”. (Da: Schweizer Revue; trad.: G. M. Schmitt; adat.: G. Courtens)

"Le chiese e il suffragio femminile", Segni dei Tempi RSI La1

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