Le donne nelle religioni

Le religioni hanno messo le radici in un terreno culturale patriarcale

30 agosto 2020

(Nadine Weibel) Compagni del Buddha, apostoli di Cristo o primi califfi: i fondatori, ma anche i principali propagatori, trascrittori e commentatori delle grandi religioni sono stati uomini. Pur presenti nella storiografia religiosa, le donne sono state a lungo relegate a funzioni di riproduttrici e di guardiane del focolare. Le religioni hanno messo le radici in un terreno culturale patriarcale e sono il riflesso dei sistemi organizzativi di culture che escludevano le donne dalla sfera sociale.
Spesso poco o per niente istruite, l’accesso ai testi era per loro difficile. Sono inoltre le eterne assenti dall’elaborazione delle leggi religiose, in tutte le tradizioni, e sono escluse dalle funzioni sacerdotali: soltanto gli uomini brahmani possono svolgere le funzioni di preti nell’induismo e analogamente esse non ricoprono ruoli direttivi nella sinagoga. In quanto alla funzione di imam davanti a una assemblea mista, essa è esclusivamente maschile.

Il cristianesimo e le donne
Nel 1992 Giovanni Paolo II riafferma l’esclusione delle donne dall’ordinazione sacerdotale. Principale motivazione addotta: l’impossibilità per una donna di compiere l’atto eucaristico, in cui il prete, per la sua mascolinità, rappresenta “la persona di Cristo”. Le chiese protestanti hanno iniziato ad ammettere il pastorato femminile soltanto nel 20. secolo e la prima pastora della chiesa nazionale protestante di Ginevra fu Marcelle Bard, nominata nel 1929.

Relegate alla sfera privata
Lo spazio privato costituisce la sfera femminile per eccellenza in tutte le tradizioni religiose, che esaltano il ruolo di sposa e di madre delle donne. È a loro che spetta l’educazione dei figli e la preparazione dei pasti, una responsabilità indiscutibile nel caso del rispetto dei divieti alimentari: pratiche della quaresima, alimentazione kosher o halal, rispetto delle proibizioni nell’induismo.
La nozione di purezza legata al corpo delle donne attraversa i differenti spazi religiosi e dipende dal ciclo femminile, dal momento che nel periodo delle mestruazioni le donne, percepite come fonti potenziali di sozzura e di disordine, possono essere escluse da certe azioni quotidiane. È così per la quintupla preghiera quotidiana nell’islam e per la circumambulazione intorno alla kaaba durante il pellegrinaggio alla Mecca; nell’induismo è loro proibito preparare i pasti e nell’ebraismo e nell’islam di avere rapporti sessuali.

Jacqueline Straub, dalla palestra all'altare (Segni dei Tempi RSI La1)

Il corpo nascosto
Il corpo femminile è sottomesso a regole religiose che si traducono in tentativi di confisca, di dissimulazione o di emarginazione. È così che le nozioni di pudore e di modestia sono associate a qualità femminili fortemente incoraggiate. Pertanto l’occultazione del corpo femminile può declinarsi nella copertura della capigliatura, simbolo sessuale per eccellenza (parrucche ebree, veli ortodossi e cattolici, hijab musulmani) o nella clausura che limita gli spostamenti della donna (necessità di avere un garante maschio per viaggiare nell’islam).
Nel matrimonio, quasi un dovere nell’ebraismo, nell’islam e nell’induismo, le donne restano sottomesse al loro marito e le ineguaglianze sussistono di fronte al divorzio quando questo esiste (ebraismo e islam). Unica alternativa possibile nelle tradizioni che l’autorizzano: la castità e/o l’ingresso negli ordini (cristianesimo, induismo, buddhismo).

La donna mistica
Anche se tutte le tradizioni celano esempi di donne eccezionali che hanno segnato la loro epoca con il loro sapere religioso e il loro vissuto fuori del comune, è essenzialmente nelle correnti mistiche che si sono forgiate un posto più affermato: Ildegarda di Bingen (10. secolo), Teresa d’Avila (16. secolo), le Tara del buddismo tantrico, la sufi Rabia al-Adawiyya (8. secolo), la principessa indù Mirabai (16. secolo).

Sguardi sul futuro della chiesa (Segni dei Tempi RSI)

Femminismo religioso
In generale si può parlare di eguaglianza ontologica davanti al divino, particolarmente affermata nei monoteismi, ma non di similarità di funzioni. Il fiorire, nel 20. secolo, delle teologie femministe o femminismi religiosi intende riconsiderare questo stato di fatto. Si tratta di iniziative prese da donne, all’interno di campi religiosi di cui rivendicano l’appartenenza, che rimettono in discussione i paradigmi maschili. Se le prime sono state le ebree e le cristiane, da una quindicina di anni questo fenomeno è osservabile tanto nell’islam quanto nel buddhismo e nell’induismo.
La riflessione inizia con un processo di rilettura dei testi fondatori da una prospettiva più femminile. L’esegesi storico-critica permette loro di considerare il travalicamento dei limiti fissati dall’autorità maschile e le porta a rivendicare la divisione del potere a livello dell’istituzione. Queste teologhe, qualunque sia la loro appartenenza, intendono restituire alle donne il posto che la loro religione avrebbe accordato loro, ma di cui sarebbero state private da secoli di dominio patriarcale. (La Vie Protestante; trad. it. Giacomo Mattia Schmitt).

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