Pregare per le palestinesi si può, senza recare danno ad altri

Parla la presidente del Comitato svizzero della Giornata mondiale di preghiera

28 febbraio 2024  |  Gaëlle Courtens

Il 1. marzo in tutto il mondo milioni di cristiane e di cristiani pregheranno insieme alle donne cristiane in Palestina a partire dal versetto biblico tratto dalla Lettera agli Efesini (4, 1-7): “…con il vincolo della pace”.
In Svizzera, quest’anno, i preparativi 
alla tradizionale Giornata mondiale di preghiera (GMP), i cui materiali ogni anno vengono proposti da un gruppo di donne di un paese diverso, hanno messo a dura prova la presidente del Comitato svizzero della GMP, Vroni Peterhans. L’abbiamo intervistata.

Vroni Peterhans, come vi siete approcciate quest’anno ai testi e materiali provenienti dalla Palestina?
Abbiamo ricevuto questa liturgia nell’autunno del 2022, e già allora eravamo consapevoli del fatto che si sarebbe trattato per noi di una sfida. L’ultima volta che il Comitato palestinese per la GMP aveva elaborato la liturgia era 30 anni fa, nel 1994. E già allora in tutta Europa ci fu molta agitazione. Abbiamo quindi deciso di andarci con le molle, e sulla seconda pagina della liturgia - dove di solito c’è una meditazione - abbiamo ribadito i concetti base della GMP: ascoltarsi reciprocamente, non giudicare, non parteggiare. L’idea è quella di ascoltare le storie soggettive delle donne.

E lei, personalmente, come ha vissuto la preparazione all’appuntamento del 1. marzo?
Da sempre lavoriamo molto bene in accordo con i Comitati tedesco e austrico. Ma c’è da dire che quest’anno abbiamo avuto ancora più scambi del solito, abbiamo lavorato a strettissimo giro, proprio perché prendevamo notizie le une dalle altre: come ve la gestite? A che punto siete?
A novembre abbiamo capito che in Germania il Comitato stava subendo tante pressioni, dovuto anche alla loro storia, dove l’antisemitismo rimane una preoccupazione molto forte. E quindi, anche dietro pressioni delle chiese, hanno poi deciso di modificare una parte della liturgia. Noi invece abbiamo deciso di non toccare nulla. In diversi incontri online, le sorelle palestinesi ci hanno chiesto di dare loro il tempo di uscire con un’altra dichiarazione, successiva al 7 ottobre. I loro testi risalgono al 2022, ma nel frattempo lo scenario in loco è completamente cambiato. Pochi giorni fa ci è giunta la loro preghiera aggiuntiva. Ricordiamo che lavorano in condizioni proibitive: non hanno sempre internet, poi manca la luce, e regolarmente partono le sirene e tocca loro correre al riparo … io trovo che in fondo è incredibile che quest’anno la GMP sia capitata proprio a quella regione del mondo. Pensi, il 1. marzo saremo così tanti da tutto il mondo a mandare le nostre preghiere di pace proprio lì. Noi donne della GMP, un po’ ci crediamo che la preghiera abbia qualche impatto. Se ci dà forza, darà forza a tutti e tutte in quella regione martoriata. Le preghiere per la pace non si fermano a un check-point qualsiasi, o a una frontiera, ma arriveranno in tutto il Medioriente.

A dicembre la Chiesa evangelica riformata in Svizzera (CERiS) ha reso noto delle raccomandazioni a beneficio delle parrocchie che prendono parte all'evento, fra cui - per esempio - l'invito a evitare di usare la parola "Nakba" nella liturgia, termine che significa “catastrofe” e che per i palestinesi designa l'esodo forzato del 1948. Per l'esecutivo della CERiS una parola dalla forte valenza politica polisemica e ambigua. Presidente Peterhans, come valuta queste raccomandazioni? Pensa che abbiano qualche utilità?
Abbiamo avuto contatti con le due chiese, sia cattolica, sia evangelica. Ma con quest’ultima abbiamo avuto scambi più intensi, perché volevano che modificassimo alcuni passaggi. Ma noi abbiamo chiesto di aspettare. Da una parte perché sapevamo che le sorelle palestinesi ci avrebbero pensato loro ad attualizzare i testi, (personalmente trovo che non si riscrive un libro senza l’accordo dell’autore), e poi, ho fatto capire, che se toccava a qualcuno mettere mano a quei testi, quelle eravamo noi del Comitato svizzero della GMP. Quella responsabilità era comunque nostra.
La CERiS non ha voluto aspettare e di sua sponte ha redatto quelle raccomandazioni. Se ad alcune sono servite, devo dire che invece, nella maggioranza dei casi, ha solo seminato altra insicurezza. Una cosa è chiara: nessuna di noi vuole fomentare l’antisemitismo, nessuna vuole dividere i due popoli o fare differenza tra le religioni. Dobbiamo fare molta attenzione a non scambiare i paesi con le religioni. E nella liturgia non c’è nulla che vada contro l’ebraismo. Nella maniera più assoluta.

Ho potuto osservare in queste settimane che in effetti è abbastanza diffuso il timore di essere tacciati di antisemitismo se solo si dice di voler pregare per la pace nella regione. Com’è possibile, secondo lei, che abbia potuto verificarsi un tale cortocircuito?
Questo cortocircuito esiste in generale in tutta la società. Non c’entra nulla la GMP, anche se ne siamo state investite pure noi, perché la liturgia ci arriva da una sola parte del conflitto. Peccato che in Israele non c’è un Comitato della GMP. 
Sa, nella nostra società, in generale, e lo si vede anche nei media, si ha sempre l’impressione di dover prendere posizione per una parte o per l’altra. La posizione della GMP è: pregare per la pace. La pace non ha confini, non costruisce muri. Soprattutto noi, come cristiane, possiamo e dobbiamo pregare per tutte le persone che soffrono a causa della guerra, e quelle sono da tutte e due le parti del conflitto. Ma non credo proprio di recare qualsivoglia danno ad altri, se una volta tanto prego per le palestinesi.

La preghiera aggiuntiva giunta pochi giorni fa dal Comitato palestinese della GMP può essere scaricato qui.

Gli appuntamenti nella Svizzera italiana per la GMP 2024 sono elencati nel nostro sito sotto le singole comunità.

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