Fare memoria dopo il 7 ottobre

Ne parliamo con Valérie Arato della Federazione svizzera delle comunità israelite

22 gennaio 2024  |  Gaëlle Courtens

(foto: RICORDARE - Memoriale svizzero per le vittime dell'Olocausto - swissmemorial.ch)

Perché quest’anno la Giornata della memoria del 27 gennaio è doppiamente importante?
Dopo l’attacco di Hamas contro Israele lo scorso 7 ottobre, di fronte al vertiginoso aumento dell’antisemitismo e alla contemporanea scomparsa degli ultimi testimoni diretti della Shoà, come “fare memoria” oggi? Forse dando in primo luogo spazio all’empatia e all’ascolto, ma anche ricordando i fatti, contro le fake-news, e soprattutto continuando a trasmettere la storia alle nuove generazioni. 
Ne abbiamo parlato con Valérie Arato, responsabile culturale della Federazione svizzera delle Comunità israelite, tra le promotrici del Memoriale nazionale per le vittime svizzere dell’Olocausto che dovrebbe presto essere realizzato a Berna.

Terza generazione

Valérie Arato

Come tutte le persone discendenti da sopravvissuti all’Olocausto, anche Valérie Arato ha una storia famigliare segnata da traumi individuali che si iscrivono in quel grande trauma collettivo che è stata la Shoà - lo sterminio degli ebrei voluto dai regimi nazifascisti durante la seconda guerra mondiale. Valerie Arato, non ha vissuto direttamente la Shoà, ma sin da piccola ha sentito le storie dei suoi nonni e delle sue nonne.

Quali aspetti della sua storia di famiglia l’hanno segnata di più?
Come ebrei ungheresi, i genitori di mio padre sono sopravvissuti al ghetto, alla deportazione, ai campi di lavoro, ai campi di concentramento, al tifo e alle marce della morte. Invece, mia nonna materna, in quanto ebrea tedesca, si è nascosta per due anni nella Parigi occupata. Il padre di mia madre, i cui genitori erano giunti in Svizzera dalla Polonia all'inizio del XX secolo, prestò servizio attivo nell'esercito svizzero durante la guerra. Come vede, la storia della mia famiglia riflette abbastanza bene i diversi destini degli ebrei europei durante la Seconda guerra mondiale.
Sono nata in Svizzera nel 1978 come cittadina svizzera. Ma l'esperienza dell'espulsione, della persecuzione e dello sterminio fa parte del nostro DNA oggi, anche nella terza generazione. Più passano gli anni, e più diventa importante per me la responsabilità che deriva da questa storia familiare. È la responsabilità di tramandare questa storia affinché non venga dimenticata.
Mi auguro che l'elemento unificante, il "marcatore" per così dire, non consista solo nella terribile storia dell'antisemitismo e del sospetto verso gli ebrei. E con una certa preoccupazione, continuo a chiedermi quanto sia normale vivere come ebrea in Svizzera nel 2024.

Mi sembra che dalle sue parole trapeli una profonda amarezza per l’antisemitismo che continua a serpeggiare nelle nostre società, un male che non riusciamo ad estirpare, e che, al contrario, è di nuovo massicciamente aumentato. Posso chiederle cosa ha significato per lei la strage del 7 ottobre, quando i miliziani di Hamas, in un inaudito attacco terroristico, hanno aggredito la popolazione civile nel Sud di Israele, uccidendo più di 1200 persone, e prendendo in ostaggio uomini, donne, bambini, e anziani?
Gli eventi del 7 ottobre sono ancora un grande shock, anche per noi ebrei della diaspora. Negli ultimi anni ho osservato con crescente distanza critica gli sviluppi politici in Israele. Tuttavia, in fondo alla mia mente c'è sempre stato il pensiero che, se tutto il resto fosse fallito, Israele sarebbe stato l'ultimo e unico rifugio sicuro per noi ebrei nel mondo. Sono cresciuta con questa certezza, che è stata distrutta il 7 ottobre. E alla luce delle immagini e dei resoconti insopportabili provenienti da Israele, molti di noi sono stati in un certo senso ritraumatizzati.

Valerie Arato, perché è doppiamente importante oggi commemorare le vittime della Shoà?
Ogni anno, il 27 gennaio, la Giornata internazionale della memoria dell'Olocausto commemora la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte dell'esercito russo nel 1945. La maggior parte delle persone oggi non si rende conto del significato di questa data. In questo giorno, in tutto il mondo, viene posto un segno di commemorazione per i milioni di vittime causate dal regime nazionalsocialista. Purtroppo, come possiamo vedere ancora oggi, questa giornata non ha perso nulla della sua importanza.
Vorrei sottolineare tre punti in particolare per illustrare il significato di questa Giornata. In primo luogo ci preoccupa molto l'antisemitismo che si manifesta qui e ora in molti modi diversi e molto chiaramente. Inoltre, dobbiamo renderci conto che i sopravvissuti, che possono ancora raccontare direttamente le loro esperienze, stanno scomparendo. E infine, e questo terzo punto mi sembra importantissimo, dobbiamo proteggere i fatti, passati e presenti. E dobbiamo fare attenzione a non strumentalizzare e politicizzare i fatti e a non dare spazio alle fake news. Questo è un prerequisito importante se vogliamo adempiere alla nostra responsabilità di ricordare.

A questo proposito c’è da notare che la Svizzera - a quasi 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale - ancora non ha un suo Memoriale nazionale per le vittime della Shoà. Tuttavia, esiste un progetto, molto bello ed articolato, di un memoriale che sorgerà a Berna e per cui il Consiglio federale ha stanziato un fondo di 2 milioni di franchi. A che punto è la realizzazione di questo progetto, di cui lei stessa si è fatta promotrice insieme ad altri?
Il progetto sta facendo buoni progressi. Grazie all'impegno del governo federale e della città di Berna, il nostro augurio è quello di fare passi avanti decisivi quest'anno.
La trasmissione della storia alle giovani generazioni e il lavoro educativo sono per noi particolarmente importanti. Molte persone non conoscono la storia della Svizzera durante la Seconda guerra mondiale. Non si rendono conto dell'importanza dell'economia e del commercio per la Svizzera in quel periodo, ad esempio per la vendita di armi alla Germania nazista o come centro di smistamento dell'oro e dell'arte. Ma la Svizzera era anche un luogo di rifugio o purtroppo molto spesso una destinazione finale per i rifugiati provenienti da tutta Europa. Il confine meridionale tra il Ticino e l'Italia in particolare, così come l'intero cantone, sono testimoni di questa storia.

Quant’è urgente per la Svizzera avere finalmente un suo Memoriale nazionale?
I fatti storici devono essere riportati alla coscienza delle persone. Un memoriale, come quello che si sta progettando per Berna, ha un ruolo importante da svolgere in questo senso. Dovrà inoltre essere collegato in rete con la sessantina di luoghi della memoria già esistenti in tutta la Svizzera, in modo che la trasmissione avvenga in tutto il Paese. La Federazione svizzera delle comunità israelite accompagna e sostiene i progetti con tutte le sue possibilità e con piena convinzione.

L’intervista è andata in onda a “Chiese in diretta”, programma radiofonico della RSI, e può essere riascoltato cliccando qui

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