Comunità di fede e autorità federali, rapporto lacunoso?

Ancora attuale la sola competenza cantonale per le questioni religiose?

03 ottobre 2023  |  Anouk Holthuizen

Berna, capitale svizzera, con il campanile del Münster e la cupola di Palazzo federale (foto: Andreas Fischinger/unsplash)

“In nome di Dio Onnipotente!”: La primissima frase della Costituzione federale elvetica si legge come un ordine. Il documento giuridico composto da 197 articoli, che disciplina il rapporto tra la Confederazione e i Cantoni, la struttura e le competenze delle autorità federali nonché i diritti e gli obblighi fondamentali di cittadini e cittadine, si apre con una potente confessione di fede. Il preambolo è rimasto tale anche dopo la riforma della Costituzione federale del 1999, benché gli articoli di legge si occupino ben poco di religione.

Tra storia e realtà di fatto
Le cose non stavano diversamente alla fondazione della Costituzione 175 anni fa. Il 12 settembre 1848 la Dieta federale riunita a Berna fece entrare in vigore l’ordinamento giuridico che rese la Svizzera un’isola democratica e repubblicana nel cuore dell’Europa delle monarchie. Da allora la religione vi figura essenzialmente in due articoli: l’articolo 72 stabilisce che il disciplinamento dei rapporti tra lo Stato e le comunità religiose compete ai Cantoni e non allo Stato federale. L’articolo 15 garantisce la libertà di credo e di coscienza. Tuttavia, mentre a livello federale la densità legislativa in materia continua a crescere, le norme concernenti la religione sono rimaste pressoché le stesse.

Le nuove leggi esprimono disagio
Anche il disciplinamento dei rapporti tra lo Stato e le comunità religiose continua a essere di competenza dei cantoni. Questa ripartizione delle responsabilità ha un fondamento storico e affonda le radici nella Riforma. Allora gli Stände (Stati, oggi Cantoni) pretesero di stabilire autonomamente la confessione dei propri cittadini. Allora la società era attraversata da un fossato confessionale. Pochi erano i cantoni nei quali venivano ammesse entrambe le confessioni. Alla fondazione della Costituzione federale era semplicemente impensabile un disciplinamento nazionale relativo alle religioni. La Svizzera sembra voler mantenere questo stato delle cose. Tuttavia, alcuni mettono in discussione la reticenza delle autorità federali in materia di questioni religiose. E questo nel contesto di una società che diviene culturalmente sempre più plurale con diverse comunità religiose e la tendenza vigente a limitare i simboli religiosi nello spazio pubblico. Nel 2009 l’elettorato svizzero ha accettato l’iniziativa per il divieto dei minareti, introducendo nella Costituzione elvetica all’art. 72 un terzo paragrafo: “L’edificazione di minareti è vietata”. 
Anche l’adozione nel 2021 del divieto di dissimulare il proprio viso nell’articolo 10a della Costituzione federale simboleggia il fatto che in una parte della popolazione c’è un disagio nei confronti della comunità musulmana. In realtà, in questo articolo il termine “religione” non si trova affatto, tuttavia l’iniziativa, chiedendo esplicitamente un “divieto del burqa,” prendeva chiaramente di mira una comunità religiosa.

Impulsi da parte riformata
Tra i propugnatori di un maggiore coinvolgimento delle autorità federali c’è, oltre a Urs Brosi, segretario generale della Conferenza centrale cattolica romana, anche Rita Famos, presidente della Chiesa evangelica riformata in Svizzera (CERiS). Già nel 2000 la CERiS – che allora era ancora la Federazione delle Chiese evangeliche in Svizzera (FCES) – si era espressa proponendo la creazione di un articolo sulle religioni dopo l’abrogazione del cosiddetto articolo sulle diocesi che sottoponeva ad approvazione da parte della Confederazione l'istituzione di nuove diocesi.
L’idea sarebbe la seguente: per il tramite di un articolo ad hoc sulle religioni la politica federale dovrebbe essere tenuta a un dialogo attivo con le Chiese e le comunità religiose. Nel 2002 un gruppo ecumenico di esperti aveva prodotto un ampio rapporto come punto di partenza e poi proposto formulazioni per l’articolo 72 in base alle quali tanto la Confederazione quanto i cantoni avrebbero dovuto promuovere il rispetto tra i vari gruppi religiosi. Inoltre, la Confederazione avrebbe l’obbligo di curare i rapporti con le comunità religiose e sostenerne l’azione sociale.
Il progetto, lanciato dall’allora presidente della FCES Thomas Wipf, non trovò sufficiente sostegno. Il pastore Wipf portò comunque avanti gli sforzi per rinvigorire lo scambio tra le comunità religiose e la Confederazione, e nel 2006 lanciò il Consiglio svizzero delle religioni con rappresentanti delle maggiori comunità religiose. Questo Consiglio non dovrebbe soltanto promuovere la “pace religiosa”, ma dovrebbe anche essere un organo di contatto con le autorità federali. Dal 2021 ne fa parte anche Rita Famos.

Quali punti di contatto a livello federale?
A tutt’oggi, tuttavia, un tale scambio tra Confederazione e comunità religiose è pressoché assente, sebbene vi siano certamente punti di contatto, per esempio nell’Assistenza spirituale dell’Esercito e nei Centri federali d’asilo. In seno allo Stato federale non c’è un’autorità competente per le questioni di ordine religioso, e per ora non se ne vede alcuna all'orizzonte.
Ad una recente tavola rotonda pubblica promossa dal Polit-Forum Bern in occasione dei 175 anni della Costituzione federale, Brosi e Famos hanno entrambi criticato la mancanza di interesse della Confederazione. “La CERiS e le comunità religiose vedono la necessità di coordinarsi con la politica nazionale su diversi temi, per esempio sul diritto delle associazioni e delle fondazioni, sulla legge sugli stranieri e la loro integrazione e sulla strategia sulle cure palliative”, afferma Rita Famos, per la quale sarebbe necessario istituire un “dialogo strutturato” con le Chiese, le comunità religiose e le associazioni filosofiche, come avviene nell’Unione europea. (Da: reformiert.info; trad.: G. M. Schmitt; adat.: G. Courtens)

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