Nagorno Karabakh, impedire un altro genocidio armeno

Chiamato in causa il Consiglio federale

21 settembre 2023

La delegazione del Consiglio ecumenico in Armenia (foto: WCC/Peter Prove)

(ve/gc) Dopo la capitolazione dell’enclave separatista armena del Nagorno Karabakh, ormai sotto la “sovranità” dell’Azerbaigian, si moltiplicano gli appelli al Consiglio federale. Dall’Armenia, dove si trova in visita con una delegazione del Consiglio ecumenico delle chiese, la pastora Rita Famos, presidente della Chiesa evangelica riformata in Svizzera (CERiS), in un messaggio video ha lanciato un appello al Consiglio federale, affinché si impegni a mettere all’ordine del giorno del Consiglio di Sicurezza ONU il tema del conflitto nel Caucaso, il rispetto del diritto internazionale e la protezione della popolazione locale.
In una intervista rilasciata all’agenzia protestinfo.ch la pastora Famos parla di attacchi azeri contro il Nagorno Karabakh avvenuti anche dopo il cessate il fuoco: “È molto preoccupante. Non c'è cibo né assistenza medica e non sappiamo cosa stia succedendo alla popolazione sotto il dominio azero. Si parla di piani di evacuazione. Ma questo sarebbe devastante per la popolazione armena. Siamo anche molto preoccupati per il patrimonio culturale mondiale, che comprende innumerevoli chiese e monasteri, nonché tombe decorate con le famose croci, alcune delle quali risalgono al IV secolo”.

Anche l’organizzazione non governativa Christian Solidarity International, con sede a Binz, vicino Zurigo, da sempre molto attenta alla questione armena, lancia un appello al governo: “È ancora possibile bloccare sul nascere il genocidio: il 9 gennaio 2023, la Commissione della politica estera del Consiglio degli Stati (CPE-S) ha chiesto al Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) di presentare al Consiglio di Sicurezza una proposta per la creazione di un ponte aereo umanitario tra Erevan e Stepanakert sotto l'egida dell'ONU. Ma il silenzio che ne è seguito è assordante e mortale”, si legge in un comunicato diffuso oggi. 
“Le scorte dei 120’000 abitanti dell’enclave sono completamente esaurite. Si registrano già i primi decessi per fame e il numero di aborti spontanei è aumentato drasticamente”, fanno sapere gli operatori del CSI. Il regime di Baku starebbe sfruttando le rare consegne di aiuti umanitari come mezzo per esercitare pressione psicologica sulla popolazione. “La Convenzione ONU sul genocidio identifica questo comportamento come crimine contro l'umanità: siamo sull'orlo del genocidio”, insiste il CSI che da mesi monitora la situazione anche del blocco da parte dell’Azerbaigian dell’unico varco che lega l’enclave armena al mondo esterno: il Corridoio di Lachin. Per il presidente internazionale di CSI, John Eibner, la Svizzera deve e può fare molto di più per impedire un altro genocidio armeno.

Intanto, sabato 23 settembre a Berna l'Associazione Svizzera-Armenia (GSA), insieme a diverse organizzazioni per i diritti umani, promuove una manifestazione per chiedere al Consiglio federale di intervenire con urgenza. L’appuntamento è alle 13.30 a Münsterplatz. 

Il Consiglio di Sicurezza ONU oggi pomeriggio - tra le altre cose - ha messo all’ordine del giorno la crisi del Nagorno Karabakh. Atteso l'intervento del rappresentante armeno presso le Nazioni Unite.

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