Minoranze religiose a rischio

Il monito del segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres

22 agosto 2022

(foto: Zoran Kokanovic/unsplash)

(ve/gc) “L'incitamento all'odio continua ad alimentare la violenza contro i membri più vulnerabili della società, comprese le minoranze etniche e religiose. È essenziale che tutti i paesi, i leader religiosi e altre figure influenti, condannino qualsiasi incitamento all'odio e alla violenza basato sulla religione o sul credo”. Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres dal suo profilo Twitter ha oggi voluto ricordare così la Giornata internazionale in memoria delle vittime di violenza basata sulla religione o sul credo.

La libertà religiosa continua ad essere sistematicamente violata in numerosi Stati, e per di più le violazioni sono in aumento in tutto il mondo.
Nel mirino di numerose autorità statali sono le espressioni religiose di minoranza. Le conseguenze sono discriminazioni (nel migliore dei casi), fino ad arrivare a crimini atroci - basti pensare al genocidio degli yazidi perpetrato nel 2014 da Daesh. Ad oggi, oltre 2.700 donne e bambini yazidi sono scomparsi e la loro sorte è sconosciuta. Nel 2016, l'esercito birmano ha attaccato i Rohingya in Myanmar uccidendone molti e costringendo oltre un milione di persone a fuggire. O basti pensare ai musulmani uiguri dello Xingjiang, in Cina, internati a centinaia di migliaia in campi di “rieducazione”, sottoposti ad abusi indicibili. In tutti questi casi, la religione o il credo sono stati presi a pretesto per giustificare discriminazioni e violenza.

Ma la lista è lunga. Per citarne alcuni: negli Stati islamici come l'Egitto, l'Iran, l'Arabia Saudita, il Pakistan, la Turchia, l’Afghanistan, ma anche in India, che è per l'80% indù, le violazioni dei diritti umani sono commesse in primo luogo dalle maggioranze religiose e sono dirette contro le minoranze.

In particolare, in Iran, sono nel mirino delle autorità i bahá'í, i cristiani convertiti e i sufi, che subiscono non solo abusi da parte dello Stato, ma anche da parte delle frange più fanatiche della popolazione sciita. Dall'inizio di giugno, più di 100 bahá'í sono stati arrestati, detenuti o sottoposti a perquisizioni domiciliari e chiusura di attività commerciali. Secondo la Società per i diritti umani tedesca IGFM "nel solo mese di giugno, 26 bahá'í sono stati condannati dal Tribunale rivoluzionario di Shiraz a un totale di 85 anni di carcere".

Non possono mancare da questo elenco diversi paesi africani, primo tra tutti la Nigeria, dove da diversi anni imperversa il gruppo terroristico islamico Boko Haram. 

Secondo la giurista e specialista di genocidi Ewelina Ochab, non va dimenticato in questo elenco nemmeno la Russia. In un articolo pubblicato su Forbes la studiosa ricorda il sostegno del Patriarca Kirill, capo della chiesa ortodossa russa, alla guerra di Putin contro l’Ucraina, mentre altri leader religiosi russi, i quali si esprimono contro la guerra, rischiano di subire conseguenze tra cui l'incriminazione per il reato pubblico volto a "screditare le forze armate russe che stanno conducendo un'operazione militare speciale" con detenzione fino a 15 anni.

Non va molto meglio per i “dissidenti religiosi” in Bielorussia, come documenta accuratamente l’organizzazione “Christian Vision for Belarus”. Lo scorso 23 giugno, per esempio, il filosofo Uladzimir Matskevich, intellettuale protestante, è stato condannato a 5 anni di detenzione per aver pubblicamente criticato il presidente Lukashenko. 

Uladzimir Matskevich (foto: Twitter/Christian Vision for Belarus)

In una dichiarazione controfirmata da numerosi esperti della Nazioni Unite, nonché da relatori speciali del segretario generale Guterres,e pubblicata in occasione del'odierna Giornata internazionale in memoria delle vittime di violenza basata sulla religione o sul credo, si legge: “Considerando che gli Stati hanno la responsabilità primaria di promuovere e proteggere i diritti umani, queste gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani sono particolarmente esecrabili quando sono perpetrate dalle stesse autorità statali”.

Un campo profughi rohingya dopo un incendio (foto: HEKS)

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