Serie estiva. Vizi capitali. I peccati di gola

La golosità faceva fantasticare gli anacoreti ancora di più della sessualità

03 agosto 2021  |  Alain Houziaux

(foto Luz Fuertes, unsplash)

Per molto tempo “goloso” ha significato “che mangia con voracità, in maniera eccessiva”. Soltanto dal XVI secolo il termine “goloso” significa “che ama la buona cucina ed è esigente in materia di cibo”.

Alimentazione e sessualità

L'elenco dei peccati capitali si è costituito progressivamente a partire dai conventi e dai monasteri. Concerneva le tentazioni alle quali monaci e suore erano particolarmente esposti. Sembrerebbe che fossero molto inclini alla golosità, nel primo significato del termine e forse anche nel secondo. Poiché facevano voto di castità, di povertà e di ubbidienza, rinunciavano in linea di principio ai piaceri della sessualità, della ricchezza e del potere e “compensavano” cedendo al piacere del cibo e del buon cibo. Di fatto, nella vita monastica dei primi secoli, la golosità aveva tanta importanza quanto la lussuria e forse persino di più. Era tanto più insidiosa e difficile da vincere in quanto, a differenza della lussuria, è legata alla soddisfazione di un bisogno naturale, il bisogno di nutrirsi, ancora più imprescindibile del bisogno sessuale.

È nella golosità che l'egoismo si manifesta più vergognosamente.

 — André Gide

Fin dalle sue origini il cristianesimo ha lodato le virtù del digiuno, che esisteva già nell'ebraismo e in altre religioni, ma ha assunto un ruolo molto importante per l'insieme dei fedeli del cristianesimo e naturalmente anche nei monasteri. L'appello a rinunciare alla golosità può così essere considerato come il corollario di questa insistenza sulle virtù del digiuno.

La golosità nella Bibbia

La Bibbia non minimizza affatto l'importanza della golosità. In realtà essa è presentata come la prima delle tentazioni alle quali sono stati esposti non soltanto Adamo e Eva, ma anche Gesù Cristo.
Il racconto della disobbedienza di Adamo e Eva può essere letto in diversi modi. A un primo livello di lettura possiamo ritenere che ciò che motiva la disobbedienza è proprio la golosità. Infatti si afferma (Genesi 3,6) che il frutto che suscita la concupiscenza di Adamo e Eva sembrava “buono per nutrirsi e bello da vedere”. Secondo san Giovanni Crisostomo: “Fu l'incontinenza del ventre a espellere Adamo dal paradiso”.

La golosità può essere considerata come la prima delle tentazioni.

 — Alain Houziaux

La prima tentazione proposta a Gesù da Satana nel deserto (Matteo 4,1-11) non fu quella del potere (che è la terza), né quella della presunzione (che è la seconda), ma quella di trasformare le pietre in pane affinché Gesù potesse cibarsi e porre fine al digiuno di quaranta giorni che si era imposto. Fu per golosità che Noè (Genesi 9,20-27) sperimentò per la prima volta gli effetti inebrianti del vino e, di conseguenza, svelò ai suoi figli la propria nudità. Fu come conseguenza della sua golosità che Lot, in preda all'ubriachezza, si lasciò andare a rapporti incestuosi con le sue figlie e che Esaù (Genesi 25,34), poiché pare che amasse le lenticchie più di ogni altra cosa, rinunciò ai privilegi conferitigli dal suo diritto di primogenitura. Fu ancora per golosità che il popolo ebraico, in viaggio verso la Terra promessa, desiderò mangiare (Numeri 14,2) qualcosa di diverso dalla manna che Dio gli mandava e rimpianse i cibi più gustosi dell'Egitto in cui era schiavo. E per golosità il ricco Epulone (nome che non compare nel testo biblico, ma è stato dato al ricco malvagio dalla tradizione), il cui comportamento è descritto da Gesù in una delle sue parabole (Luca 16,19-31), si rimpinzava lasciando il povero Lazzaro a morire di fame davanti alla sua porta.

Piacere o disgusto?

Che relazione ha l'uomo con il cibo che ingerisce e digerisce nel suo corpo? Come accetta il fatto di essere costretto, per nutrirsi, a attentare alla natura e a uccidere animali? Come mai nella maggior parte delle religioni ci sono tabù alimentari? Come comprendere il carattere quasi universale dei rituali di digiuno? Qual è il significato dei fenomeni di bulimia e di anoressia?
Si impone una prima osservazione. Il diritto e forse anche il dovere di mangiare sono indicati sin dai primi capitoli della Bibbia: “Mangerete dei frutti di tutti gli alberi del giardino”. La primissima immagine che viene data di Dio non è quella di un Dio che proibisce, ma piuttosto quella di un Padre che incoraggia l'uomo a nutrirsi e gli affida la missione di coltivare la terra e di dominare le specie animali per potersi assicurare il cibo. Noè è autorizzato a mangiare carne animale (Genesi 9,2-3).

La golosità comincia quando il piacere di mangiare prevale sul bisogno naturale di mangiare per recuperare le forze e soddisfare la propria fame.

 — Alain Houziaux

Ma perché Dio, o la Natura, ci ha dato questo “incentivo” al piacere? Il Dizionario di teologia cattolica (redatto all'inizio del XX secolo) risponde: “Il piacere naturale che accompagna il fatto di mangiare e di bere è destinato a farci amare e desiderare queste attività legittime e a farci amare un'operazione (quella di mangiare) che senza di esso ci ripugnerebbe”. Si noti il termine “ripugnare”, che implica la nozione di disgusto. Secondo il Dizionario, che ha probabilmente ragione, il fatto di dover ingurgitare del cibo e il cibo stesso possono essere considerati “ripugnanti”. Per convincersene basta del resto ricordare gli sforzi dei cuochi e dei pubblicitari incaricati del marketing di prodotti alimentari per preparare, comporre e presentare il cibo in maniera tale che non sia ripugnante.
Di fatto mangiare può suscitare una forma di ripugnanza. L'anoressia e il rifiuto della carne, in particolare della carne rossa, lo mostrano bene. Si può pensare a quella scena di un film di Luis Buñuel (Il fascino discreto della borghesia) in cui degli stanzini particolari permettono di isolarsi, non per espletare bisogni naturali o per la sessualità, ma per “l'attività alimentare”. Mangiare è considerato impudico e più o meno osceno.

In realtà il cibo può anche essere percepito come una forma di lordura, sebbene necessaria.

 — Alain Houziaux

Per alcuni e in particolare per gli asceti e i mistici, mangiare, anche solo lo stretto necessario, è qualcosa che non si fa senza una certa stretta al cuore. Per questo, proprio come san Paolo (1 Corinzi 15,50) e san Tommaso d'Aquino (Summa Theologiae, Supp. q. 81, a. 4), vedono il Regno che è stato loro promesso come un mondo in cui non sarà più necessario mangiare nemmeno il frutto dell'Albero della vita di cui Adamo e Eva si nutrivano nel paradiso terrestre.
Tutto questo mostra che la condanna della golosità, nel primo significato della parola, è in realtà sostenuta da una forma di reticenza nei confronti della nutrizione in quanto tale. E questa reticenza è probabilmente presente nelle aree più profonde dell'inconscio umano.

Cibo, lordura e tabù

Ci si può interrogare sulle cause di questa associazione tra gli alimenti e l'idea di lordura. I fattori sono sicuramente più d'uno: la ripugnanza di fronte all'abbattimento degli animali; il legame tra cibo e sangue, simbolo al contempo di vita e di impurità; il fatto che l'ingestione di cibo avvenga attraverso un orifizio che comunica con l'interno del corpo e con le sue viscere; il fatto che l'ingestione di cibo sia seguita dalla defecazione.
Può sorprendere che tre dei peccati capitali, la golosità, la lussuria e la pigrizia, costituiscano proibizioni concernenti attività che sono tuttavia naturali e indispensabili per la vita: mangiare, procreare e riposare. Si comprenderebbe di più se i peccati capitali concernessero comportamenti nocivi. Ma va notato che queste tre attività naturali rientrano non soltanto nel campo della vita biologica, ma anche in quello del sacro e dunque del tabù e del peccato (in quanto il peccato è la trasgressione dei tabù e la profanazione del sacro). Ciò che ha un legame con il sacro è ipso facto oggetto di proibizioni.

La nutrizione, la sessualità e il riposo sono oggetto di prescrizioni, di regole e di rituali, perché rientrano allo stesso tempo nel campo del sacro e in quello della lordura.

 — Alain Houziaux

Il cibo è sacro perché contiene un mana (potenza misteriosa e soprannaturale interna a un essere vivente - pianta, animale, essere umano - e che gli conferisce un ascendente e una influenza sia benefici, sia malefici) che ristora e si trasforma in forza fisica e psichica. Lo è anche l'atto sessuale perché ha il potere e il mana di generare una progenitura. Il riposo è altrettanto sacro perché il suo mana ridà energia e vita. Anche per noi questi tre processi restano misteriosi. Ancora oggi il cibo, la sessualità e il riposo hanno qualcosa di sacro e per questo sono inquadrati da tabù e da rituali religiosi o criptoreligiosi.
Oggi come ieri il cibo è percepito come parte del sacro, del tabù, ma anche della lordura. Del sacro perché è considerato come il primo dei doni degli dei, della Provvidenza e della natura; del tabù perché l'alimentazione, dopo essere stata regolamentata dal religioso, oggi lo è dalla dietetica ecologista (che ha peraltro molti tratti religiosi); e della lordura perché fa ingrassare, fa ammalare e suscita la golosità. Oggi le innumerevoli prescrizioni della dietetica, dell'ecologia, delle etichette “bio”, dei regimi vegetariani, della macrobiotica (dottrina dietetica vegetariana che predica l'equilibrio tra lo yin e lo yang) sostituiscono convenientemente le regole e i tabù delle religioni ancestrali sugli alimenti puri e impuri.

Prescrizioni alimentari ebraiche

Per l'ebraismo mangiare è forse già percepito come qualcosa di impuro in quanto consiste nell'assimilare un cibo non umano per trasformarlo in qualcosa di umano. In ebraico mangiare si dice a’hol, che evoca il termine “assimilare”, che etimologicamente significa “rendere simile a sé”. Mangiare consiste nel rendere il vegetale o l'animale simile all'umano e perciò per l'ebraismo “ciò che entra nella bocca contamina l'uomo” (Matteo 15,11). Mangiare è mettere del non umano nell'umano ed è dunque una lordura dell'essere umano. Così, da una parte il cannibalismo è considerato un tabù e un peccato, ma, dall'altra parte, l'alimentazione non antropofaga è anche considerata come una lordura.
Nell'ebraismo la lordura del mangiare è accentuata dal fatto che l'uomo è onnivoro. Mangiare è ingurgitare alla rinfusa alimenti diversi, mischiare creature (animali o vegetali) appartenenti a specie diverse, altrettanti elementi percepiti come una forma di profanazione del disegno di Dio.
Infine, la carne che mangiamo è stata quella di un animale vivo che è stato ucciso. È questo che spinge certi vegetariani a rifiutare carne animale. Tale reticenza è molto antica. Così nel Talmud (Trattato Sanhedrin, 56a), tra le sette leggi che Dio ha prescritto all'insieme dei discendenti di Noè, vale a dire all'intera umanità, uno di essi precisa: “Mangiare, tu mangerai, ma non di un membro strappato a un animale vivente”. Si può certo mangiare, ma senza torturare né mutilare l'animale. Questo spiega perché le regole per l'abbattimento dell'animale nell'ebraismo e nell'islam precisano che è proibito consumare il sangue di un animale abbattuto in quanto era il sigillo della sua vita. Il sangue è sacro e quindi tabù (Genesi 9,5; Levitico 9,16; Deuteronomio 12,23). Bisogna dunque spremerlo e eliminarlo dalla carne lavandola per non mangiare la vita dell'animale.

Il cristianesimo non ha ripreso le prescrizioni rituali dell'ebraismo in materia di alimentazione.

 — Alain Houziaux

Gesù ha detto: “Ascoltate e intendete: non quello che entra nella bocca contamina l'uomo; ma è quello che esce dalla bocca, che contamina l'uomo!” (Matteo 15,11). Ma questa riabilitazione dell'attività alimentare in quanto tale non è durata a lungo. Ben presto il cristianesimo ha sostituito le prescrizioni alimentari dell'ebraismo con la regola del digiuno, vale a dire l'astinenza da ogni cibo e, in particolare, dall'alimentazione a base di carne (in quanto considerata come la più ricca e anche la più sanguinaria). C'è un orrore per il cibo e per l'alimento carne come c'è un orrore per il sesso e la relativa carne e i due vanno spesso di pari passo e sono più frequenti di quanto si creda. L'anoressia è forse una forma di digiuno involontario e privato delle sue motivazioni religiose. E di fatto ci sono probabilmente delle basi comuni tra il rifiuto di alimentarsi dei mistici, dei monaci e dei religiosi in generale e l'impossibilità di alimentarsi dell'anoressico. Il confine tra l'anoressia e il digiuno volontario è a volte difficile da stabilire. Molte mistiche che praticavano l'astinenza nel Medioevo (Caterina da Siena, morta nel 1380, o Caterina da Genova, morta nel 1510) o al giorno d'oggi (Simone Weil, Marthe Robin) furono forse anche anoressiche.

La golosità, perché?

Tuttavia, nella maggior parte delle culture e delle religioni primitive, c'erano anche orgie di carattere religioso nel corso delle quali i tabù e le proibizioni potevano essere trasgrediti. La golosità, nel suo primo significato di ingordigia e di ubriachezza, diventava allora la regola. Pare d'altronde che quelle stravaganze alimentari continuarono a esistere all'epoca dell'apostolo Paolo di Tarso, in particolare nelle comunità cristiane di origine pagana da lui fondate (cfr. 1 Corinzi 11,17-22; Giuda 12; 2 Pietro 2,13).

Proprio come le orgie di un tempo, i pasti delle feste restano spesso, ancora oggi, una rivincita gioiosa, insolente e disinvolta sulla morale.

 — Alain Houiziaux

La golosità e il bisogno di trangugiare cibo in maniera eccessiva hanno a che fare con le paure più profonde dell'uomo: quelle di perdere la vita, di perdere gli dèi e di perdere la gioia di vivere. Come il lattante beve ingordamente il latte dal seno della madre per paura di perderla, così noi ci ingozziamo di cibo per paura che ci venga a mancare. La golosità, proprio come l'avarizia, rispecchia una paura della morte.
La golosità è una trasgressione di tabù inscritti in noi dalla nostra prima infanzia, quando ci veniva detto: non mangiare troppo, non mangiare troppo in fretta, non mangiare questo o quello. È una forma di omicidio gioioso e festante del padre e della madre. È vissuta come una rivincita contro di loro per le frustrazioni che hanno suscitato in noi.

Il modo migliore per liberarsi di una tentazione è cedervi.

 — Oscar Wilde

La golosità è una strategia paradossale per purgarsi dal male, dalle ossessioni morbose e dai tabù alienanti. Più in generale si tratta di una forma di rimedio, o ameno di compensazione, per molti mali e frustrazioni. È come un vaccino: è una piccola lordura che protegge da molti peccati più gravi e più nocivi. Infine la golosità ha probabilmente a che fare con il desiderio di conoscere uno stato in cui saremmo saziati per sempre, come quello della vita intrauterina in cui, alimentati dal cordone ombelicale, non abbiamo mai fame, o quello della vita eterna in cui, Dio volendo, ignoreremo la fame... e la golosità.

Voluttà e piacere

Elemento costitutivo della golosità è l'essere il desiderio di un piacere percepito come proibito. Da dove viene questo sentimento? È forse radicato in tutta la prima infanzia. Per il bambino la madre è certamente colei che dà da mangiare, ma è anche colei che proibisce di mangiare ciò che si avrebbe voglia di mangiare e che potrebbe suscitare piacere. Così il bambino, dalla più tenera età, inscrive in sé stesso la golosità come un piacere proibito.
C'è un parallelo molto netto tra il ruolo della madre (e forse in seguito, più in là, del padre) e quello di Dio Padre per i suoi figli Adamo e Eva quando si trovavano nel giardino di Eden, in situazione d'infanzia. Dio disse: potete, e forse persino dovete mangiare di questo (cioè i frutti di tutti gli alberi del giardino tranne uno), ma non dovete mangiare di quello (il frutto dell'Albero della conoscenza, gradevole alla vista e suscitante desiderio), altrimenti morirete. Così il frutto dell'albero che si ha voglia di mangiare è appunto, guarda caso, quello che è proibito e inteso a farvi del male.

La sensazione di trasgredire una proibizione aumenta il piacere della golosità.

 — Alain Houziaux

Una piccola facezia a mo' di conclusione. Bisogna preferire i piaceri della tavola e della golosità o quelli della carne e della lussuria? Per Anthelme Brillat-Savarin (Discours sur le vrai gourmand) la discussione è chiusa: i piaceri distillati da cibi e bevande deliziosi non hanno paragone con quelli che procurerebbero “i capricci di una donna, i suoi umori, i suoi bronci e, diciamolo pure, i suoi fugaci favori”. Si può tuttavia tentare di riconciliare entrambe. Certe pietanze deliziose sono anche potenti afrodisiaci. E oggi tutti sanno che un'impresa di seduzione ha inizio con un invito a una cena golosa e finisce con la proposta di “bere un ultimo bicchiere a casa”. (da Evangile et Liberté; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina) - La prossima puntata tra una settimana.

Suggerimenti di lettura:

Enzo Bianchi, Ingordigia. Il rapporto deformato con il cibo, San Paolo 2013
Francesca Rigotti, Gola. La passione dell'ingordigia, Il Mulino 2011

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