Serie estiva. Vizi capitali. Sua maestà l'orgoglio

Una forma d’amore rivolto a se stessi e che nega il bisogno dell’Altro

06 luglio 2021  |  Alain Houziaux

(foto Clay Banks unsplash)

L’orgoglio si manifesta fin dalla primissima infanzia. Il bambino dirà: “Io faccio da solo, io sono grande”. In effetti c’è sempre qualche cosa di infantile nell’orgoglio. Un cacciatore orgoglioso continuerà a sostenere ostinatamente che, se ha mancato il proprio bersaglio, è a causa del vento, e non per mancanza di destrezza. L’orgoglio spinge ad autogiustificarsi, a trovare scuse, a volersi illudere. È simile alla presunzione; è una forma di illusione su se stessi.
L’orgoglio è molto diverso dalla vanità. A differenza del vanitoso, l’orgoglioso è spesso indifferente agli altri; rimane nella propria torre d’avorio; l’amore che ha per la propria immagine gli è sufficiente.

L’amore di un’immagine

Il mito di Narciso, così come è raccontato da Ovidio, è significativo riguardo a questo tema. Narciso diviene insensibile al resto del mondo. Piegato sulla sua immagine, si lascia morire, fino al momento in cui cade nell’acqua, confondendosi così infine con la propria immagine.
L’orgoglio è dunque prossimo al narcisismo. Il narcisismo è l’amore di se stessi; l’orgoglio è l’amore dell’immagine illusoria, magnificata, idealizzata che l’orgoglioso ha di se stesso.
Ogni essere umano ha un certo ideale per la propria vita. Questo ideale è ciò che Freud indica come “l’ideale dell’io”, vero riferimento per il comportamento. Ma l’orgoglioso, invece di avere per ideale dell’io la figura del proprio padre, quella di un maestro o quella di un ideale morale (la saggezza, il coraggio, o altro), si regola sull’immagine illusoria che ha del proprio Io, che Freud chiama “sua maestà l’Io e Lacan l’“Io ideale”. Inoltre egli crede che il suo io reale non sia differente dal suo Io ideale. Si vede del tutto identico all’immagine ideale e orgogliosa che egli stesso si fa di sé.

L’orgoglio è l’amore dell’immagine illusoria, magnificata, idealizzata che l’orgoglioso ha di se stesso

 — Alain Houziaux

Prendiamo un esempio biblico: quello dei farisei, secondo la requisitoria (Matteo 23) che Gesù fa nei loro confronti. Questi farisei sono infatti degli orgogliosi. Essi “fanno lunghe preghiere per mettersi in mostra” (Matteo 23,14), digiunano due volte a settimana e offrono la decima delle loro entrate. (Luca 18,9-14), ma se si comportano così non è per ingannare tutti gli altri, ma è perché essi si vedono effettivamente come persone pie ed esemplari. Così l’orgoglio è una forma di illusione riguardo a se stessi. L’orgoglioso “si crede”; si comporta in conformità al suo Io ideale. Non lo fa per virtù, per abnegazione o per generosità, ma soltanto per l’amore che nutre per l’immagine che ha di sé.

La destituzione del Padre

L’orgoglio è stato spesso considerato come il primo dei peccati capitali. Fondandosi sul racconto della disobbedienza di Adamo ed Eva, la teologia scolastica lo identifica addirittura col peccato originale. A prima vista, questa disobbedienza non è un atto di orgoglio. Adamo ed Eva sembrano piuttosto animati dalla concupiscenza e dalla bramosia. Ma i commentatori insistono sul fatto che ciò che il serpente propone ad Adamo ed Eva è di diventare “come dèi”, ed è prima di tutto a questa tentazione, quella dell’orgoglio, che avrebbero ceduto Adamo ed Eva. Mangiando il frutto dell’albero, essi prendono il posto del “Padre”. Essi vogliono fare a meno di Dio, e così fare a meno del padre. Vogliono cessare di dipendere da un padre.

L’orgoglio consiste nel rifiutarsi di fare riferimento a un padre

 — Alain Houziaux

Il “padre”, nella teoria psicanalitica di Freud e di Lacan, costituisce un punto di riferimento, una legge, un divieto e un ideale per i suoi figli. Ha anche la funzione di ricordare all’essere umano la sua condizione di figlio, cioè la sua condizione di dipendenza. E la prima funzione di Dio, in quanto figura del Padre, è di ricordare all’essere umano questa condizione di dipendenza. Riconoscere Dio come padre vuol dire riconoscersi sottomessi a una Legge e dipendenti da una Grazia.
Significa riconoscere che si vive a carico di un altro, alla mercé di un altro, senza poter bastare a se stessi, ed è proprio questo ciò che l’orgoglioso rifiuta. L’orgoglio consiste nel ricusare la funzione del padre e nel rifiutarsi di fare riferimento a un padre. L’orgoglioso è colui che rifiuta di riconoscersi come “figlio di”. Destituendo Dio, egli pretende di costituirsi in essere autonomo, senza alcun punto di riferimento esteriore a se stesso.

Debito e dovere

La funzione di Dio è anche quella di suscitare nel soggetto una castrazione simbolica, vale a dire una mancanza o un bisogno che resta sempre un bisogno dell’“altro”. Così la funzione del Padre, quella di Dio, quella di ogni “altro” è di suscitare una sete che resta sempre un bisogno. L’orgoglio, tuttavia, essendo una forma di autismo e di amore rivolto esclusivamente a se stessi, indebolisce e cancella il bisogno dell’Altro (l’orgoglioso non ha più necessità di Dio) e dell’altro (l’orgoglioso non ha necessità di un prossimo). Infine, la funzione di Dio come Padre è di dare al soggetto il sentimento di essere in debito, e questo sentimento suscita in lui il senso del dovere (“dovere” e “debito” hanno la stessa etimologia, il debito è ciò che è dovuto) e anche quello della lode (lodare Dio è riconoscere un debito nei suoi confronti).

Destituendo Dio, l'orgoglioso cessa di conoscere il senso del debito e al tempo stesso quello del dovere, e anche quello della lode

 — Alain Houziaux

L'autostima apre agli altri

Occorre distinguere tra l’orgoglio e la stima di sé. L’orgoglio è chiuso in sé stesso e segregato dagli altri. La stima di sé, al contrario, può portare a una reale dedizione per gli altri e persino a una forma d’amore per il prossimo. Può condurre a un senso del dovere rivolto verso gli altri e anche a un vero sacrificio di sé (compreso un sacrificio del proprio orgoglio) per gli altri. L’episodio del giudizio di Salomone (1Re 3,16-27) è illuminante su questo punto. Due donne si contendono un bambino; il re Salomone propone che lo si tagli in due. Una delle donne accetta; per orgoglio, non vuole cedere; preferisce che il bambino sia ucciso piuttosto che ammainare bandiera di fronte alla sua rivale. L’altra, invece, accetta che il bambino, sebbene sia verosimilmente il suo, sia dato alla rivale. Così ella sacrifica il proprio interesse egoistico, e anche il proprio orgoglio, a un ideale che ha per se stessa: quello di essere una vera madre. (da Réforme; trad. it. Ezio Gamba; adat. P. Tognina) - La prossima puntata tra una settimana.

Suggerimento di lettura:

André Green, Narcisismo di vita, narcisismo di morte, Borla 1992

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