Quando la bestemmia diventa strumento del potere

Il termine bestemmia deriva dal latino e significa offendere la reputazione

25 luglio 2021

(foto Raphael Schaller, unsplash)

Nel corso dei secoli il termine bestemmia è stato applicato esclusivamente all'offesa alla religione. Françoise Smyth-Florentin, teologa esperta dell'Antico Testamento e delle lingue dell'antichità vicino-orientale ed egiziana, già docente alla Facoltà di teologia protestante di Parigi, sul tema della bestemmia nel mondo biblico e nell'islam.

Quando è comparsa nel mondo ebraico la nozione di bestemmia?

Nelle letterature bibliche che noi conosciamo nelle redazioni risalenti al 5. secolo avanti Cristo, è presente il concetto di oltraggio a Dio. Il termine bestemmia, in greco - che significa “parlar male”, “diffamare” - emerge soltanto con la traduzione dei Settanta alla fine del 3. secolo e all'inizio del 2. secolo avanti Cristo, ad Alessandria. La bestemmia è simile al sacrilegio, “una azione che viola il sacro”. Il Salmo 12 è rappresentativo della bestemmia nell'ebraismo: non si tratta di parlar male di Dio, ma di farlo mentire opprimendo il misero e schiacciando il povero. Queste azioni provocano la collera e la giustizia di Dio.

Come si traduce questo nella società ebraica?

L'intenzione del Salmo è che la società tenga conto di questo giudizio. Gli oppressori, caratterizzati come orgogliosi, vanitosi, devono perdere il loro potere. Gli oppressi potranno così vivere bene. A partire dal 4. secolo avanti Cristo ciò si traduce in tentativi di riforma dell'esistenza sociale sulla terra di Israele post-esilio. Vengono introdotte innovazioni: liberazione degli schiavi per debito ogni sette anni, ridistribuzione della terra... Ma ciò non è proseguito in epoca ellenistica.

Chi applica la legge all'epoca di Gesù?

Quattro secoli dopo, dunque, viene applicata la legge romana, su pressione degli ambienti religiosi ebrei farisei che tengono al loro potere. Gesù li combatte dicendo: “Avete fatto della casa del Padre mio un covo di ladri”. Per questa ragione viene respinto e poi crocifisso ricorrendo alla legge di Roma.

Gesù era dunque un bestemmiatore per i religiosi ebrei?

Doppiamente. Il vangelo di Marco si apre d'altronde con una bestemmia: Gesù dice a un paralitico che “i suoi peccati sono perdonati”. Gli scribi farisei considerano ciò una bestemmia, perché soltanto Dio può perdonare i peccati. Viene poi, al capitolo 3, la questione del sabato. Il sabato è quel che c'è di più sacro nell'ebraismo, è identitario. Gesù incontra un uomo con la “mano secca”, probabilmente paralizzata. Gesù chiede ai farisei presenti se sia possibile trasgredire il sabato per far vivere un uomo. I religiosi restano in silenzio. Gesù è infuriato e allo stesso tempo rattristato. Guarisce l'uomo. I farisei vanno a cercare i politici “erodiani” per far morire Gesù, il “bestemmiatore itinerante”. Quando Gesù entra nel tempio e rovescia le tavole dei cambiavalute il Sinedrio (l'autorità religiosa suprema) decide di liberarsi di lui.

La bestemmia è simile al sacrilegio, è un'azione che viola il sacro.

 — Françoise Smyth-Florentin

Per Gesù, che predicava il perdono, esisteva una nozione di bestemmia?

Tutto ciò che a Gesù interessa è la vita delle persone. La bestemmia imperdonabile consiste nel credere che guarire un uomo potrebbe essere un atto demoniaco. L'episodio del lebbroso (Matteo 8,1-4) segue questo pensiero. Nella società dell'epoca il lebbroso incarna il tabù. Chiede a Gesù di “purificarlo”. Cristo lo tocca e lo guarisce. Manda a quel paese un tabù sociale affinché quell'uomo viva. La vita di Gesù è la lunga storia di un bestemmiatore sacrilego. La legge ebraica viene presa sul serio dai romani. Cercano di scagionare Gesù, ma non ci riescono.

E quando apparve la nozione di bestemmia tra i primi cristiani?

L'accusa di bestemmia è uno strumento per il potere religioso. Tra il 1. e il 4. secolo viene brandita non appena si organizza un potere ecclesiastico. Per quanto riguarda l'Impero romano, esso non tollera all'inizio che una sola religione straniera: l'ebraismo. Il cristianesimo è dunque considerato una superstizione e i suoi seguaci vengono perseguitati. I ruoli si invertono con la cristianizzazione dell'Impero romano a partire dal 4. secolo. Le chiese concorrenti si alleano contro l'ebraismo fariseo. E a partire dalla conversione di Costantino al cristianesimo (312) gli attacchi tra le chiese si moltiplicano. Ognuna afferma di detenere la verità e accusa le altre di essere blasfeme.

Nel 12. secolo il termine latino blasphemare, gergo ecclesiastico, diventa bestemmiare. Come si traduce ciò nei costumi?

È l'epoca in cui “il demonio esce dai monasteri”. Il Vaticano scopre che i contadini occidentali hanno mantenuto tutte le loro pratiche pagane, come in epoca gallo-romana. La chiesa si spaventa. Si serve dei monasteri per “far paura a questi contadini analfabeti” che prendono alla leggera le regole ecclesiastiche. La strategia funziona a meraviglia. Ben presto si trovano demoni dappertutto, fino alle facciate e all'interno delle chiese.

(foto Nathan Wright, unsplash)

Le persone che detengono il potere religioso attaccano come bestemmiatori coloro che la pensano diversamente da loro in merito al sacro.

 — Françoise Smyth-Florentin

L'Inquisizione, nel 13. secolo, segna l'apogeo di questa politica della paura?

Introdotta dal papa Gregorio IX nel 1231, l'Inquisizione medievale diventa il braccio armato di questa politica. Assume forme diverse fino al 16. secolo, quando rivolgerà tutte le energie contro i protestanti. La Riforma sposta la bestemmia altrove. Nel 1543 Giovanni Calvino pubblica il “Trattato delle reliquie”. Un libro molto ironico e assolutamente sacrilego sul modo in cui la chiesa romana sacralizza dei pezzi d'osso o del “latte della Vergine”. Da parte loro, i riformati lanciano movimenti di sacralizzazione della Bibbia, della Lettera.

Facciamo un passo indietro nel tempo. Quando compare la bestemmia nel mondo coranico?

Il mondo musulmano prende forma a partire dal 7. secolo. La bestemmia compare immediatamente per proteggere il sacro. Nell'islam si tratta del Corano, ma anche degli hadith, le tradizioni sulla vita del Profeta. A livelli diversi troviamo antropologicamente la stessa struttura presente nel cristianesimo. Le persone che detengono il potere religioso attaccano come bestemmiatori coloro che la pensano diversamente da loro in merito al sacro. Il mondo sunnita ragiona in termini di permesso e di interdizione più del mondo sciita. Con l'eccezione, tra i sunniti, dei sufi. La loro identità si definisce come disalienata da questa definizione del sacro.

Perché lo sciismo è più flessibile del sunnismo?

Sebbene esistano diversi sciismi, il mondo sciita è meno prigioniero del problema del diritto. Sembra meno evidente oggi, considerando la dittatura sciita in Iran. Ma si tratta di una dittatura politica di uomini religiosi. Non è fondamentale. Lo sciismo deve la sua flessibilità a uno sfondo culturale iraniano e persiano, assolutamente diverso da quello del mondo sunnita, che ha preso forma sulla base di culture beduine. Sebbene queste si siano molto presto organizzate.

La rappresentazione del Profeta è sempre stata considerata sacrilega nell'islam?

Non lo è tra gli sciiti. Lo dimostrano le miniature persiane che rappresentano il Profeta. Per riguardo verso il divino, o verso un Profeta che non si è visto, la sua figura è spesso indecifrabile. Ma la sua persona è assolutamente presente. Nel sunnismo la sua rappresentazione non è stata sempre proibita dappertutto. Possiamo vedere in questo divieto una ripresa letterale del primo comandamento, che vieta l'immagine. La proibizione dell'immagine di Dio nell'ebraismo è altrettanto significativa. Tutti i gruppi monoteisti si sono irrigiditi nelle rispettive definizioni. Queste proibizioni sono identitarie: si tratta di essere più monoteista dell'altro. (da "Le Monde des Religions"; trad. it. G.M.Schmitt; adat. P. Tognina)

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