Burqa sì, burqa no

Il divieto di dissimulare il viso non piace alle religioni: molte comunità di fede sono contrarie all’iniziativa

19 febbraio 2021  |  Gaëlle Courtens

Si moltiplicano le prese di posizione di realtà religiose che si dicono contrarie all’iniziativa sul divieto di dissimulare il volto in votazione il prossimo 7 marzo. Dopo la dichiarazione del Consiglio svizzero delle religioni (CSR), composto da rappresentanti delle religioni abramitiche (cristiani di varie confessioni, ebrei e musulmani) tra cui la Chiesa evangelica riformata in Svizzera (CERiS), quest’ultima ha diffuso un testo integrativo intitolato “Divieto di dissimulare il volto: considerazioni in ottica evangelica riformata”. Il Consiglio della CERiS dichiara di condividere le preoccupazioni in merito alla libertà religiosa espresse dal CSR e aggiunge ulteriori riflessioni concernenti le libertà individuali e la parità di genere, elementi a cui il controprogetto indiretto elaborato da Parlamento e Consiglio federale dà ampio spazio.

Il “no” dei riformati

Il dibattito pubblico intorno all’iniziativa in questione si è concentrato sul burqa (che in Svizzera è praticamente inesistente) e soprattutto sul niqab, indumento indossato - secondo uno studio dell’Università di Lucerna - da alcune decine di donne islamiche in Svizzera. A questo proposito il Consiglio della CERiS afferma: “La partecipazione alla vita pubblica e alla democrazia si basa sullo stesso diritto di ogni persona di vedere e di essere vista, di ascoltare e di essere ascoltata. Questo corrisponde alla visione protestante dell’essere umano”.
La CERiS insiste sulla parità di trattamento tra i sessi e sull’assenza di costrizione. Nel caso in cui ci sia invece costrizione (di fatto già codificato come reato), per la CERiS l’obbligo di scoprire il volto imposto per legge non libererebbe comunque le donne interessate. Secondo la Chiesa riformata è necessario che la decisione di non dissimulare il volto sia presa in modo volontario. Il documento ricorda che la Riforma protestante ha contribuito al sorgere dell’attuale concezione della democrazia liberale, dello Stato di diritto e del rispetto per i diritti e le libertà fondamentali. Per la CERiS le libertà individuali possono essere limitate soltanto nel caso in cui sussista una minaccia per lo Stato o la società nel suo insieme. “Il rispetto dell’osservanza anche scrupolosa di una persona credente, deve reggere allo stupore che forme a noi aliene di espressione della fede possono suscitare”, insiste la CERiS.

Iniziativa non risolutiva

Rita Famos

Per Rita Famos, presidente della Chiesa evangelica riformata in Svizzera, intervistata da reformiert., “il divieto di coprire il proprio volto non rafforza affatto i valori liberali, ma li indebolisce. Sono una forte sostenitrice dell'emancipazione, dei consultori e dei centri di accoglienza per le donne, dei gruppi di discussione, della formazione degli imam in Svizzera, dei flussi trasparenti di denaro a favore di comunità religiose”. C’è ancora tanto da fare su questo fronte, dice Famos, ma le modalità non possono essere quelle proposte dall’iniziativa, la quale “non apporta alcun contributo costruttivo all'importante questione di come affrontare l'islamismo politico, ma soprattutto non viene in aiuto alle donne interessate, né rafforza la sicurezza pubblica o promuove la coesione sociale”.

Solidarietà tra donne

Sulla stessa linea anche le Donne evangeliche svizzere (EFS) le quali sottolineano che prescrivere alle donne come si devono vestire o svestire non porta ad una maggiore uguaglianza tra i sessi e mette in pericolo la coesistenza pacifica tra le comunità di fede. 
Lo scorso 12 febbraio le donne evangeliche, l’Unione delle organizzazioni di donne ebree e il Frauenbund cattolico, con una comunicazione congiunta hanno ribadito il loro “no” all’iniziativa mettendo l’accento sul controprogetto del Consiglio federale, che entrerebbe in vigore qualora il testo dell’iniziativa dell’Egerkinger Komitee - già iniziatore del divieto di costruzione di minareti nel 2009 - venisse rigettato.
Il controprogetto prevede, tra l'altro, “importanti miglioramenti a favore dell'uguaglianza delle donne", dice la pastora Gabriela Allemann, presidente delle Donne evangeliche in Svizzera. Esso indica inoltre che i programmi d'integrazione e di cooperazione allo sviluppo dovranno essere maggiormente orientati ai bisogni delle donne e che i programmi di promozione della parità dovranno essere rafforzati. Le tre associazioni considerano queste migliorie un progresso importante nel campo dell'uguaglianza di genere, assente invece nel testo dell’iniziativa. Per Simone Curau-Aepli, presidente del Frauenbund cattolico, se dovesse passare l'iniziativa, le donne costrette a dissimulare il volto sarebbero due volte vittime, mentre per Gabi Elikan, membro del consiglio dell’Unione delle organizzazioni di donne ebree, l'iniziativa mina la tolleranza nei confronti di donne che indossano “segni religiosi visibili”. Se passa l’iniziativa, dicono le tre organizzazioni femminili, il rischio è inoltre quello di una maggiore polarizzazione della società.

Realtà religiose contrarie

Numerose sono le associazioni e organizzazioni religiose e di dialogo tra fedi ad aver espresso la propria contrarietà all’iniziativa sul divieto di dissimulare il volto. Tra queste figura l’organizzazione ombrello delle chiese libere (in rappresentanza di circa 600 comunità evangeliche e 150'000 membri di chiesa), la comunità di lavoro interreligiosa in Svizzera IRAS COTIS, a cui si è associato anche il Forum per il dialogo interrreligioso e interculturale di Lugano, il Think Tank interreligioso composto da teologhe ed esperte del dialogo tra comunità di fede. Ha invece lasciato ufficialmente libertà di voto l’Alleanza evangelica svizzera (composta da circa 160 associazioni con complessivi 200'000 membri di chiesa), con una presa di posizione pubblicata già lo scorso 27 gennaio. 

"Islam dal volto conciliante", Segni dei Tempi RSI La1

RSI

Esponenti di fede favorevoli

Non mancano anche in ambito religioso alcune posizioni favorevoli all’iniziativa. Un gruppo composto dal pastore riformato Shafique Keshavjee, dalla presidente del Forum per un islam progressista Saïda Keller-Massahli, dall’ebrea Fabienne Alfandari, dal prete cattolico Alain René Arbez e dal pastore evangelico Christian Bibollet dell’Istituto per le questioni relative all’Islam, ha diffuso un testo in sei punti in risposta alla presa di posizione del Consiglio svizzero delle religioni (CSR). Secondo questi esponenti religiosi, la questione non riguarda tanto aspetti legati alla sicurezza, quanto piuttosto la posizione da accordare all’islam politico e radicale nella nostra società, e cioè a correnti come quelle dei salafiti, dei wahabiti e dei fratelli musulmani. I cinque firmatari del testo insistono inoltre sul significato del velo integrale nell’islam e nella società e ritengono che esso non sia affatto espressione di libertà religiosa, ma costituisca un segno discriminatorio e lesivo della dignità della donna, perché “demonizza” il suo corpo impedendo un rapporto di rispetto reciproco con l’uomo. I firmatari si dicono d’accordo con il CSR per quanto riguarda la necessità di promuovere la pace religiosa nella società, ma sottolineano: “La pace religiosa richiede anche il rispetto delle leggi e delle usanze del paese ospitante. La Svizzera è un paese democratico con una lunga eredità cristiana e umanista. In questo paese, donne e uomini interagiscono faccia a faccia. È dovere di tutti, indipendentemente dalle loro convinzioni religiose, rispettare questa pratica”.

Chi sono i musulmani in Svizzera?

Secondo gli ultimi dati dell'Ufficio federale di statistica relativi al 2019, il 5,3% dei residenti sopra i 15 anni in Svizzera, ossia circa 390'000 persone (35% dei quali è di nazionalità svizzera), si dichiara musulmano. Gli uomini costituiscono una leggera maggioranza del 53%, mentre il gruppo più numeroso è proveniente dai Balcani. L’85% dei musulmani e delle musulmane in Svizzera appartiene alla corrente sunnita, tra il 7 e il 10% sono sciiti, una piccola porzione è alevita. Anche se non sono state fatte indagini in merito, i salafiti, espressione di una corrente più rigorista dell’islam, in Svizzera sono assai marginali, tuttavia, secondo gli esperti, la Svizzera ha sul suo territorio anche dei musulmani radicalizzati. Tra tutte le comunità di fede presenti in Svizzera i musulmani sono i meno praticanti, con il 46% che dichiara non essere mai andato in moschea negli ultimi 12 mesi. Per quanto riguarda esperienze dirette di discriminazione sulla base dell’appartenenza religiosa, il 35% dei musulmani ha dichiarato di essere stato vittima di tali atteggiamenti, di gran lunga la percentuale più alta rispetto a tutte le altre comunità di fede.

I paesi europei che finora hanno introdotto una forma di divieto di dissimulazione del viso sono Francia, Belgio, Austria, Bulgaria e Danimarca. In Svizzera misure simili sono state introdotte nei cantoni Ticino e San Gallo.

"Islam in Svizzera", Segni dei Tempi RSI La1

RSI

Articoli correlati