Una guerra combattuta all'ombra del genocidio turco di cent'anni fa
Nel 2020 la pandemia di Covid ha occupato le prime pagine dei giornali sospingendo ogni altro argomento in secondo piano. La sanguinosa guerra combattuta nella lontana regione del Nagorno Karabach è stata perciò vista dall'opinione pubblica internazionale come un avvenimento di scarso rilievo.
Nel conflitto, terminato con il cessate il fuoco dello scorso 9 novembre, non ci sono stati solo cattivi aggressori e vittime inermi. Come nella prima guerra del Karabach, combattuta tra il 1991 e il 1994, dolore e morte sono presenti da entrambe le parti. Al termine del primo conflitto ci fu un enorme esodo di popolazioni. Centinaia di migliaia di armeni e azeri dovettero lasciare le loro case. E oggi il fenomeno si ripete. Dobbiamo dunque concludere che entrambe le parti portano le medesime colpe? E dobbiamo perciò guardare a quel conflitto in modo neutrale?
Se così facessimo, perderemmo di vista un punto importante: l'attacco militare dello scorso settembre è stato lanciato dall'esercito azero, ben equipaggiato e finanziato dai petrodollari derivanti dalle esportazioni dell'oro nero di cui l'Azerbaijan è produttore ed esportatore. Determinante, per l'esito della guerra, è stato inoltre l'intervento dei consiglieri militari turchi, dei droni di Ankara e dei miliziani siriani pagati da Tayyip Erdogan. L'intervento turco ha fatto della seconda guerra del Karabach un episodio legato al genocidio compiuto dalla Turchia ai danni degli armeni durante e dopo la Prima guerra mondiale.
Il legame tra i due episodi è stato esplicitamente affermato dal presidente turco, a Baku, durante i festeggiamenti per la recente vittoria dell'Azerbaijan. Tayyip Erdogan ha dichiarato che la riconquista del Karabach equivale a una tardiva vittoria dei fratelli Enver e Nuri Pasha, architetti del genocidio armeno compiuto cent'anni fa. Nuri Pasha è stato, tra l'altro, colui che ha ordinato il massacro di 20'000 armeni, nel 1920, durante la ritirata dell'esercito turco-caucasico.
Anche il discorso tenuto a Baku dall'uomo forte del governo dell'Azerbaijan, Ilham Alijew, solleva non poche inquietudini. Il presidente azero ha dichiarato che parti dell'Armenia, inclusa la sua capitale Yerevan, "sono storicamente la nostra terra". Alijew ha inoltre aggiunto: "D'ora innanzi non possiamo che procedere". Si tratta di segnali preoccupanti che lasciano presagire ulteriori conflitti. C'è da sperare che la comunità internazionale voglia ascoltare questi segnali e decida di intervenire per impedire nuovi spargimenti di sangue. (da reformiert.; trad. it. e adat. P. Tognina)