Non potrò mai più ballare

La lotta di Greti Caprez-Roffler per diventare pastora nella biografia edita dalla nipote Christina Caprez

02 settembre 2020  |  Michael Meier

Greti Caprez-Roffler

Allontanarsi dalle tradizioni seguendo nuove vie, affermare l'importanza della disobbedienza civile, creare fatti - è così che funziona l’emancipazione. È questa la strada che la teologa evangelica riformata Greti Caprez-Roffler (1906-1994) seguì per tutta la sua vita, non senza andare incontro a fasi di esaurimento e rassegnazione, divenendo un modello per tutte le donne che in altre chiese sono ancora escluse dall’ordinazione e dal pastorato.
Il 13 settembre 1931 la venticinquenne teologa, fresca di laurea, balzò agli onori della cronaca anche oltre i confini della Svizzera. A Furna, villaggio di montagna grigionese, diciotto uomini componenti l'assemblea della locale parrocchia evangelica riformata elessero la prima pastora a tempo pieno d’Europa, contraddicendo la Costituzione della Chiesa riformata grigionese, e perciò in modo illegale. Il Consiglio ecclesiastico cantonale grigionese reagì immediatamente confiscando i beni della parrocchia di Furna.

Una lotta inutile
Nel 1932 il popolo evangelico grigionese, chiamato ad esprimere il proprio parere, rifiutò a larga maggioranza il pastorato delle donne. Greti Caprez aveva lottato inutilmente, pubblicando numerosi articoli sulla stampa grigionese, a favore dell’ammissione delle donne al pastorato. Tra i sostenitori della causa c’era anche suo padre Joos Roffler, pastore riformato del villaggio grigionese di Igis.
L'elezione di Greti Roffler trovò difensori anche tra noti intellettuali, come il teologo svizzero Karl Barth, allora professore di teologia a Bonn, o Marianne Beth, prima avvocata austriaca.

Come se la sua nomina non fosse stata già abbastanza provocatoria, la giovane teologa si trasferì con il figlioletto e una governante, ma senza il marito, nella casa parrocchiale di Furna. Il marito, ingegnere, lavorava a Zurigo e andava a trovare la famiglia a weekend alterni. Quando effettuava le visite ai parrocchiani, Greti portava il figlio con sé. Dopo tre anni come pastora illegale, gettò la spugna: soffriva troppo per la separazione dall’amato “compagno di matrimonio”, come lei lo chiamava, e decise di trasferirsi a Zurigo: il marito si iscrisse ai corsi universitari di teologia mentre lei cominciò a lavorare come pastore supplente nelle parrocchie della regione.

Una biografia molto dettagliata
La giornalista e sociologa Christina Caprez ha ripercorso con acribia, in un volume pubblicato qualche mese fa, la vita esemplare della nonna teologa. Da buona protestante, Greti Caprez tenne resoconti dettagliati della sua vita. Da quei diari e dalle molte lettere rimaste, la nipote ha ricavato un libro che, forse per rendere giustizia alla nonna e per il piacere di raccontare, è fin troppo prolisso. La biografia è  diventata così in parte una cronaca.

Greti Caprez era senza dubbio una donna indipendente, che a motivo della sua brama di vita infranse le convenzioni. Cresciuta in una casa parrocchiale dei Grigioni, durante i primi anni di matrimonio emigrò a São Paolo con il marito, l’ingegnere Gian Caprez. A causa della crisi economica la donna, incinta, rientrò in Svizzera. A Furna introdusse i calzoni da sci per le ragazze e organizzò serate per le mamme in cui parlava in modo molto disinvolto di sessualità e di contraccezione. Per avere introdotto quelle novità dovette sopportare non poche critiche.
Christina Caprez sottolinea il fatto che all'epoca gli uomini in posizioni di autorità non avevano molto rispetto per le giovani donne che dipendevano da loro. Quando nel 1930, poco prima dell’esame finale all’università di Zurigo, Greti Caprez si recò nell’ufficio del professore di teologia e rettore Ludwig Köhler, questi la baciò sulla bocca. “L’ho trovato così comico che ho represso a stento una risata”, scrisse la futura teologa nel suo diario.

Un'appassionante pagina di storia
La biografia ignora largamente l’aspetto teologico dell'esistenza di Greti Caprez, così come la sua amicizia con l’allora autorevole teologo zurighese Emil Brunner. La nipote della prima pastora grigionese riesce comunque a scrivere un'appassionante pagina di storia della Chiesa evangelica riformata - e nel contempo una storia molto intensa di emancipazione.
Ad un certo punto riporta ad esempio i dubbi della nonna in merito all’opportunità di studiare teologia: “Poi non potrò più ballare e nemmeno più amare e diventerò una vecchia zitella inacidita o al massimo la moglie di un pastore”. Zitella non rimase - fu madre sei volte -, però divenne in effetti la moglie di un pastore quando, a partire dal 1938, il marito prese a esercitare il ministero pastorale in varie comunità.

"La pastora illegale", Segni dei Tempi RSI La1

RSI

Un altro rospo da ingoiare
All’inizio del 20. secolo, in Svizzera, le facoltà di teologia ammisero delle studentesse, ma le chiese negarono  loro il permesso di accedere al pastorato: potevano unicamente lavorare come assistenti pastorali sottoposte all’autorità dei loro colleghi di sesso maschile. Fu soltanto a partire dal 1956 che in alcuni cantoni le donne non sposate (e qualche anno dopo anche quelle già sposate) poterono assumere un incarico pastorale. Nel cantone dei Grigioni il pastorato femminile venne riconosciuto nel 1965. Un anno più tardi, Greti Caprez e suo marito divennero legalmente pastora e pastore a Rheinwald.
Qualche anno prima, nel 1963 - trentadue anni dopo la sua nomina illegale a Furna -, Greti Caprez e altre undici teologhe erano state ordinate e riconosciute come pastore a pieno titolo. Al tempo dell’ordinazione, Greti aveva 57 anni ed era nonna. Ma dovette ingoiare ancora un altro rospo: le donne dovevano lavorare insieme con un pastore e perciò potevano essere nominate soltanto in comunità per le quali erano previsti almeno due pastori. (da Tages Anzeiger; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

Il libro di Christina Caprez, "Das Leben von Greti Caprez-Roffler (1906 bis 1994)", è stato pubblicato dal Limmat-Verlag di Zurigo. È prevista, a breve, un'edizione in lingua italiana, presso l'editore ticinese Casagrande.

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