Semi di pace a Lugano

In Israele e Palestina parlare di pace si può. Due donne dell’associazione “Parent’s Circle” hanno raccontato le loro storie di sofferenza e dolore, ma anche di riscatto e riconciliazione

16 marzo 2019

(Gaëlle Courtens) “Per sedici anni mi sono rifiutata di rivolgere la parola agli israeliani”: Layla Al Sheikh, palestinese di Betlemme, ha perso suo figlio di appena sei mesi, perché era arrivata troppo tardi all’ospedale che si trovava dall’altra parte dei checkpoint. “Era il 2002 e i soldati israeliani non ci facevano passare, ci hanno trattenuti per ore, quando finalmente siamo arrivati, Qussay era morto. Da quel momento ho odiato tutti gli israeliani”, racconta Layla intervenuta mercoledì scorso a Lugano, nel corso di un incontro promosso dalla rivista italiana per il dialogo interreligioso “Confronti” in collaborazione con il Forum svizzero per il dialogo interreligioso e interculturale.

Il dialogo trasforma
Oggi Layla ha capito che solo il dialogo può cambiare le cose. Ma le ci sono voluti 16 anni. Insieme alla sua amica israeliana Ora Lafer Mintz, che vive vicino a Haifa, e che ha perso anche lei un figlio a causa del conflitto, con il progetto “Semi di pace” sono in tournée in Italia e Svizzera, per raccontare le loro storie, e per dire: “la pace è possibile”.

Layla e Ora

Fare luce
Ora, che in ebraico significa “luce”, dopo la morte di suo figlio appena diciottenne, ammazzato da un palestinese mentre faceva il servizio militare nel 2000 durante la seconda Intifada, ha deciso che avrebbe fatto “luce” su quello che non si vede: “la capacità di reagire, guardando negli occhi e ascoltando chi come me ha sofferto per il conflitto, ma dall’altra parte della barricata”.

Dolore senza frontiere
Layla e Ora fanno parte del Parent's Circle, un’associazione composta da famiglie israeliane e palestinesi, che hanno in comune la perdita di un proprio famigliare a causa del conflitto. Oggi conta più di 600 iscritti, intenti a proporre un’altra narrazione rispetto a quella più ricorrente dell’odio e della vendetta.

Il pubblico accorso a Lugano

“Siamo forse l’unica associazione al mondo che vorrebbe vedere diminuire i propri membri, perché questo significherebbe che ci sono meno morti da piangere”, ha detto Layla, che ha organizzato visite di giovani palestinesi al museo dello “Yad Vashem” sulla shoà, perché si è resa conto che la maggior parte dei giovani palestinesi non sa nulla sull’olocausto. Per parte sua, Ora, nelle scuole israeliane, racconta dei villaggi palestinesi rasi al suolo nel 1948 dall’esercito israeliano e di cui non c’è traccia nei libri di storia.

Organizzatori e relatrici

L’uso delle parole
“Ascoltare un altro punto di vista, dice Ora, è un esercizio difficile. Con Layla, per esempio, ho imparato a non dire la parola ‘terrorista’, quando parlo di chi ha ucciso mio figlio, perché per lei si trattava di un ‘combattente per la libertà’”. La riconciliazione passa anche da qui, dall’uso delle parole.
Il pastore riformato Giuseppe La Torre, presidente del Forum svizzero per il dialogo interreligioso e interculturale, ha sottolineato il valore del progetto di “Semi di pace” che ha portato le due donne a incontrare anche gli studenti dei Licei di Savosa e Mendrisio.

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