Il calcio e la religione, ovvero la fede nel pallone

Sport e religione sono tra loro legati, ma anche molto diversi

10 giugno 2021  |  Paolo Tognina

(foto Mohd Aram unsplash)

Nell’antichità, lo sport e la religione sono stati spesso strettamente legati fra loro. I giochi olimpici, nati in Grecia nel 776 avanti Cristo, erano innanzitutto una cerimonia religiosa: la statua di Giove era al centro del quadrilatero sacro di Olimpia. Anche nell’America precolombiana, in Messico, si praticavano giochi con la palla che erano, innanzitutto, cerimonie religiose. E nell’America del sud si disputavano delle gare di corsa, dunque delle competizioni sportive, a carattere sacro.

La vita come una corsa

L’apostolo Paolo di Tarso - che probabilmente era un appassionato di sport, o comunque andava allo stadio dove seguiva di tanto in tanto le competizioni - in una delle sue lettere (1 Corinzi 9,24-27) paragona la vita cristiana alla corsa nello stadio e alle competizioni sportive. E usa proprio l’esempio dei giochi che si svolgono nello stadio per dire che i cristiani dovrebbero considerare la propria vita come una corsa che va affrontata tenendo gli occhi fissi al traguardo da raggiungere.

(foto Jimmy Conover unsplash)

Il prezzo da pagare

Oggi la passione per il calcio - perché è di questo che parliamo, mentre stanno per iniziare i campionati europei - si situa in un contesto diverso. La nostra società è dominata dall’economia di mercato, che impone agli individui di essere redditizi e dunque in grado di produrre prestazioni eccellenti. Questa moderna forma di paganesimo esige che i calciatori diventino degli eroi, siano dei superuomini, compiano imprese eccezionali. Ma questo ha un prezzo: nel calcio, come in molti altri sport, la necessità, addirittura l’ossessione di essere i migliori, produce grandi guasti. E la paura di fallire e di non essere all’altezza delle aspettative, porta al doping, alla depressione, alla droga, in molti casi a sacrifici enormi.

"Il calcio e la religione" - Segni dei Tempi RSILa1

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La condanna di Eco

E viene da chiedersi perché molta gente nutra una passione tanto sfrenata per il calcio e molti tifosi raggiungano certi livelli di furore fanatico. Che si tratti di surrogati che riempiono i vuoti lasciati dalla politica o dalla religione, che non sono più in grado di dare un senso, di proporre una visione, di riunire le persone intorno a un ideale? Il tifo è forse diventato la droga delle democrazie moderne, un palliativo che maschera la mancanza di un progetto collettivo? A questo proposito, Umberto Eco ha espresso un giudizio durissimo: i tifosi del calcio sono tutti barbari, razzisti, antisemiti e sciovinisti che non credono in Dio, ma nella Lazio, nel Borussia, nel Glasgow o nel Celtic.

Tra valori e inganno

Senza dubbio il calcio è in grado di condensare e di drammatizzare i valori fondamentali del mondo moderno: esalta le prestazioni, il merito, la competizione tra uguali, valorizza il gioco di squadra e la solidarietà tra i suoi componenti. Nel calcio il caso, la fortuna, l’imprevedibile hanno un ruolo notevole, per non dire fondamentale: molte partite sono guidate dal caso, e ciò può ricordarci che il merito non è sempre sufficiente - sul terreno da gioco come nella vita - per raggiungere il proprio scopo e imporsi sugli altri.

"Le religioni nel pallone" - Segni dei Tempi RSILa1

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Il calcio allora offre una visione simbolica della nostra società, fino a mostrarne anche gli aspetti più nefasti: la corruzione, l’amore sfrenato per il potere, il doping, l’inganno, la violenza, la prevaricazione, il razzismo, l’odio. E non meno interessante, come argomento di riflessione, sono le immense somme di denaro che girano intorno al mondo del pallone.
Vi ricordate il barone Pierre de Coubertin, il quale diceva “L’importante è partecipare?” E tuttavia mi piace pensare che il calcio sia, malgrado tutto, un dono di Dio. Uno dei tanti che contribuiscono ad arricchire la nostra esistenza. Un gioco nel quale si riflette, con tutte le sue contraddizioni, la nostra vita.

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