Autobiografia di un banchiere protestante

Le riflessioni di Yves Oltramare in un libro che è anche un viaggio spirituale

18 aprile 2021  |  David Haeberli

(foto Egor Myznik, unsplash)

Nato a Ginevra nel 1925, Yves Oltramare ha lavorato a New York, negli anni Cinquanta, prima di rientrare in Svizzera e diventare socio della banca Lombard Odier & Cie. È stato membro del Comitato di investimento del fondo pensioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro, ha presieduto la Fondazione Louis-Jeantet e ha promosso la creazione della cattedra di Religione e politica nel mondo contemporaneo presso il Graduate Institute of International and Development Studies (IHEID) di Ginevra.

Yves Oltramare, ospite del programma RTS "Faut pas croire"

“Ho lavorato come un pazzo!”. L’esclamazione, nella bocca di un “adolescente” di 95 anni, ha la freschezza delle confessioni sincere. Banchiere privato, proveniente da una coorte protestante che ha costruito il leggendario “spirito di Ginevra”, Yves Oltramare ha pubblicato il suo primo libro con l'editrice romanda "Labor et Fides" (“Tu seras rencontreur d’Homme”, 2019). La sua intenzione iniziale era di descrivere il proprio percorso spirituale, a partire dalla scoperta - fatta all'età di 47 anni - della propria vocazione: incontrare l’Uomo. Ha proposto il suo manoscritto a un editore, che lo ha convinto a integrare il lavoro con una parte autobiografica. Yves Oltramare si è quindi immerso nei diari intimi che tiene da quando aveva 14 anni e ha ricominciato a scrivere.

La vita di Yves Oltramare, testimone del 20. secolo, ha il respiro di un Bildungsroman ginevrino. Suo padre organizza in segreto, nel salotto di casa, un incontro fra diplomatici per tentare di risolvere la crisi d’Abissinia che devasta il mondo negli anni Trenta. Mandato in Germania dai suoi genitori nell’estate del 1939, il giovane ginevrino frequenta una famiglia [quella dell'ammiraglio Wilhelm Canaris, n.d.r.] che sarà attiva nell’operazione Valchiria, complotto fallito per assassinare Adolf Hitler.
Giovane uomo, lavora a New York per Lehman Brothers, banca allora emergente che avrebbe rivoluzionato la finanza mondiale. Per conto della banca partecipa in particolare all’introduzione sul mercato borsistico delle automobili Ford. Negli Stati Uniti sperimenta sulla sua pelle il maccartismo: informati che nella sua biblioteca è presente un esemplare del Capitale di Marx, tre agenti dell’FBI fanno irruzione nel suo ufficio per interrogarlo. Rientrato in Svizzera sarà tra coloro che, negli anni Sessanta, hanno costruito la globalizzazione dell’economia, a colpi di viaggi di andata e ritorno in Concorde tra le capitali finanziarie. Una vita romanzesca, abbinata a un percorso spirituale di cui Yves Oltramare parla con parole forti e chiare.

Essere cresciuto a Ginevra è stato importante per il resto della sua vita?

Che cosa sarei stato se fossi nato in un altro contesto? Il mio ambiente familiare è stato determinante. Mio padre era medico [e pastore protestante a Ginevra, n.d.r]. Si è trovato confrontato con tutti i problemi sociali della sua epoca. Il suo lavoro ha avuto un impatto enorme su di me, in un periodo storico straordinario [tra le due guerre mondiali, n.d.r.], fatto di solidarietà e di semplicità. La questione della felicità non si poneva. Eravamo in vita.

A 11 anni ha subito un doppio pestaggio che ha segnato la sua giovinezza...

Allora la vita politica era terribilmente agitata. Le tensioni erano enormi. Io ero molto giovane, non capivo quali questioni ci fossero in ballo, ma sentivo tutto questo. A novembre del 1932 l’atmosfera era febbrile. All’uscita da scuola sono stato effettivamente aggredito da una banda di ragazzi che mi hanno scambiato per il figlio del leader fascista Georges “Geo” Oltramare. Successivamente sono stati alcuni fascistelli a picchiarmi, convinti di avere di fronte il figlio di André Oltramare, socialista e fratello del primo. Mio padre mi ha poi fatto seguire qualche corso di pugilato affinché imparassi a difendermi meglio. A distanza di tempo quello che è successo mi ha fatto riflettere. Mi avevano picchiato in nome di un progetto politico che non comprendevo e a causa di qualcuno che non conoscevo. Tutto era legato all’identità che gli altri mi attribuivano.

Questi eventi e la creazione, molti anni più tardi, della cattedra "Religione e politica nel mondo contemporaneo", che porta il suo nome, al Graduate Institute of International and Development Studies, sono tra loro collegati?

La cattedra affonda effettivamente le sue radici in questi pestaggi, risultato della commistione tra dogmatismo e politica. Ho conosciuto le ideologie fasciste e comuniste nel corso della mia giovinezza. Ho pensato che i politici devono capire che il fenomeno religioso non ubbidisce alla logica della geopolitica che loro conoscono. Durante la mia giovinezza l’ideologia era incarnata da personalità in carne e ossa: Josip Stalin, Benito Mussolini e Adolf Hitler. Ci si riallacciava a personaggi come il generale Guisan, che era la nostra icona. Oggi c’è un vuoto. Ci si ritrova davanti identità. Mi vengono imposti atti in nome di un Dio. Questo rappresenta una deriva terribile. Traggo un bilancio straordinariamente positivo della nostra epoca, ma siamo nell’ignoto. Per questo è necessario il dialogo tra i responsabili politici.

Il mio ambiente familiare è stato determinante.

 — Yves Oltramare

Lei ha partecipato all’introduzione sul mercato borsistico dell’azienda Ford, ha fatto da consulente all’ONU per i suoi investimenti finanziari: si può dire che lei incarni la globalizzazione del 20. secolo?

Sono stato segnato dal pensiero di Pierre Teilhard de Chardin. Era una visione molto nuova, influenzata dalla teoria dell’evoluzione di Darwin. In tale concezione la Terra è un grande villaggio. Far parte dell’umanità è sperimentare la convivenza. Tutte le invenzioni riguardano esperienze di comunicazione. Dal cammino alla ruota passando per la barca. Oggi tutti comunicano. Viaggiando ho sentito quest’evoluzione con tutto il mio essere. Ovunque, ogni volta che incontro qualcuno, so che riusciremo a parlarci. Al contrario, queste stesse persone in un contesto identitario perdono la loro unicità. La comunicazione diventa impossibile. Sono sempre più convinto dal lavoro di Trinh Xuan Thuan sul Big Bang, il cui punto di partenza resta un mistero completo. Si sa soltanto che 13,8 miliardi di anni fa è accaduto qualcosa nello spazio-tempo. Alcuni hanno bisogno di individuarvi un senso, in assenza del quale l’umanità sarebbe votata alla catastrofe e potrebbe scomparire nel giro di qualche decennio. Non lo escludo. Ma questo aspetto non mi interessa molto. Davanti a questo ignoto prendo l’evoluzione come un tessuto in cui ogni atomo, ognuno è essenziale. Ho il diritto di considerare straordinario tutto ciò che fa parte di questa evoluzione. Questo permette di vivere esperienze più appaganti, nella nostra vita personale così come nel lavoro. È così che ho tentato di condurre la mia vita.

Ovunque, ogni volta che incontro qualcuno, so che riusciremo a parlarci.

 — Yves Oltramare

Quindi lei non è d’accordo con quelli che predicono un crollo della civiltà industriale?

Penso in modo positivo, ma non nego alcuno dei problemi esistenti. Non dico che vi sfuggiremo. Non abbiamo scelta. Ma dobbiamo salvare ciò che possiamo salvare.

Che cosa pensa dei giovani che manifestano per il pianeta?

Vedo in questo una speranza straordinaria. Forse non sfuggiremo al riscaldamento globale, se quello che affermano gli scienziati è esatto. Ma i manifestanti non si lasciano raggirare da promesse illusorie. Sanno che il mondo non cambierà per far piacere a loro.

Come ha iniziato a scrivere il suo diario, a 14 anni?

Ero a Stoccarda, in Germania, nell’estate del 1939. Ero solo e molto infelice. Ho cominciato a rivolgermi a me stesso nel mio quaderno. L’ho riletto per scrivere il libro: in un episodio mi prendo cura di un uccellino ferito. In un altro più avanti trascrivo conversazioni della tormentata epoca del nazismo. Le circostanze fecero sì che raggiungessi mio fratello, infortunato, a Monaco. Era alloggiato presso una certa signora Canaris, sorella dell’ammiraglio Wilhelm Canaris, che finirà impiccato in seguito al fallimento del tentativo di assassinare Hitler. Se qualcuno avesse messo le mani sul mio quaderno avrebbe potuto avere problemi. Ho continuato a tenere questo diario in cui racconto come percepivo, da Ginevra, gli eventi bellici. Trascrivevo anche le lunghe discussioni che avevamo con mio padre. Come medico veniva spesso chiamato durante la notte. A volte al suo ritorno parlavamo per ore.

Che cosa l’ha convinta a scrivere un primo libro all’età di oltre novant’anni?

Il mio non è un libro di ricette. È una testimonianza che ho esitato molto a condividere. Esporsi, come protestante, a Ginevra, non è così scontato. Fin da quando ero molto giovane ho voglia di scrivere per capire. Ho la fortuna di aver raggiunto una certa età e di “carburare” normalmente. Sarebbe un errore pensare che la mia vita sia un modello da seguire. Ma il mio libro può aiutare le persone a capire quanto sono preziose. Quando prendo appunti si instaura un dialogo interiore. Scoprire che questo dialogo è in sé possibile è un’esperienza spirituale. Il protestantesimo mi ha permesso, grazie alla libertà di cui godevo, di diventare quello che sono.

Il mio non è un libro di ricette. È una testimonianza che ho esitato molto a condividere.

 — Yves Oltramare

Lei presenta il ritiro spirituale come una risorsa. Come l’ha scoperto?

Sono stato influenzato dalla pratica che ne viene fatta a Taizé. Avevo fatto qualche ritiro anche con i miei genitori e già questo mi aveva detto molto, ma decisivo è stato il mio incontro con padre Maille. Avevo fatto la sua conoscenza a New York e l’ho ritrovato per caso in Europa. Stavo andando avanti nella vita e ho sentito il bisogno di fare il punto. È stato lui a permettermi di scoprire gli "Esercizi spirituali" di Ignazio di Loyola e questo mi ha trasformato. Da allora sento il bisogno di ritirarmi una settimana all’anno. Ciò che mi ha molto interessato in occasione di questi ritiri è stato incontrarvi persone che ne hanno passate di tutti i colori. Vi si scambiano poche idee astratte. Si hanno scambi con persone che sono nel concreto della vita. Si tratta della mia sensibilità. Non pretendo che sia il percorso per tutti. Ma quando le cose arrivano non bisogna opporre resistenza.

Lei parla di sé come di un “adolescente” dal punto di vista spirituale. Perché?

È molto importante. Uno dei pericoli della vita religiosa, tra i fondamentalisti, è di andare alla ricerca di identità "congelate". È il pericolo dei guru, che esigono di essere seguiti. Ne ho visti anche nella finanza, seguiti ciecamente dai loro clienti. Io so che esiste un’evoluzione costante. Il mio percorso mi dà un senso di realizzazione e di serenità. Non corrisponde alla ricerca della felicità. Voglio dire alle persone che devono scoprire da sole che sono formidabili.

Il mio percorso mi dà un senso di realizzazione e di serenità. Non corrisponde alla ricerca della felicità.

 — Yves Oltramare

Lei ha esercitato una professione i cui eccessi di avidità possono nuocere a tutto il pianeta. Non è in contraddizione con le sue convinzioni religiose?

L’avidità non ha nulla a che vedere con la banca. Ritengo, al contrario, che sia stata un’occasione straordinaria per esercitare il mio mestiere. Mi ha confermato che c’è una via di mezzo tra spiritualità e azione. La finanza riguarda tutti. Il mio ufficio assomigliava a un confessionale. Vi ricevevo intere famiglie. Ero un po’ meno tecnico rispetto ad altri soci.

Dopo essersi esposto in questo modo, teme le reazioni della società protestante ginevrina?

Un tempo avrei potuto avere questa apprensione, ma oggi non più. Conosco bene il mio pubblico. E superati i 90 anni non ti preoccupi più di quello che dicono di te. (da Le Temps; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

Yves Oltramare, ospite della trasmissione RTS "Faut pas croire"

Yves Oltramare è stato ospite, pochi mesi fa, della trasmissione televisiva RTS "Faut pas croire". Un'appassionante intervista a cura di Linn Levy. Rivedila qui.

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