Nord Irlanda. Occorre rispettare l'identità di tutti

A 23 anni dall'Accordo del Venerdì Santo la Brexit riapre vecchie ferite

14 aprile 2021  |  Barbara Battaglia

Belfast, esponenti religiosi contrari alle violenze (foto Twitter)

Riesplodono le proteste a Belfast, in Irlanda del Nord. Le tensioni non accennano a placarsi, nonostante gli appelli alla calma lanciati dal premier britannico Boris Johnson e dall’omologo irlandese Micheál Martin, leader del partito di centrodestra irlandese Fianna Fail. “La via da seguire - hanno dichiarato in un comunicato congiunto - è il dialogo e il lavoro delle istituzioni dell’Accordo del Venerdì Santo”. L'Accordo, firmato 23 anni fa, il 10 aprile del 1998, ha segnato profondamente il percorso verso la pace nella regione. L'agenzia NEV ha parlato della situazione con Nicola Brady, segretaria generale del Consiglio delle chiese d’Irlanda, l'Irish Council of Churches.

Com’è la situazione? Che atmosfera si respira?

La situazione è preoccupante, per diversi motivi, stiamo vivendo momenti che ci ricordano giorni molto bu che pensavamo di avere alle spalle. C’è poi il timore per la pandemia, e tutto ciò che il Covid comporta in termini di pressione sui servizi pubblici. Vediamo ragazzini molto giovani, teenagers, che sono stati fermati in questi giorni durante i disordini e questa è una delle cose che più ci spaventa. Rischiano molto, di farsi male e far male agli altri, anche di finire in carcere, ma sembrano non pensare al loro futuro, alla loro comunità ma nemmeno alla loro vita. Cerchiamo di fare pressione sui leader politici per una risposta unitaria a tutto ciò e sentiamo come chiese la responsabilità di esporci e far sentire la nostra voce per porre fine a quanto sta accadendo.

A pochi giorni dall’anniversario dell’Accordo del Venerdì Santo siglato nel 1998 pensa che la pace sia davvero a rischio?

C’è una questione di identità. La decisione di tenere l’Irlanda del Nord all’interno dell’Unione Europea ed evitare di rimettere nuove frontiere, dopo la Brexit, è stata vista da alcune comunità, in particolare dai cosiddetti lealisti, come una perdita di identità. Di conseguenza hanno ritirato il loro sostegno all’accordo del Venerdì Santo. Questo è molto preoccupante e le violenze sono un pericolo reale, sia in termini individuali che collettivi. Come chiese vogliamo ricordare a tutti cosa è stato raggiunto con quegli accordi storici, che hanno rappresentato la fine della violenza. Ma siamo anche molto chiari: la riconciliazione non è finita con la firma di quegli accordi. Continuiamo a lavorare, quindi, per un percorso di pace. Sappiamo che persistono disuguaglianze socioeconomiche che hanno delle conseguenze sulle persone. Pensiamo alla disoccupazione, per esempio. Occorre tornare allo spirito di quell’accordo e a un tavolo in cui si dialoghi, e occorre dire a tutte le parti in causa “la tua identità sarà sempre rispettata”, che tu ti consideri irlandese, britannico o entrambe le cose o nessuna delle due. Tutti meritano di essere inclusi e compresi.

Quale può essere il contributo delle chiese?

Siamo molto impegnati nella commemorazione e nella riconciliazione rispetto a quanto il nostro Paese ha attraversato, ai traumi che il conflitto ha portato. Sono ancora in corso diversi procedimenti giudiziari, ma manca una commissione e strategie ad hoc per l’elaborazione del nostro passato. Le tante vittime e i sopravvissuti delle violenze degli anni scorsi sono i nostri primi alleati nel lavoro che cerchiamo di fare soprattutto coi più giovani. Ci aiutano a far capire ai ragazzi e alle ragazze che è possibile pensare il futuro in modo diverso, nel rispetto dell’identità di tutti. La sfida principale è questa: fare in modo che i più giovani non si abituino a vivere in un clima di violenza, come hanno purtroppo dovuto fare le generazioni che li hanno preceduti.

Una delle ragioni dei disordini è la rabbia di alcuni gruppi di unionisti per la recente decisione della polizia locale di non procedere penalmente contro la violazione delle restrizioni anti Covid da parte di centinaia di reduci e dirigenti repubblicani - inclusa Michelle O’Neill, vice prima ministra del governo nordirlandese e leader del partito del Sinn Féin - in occasione del funerale di uno storico ex esponente di spicco, Bobby Storey. Cosa ne pensa?

È sicuramente una delle ragioni per le quali è montata la rabbia verso la polizia e i vertici delle forze dell’ordine (Arlene Foster, primo ministro dell’Irlanda del Nord e leader del Partito Unionista Democratico, aveva inizialmente chiesto le dimissioni del capo della polizia Simon Byrne, ndr). Organizzare i funerali in questo periodo è stato ovviamente un tema molto complesso e delicato per tutti. Ma la preoccupazione principale è che si inneschi ora un meccanismo per il quale chiunque si senta libero di non rispettare le restrizioni contro il Covid. E per quanto riguarda il rapporto con la polizia vogliamo ricordare che è possibile criticare il loro operato ma che la violenza non è mai un modo per incanalare questo dissenso. E che abbiamo molte esperienze virtuose di rappresentanti delle forze dell’ordine che hanno lavorato ogni giorno, in questi mesi, per aiutare la popolazione, distribuire pasti e sostenere le fasce più vulnerabili.

“Nonostante le frustrazioni che possono essere avvertite, un ritorno alla violenza nelle strade dei nostri paesi e città non è mai la risposta”. Così il vescovo di Connor, George Davison, dopo i giorni di violenze e scontri che si sono verificati in particolare a Belfast, in Irlanda del Nord.
La Chiesa d’Irlanda fa parte della Comunione anglicana mondiale che conta 70 milioni di membri in 164 paesi. La diocesi di Connor, nella provincia di Armagh, la capitale religiosa del Paese, è una delle 12 diocesi dell’isola. In una dichiarazione pubblicata il lunedì di Pasqua, i vescovi della chiesa d'Irlanda hanno condannato i recenti disordini nella provincia definendoli “sbagliati” e hanno chiesto la fine delle rivolte e delle distruzioni.
(agenzia NEV, adat. P. Tognina)

"L'ombra della Brexit", Segni dei Tempi RSI La1

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