Chiese e digitalizzazione durante la pandemia

I risultati di una ricerca ecumenica effettuata durante la prima ondata

31 marzo 2021

Culto online con Santa Cena (foto: ve/gc)

La pandemia ha dato alla chiesa un impulso alla digitalizzazione? Una ricerca su vasta scala ha approfondito la questione. Il teologo Thomas Schlag, promotore della ricerca e direttore del Centro per lo sviluppo della chiesa (ZKE) dell’Università di Zurigo, nonché del centro di ricerca “Digital Religion(s)”, parla di “scetticismo dei protestanti” nei confronti della tecnologia, ma anche di come la situazione potrebbe evolversi. Andreas Bättig lo ha intervistato per ref.ch.

Chiese online in tempo di Covid-19

Con il nome Churches Online in Times of Corona (Contoc), nel 2020 è stato condotto un sondaggio ecumenico internazionale. La ricerca si è concentrata in particolare sull’offerta digitale delle chiese in condizioni di limitazione dei contatti sociali e dei raduni durante la prima ondata della pandemia tra la primavera e l’inizio dell’estate. Alla realizzazione del sondaggio hanno preso parte lo stesso ZKE, le cattedre di Teologia pratica delle Università di Zurigo, di Würzburg e di St. Georgen, l’Istituto svizzero di sociologia pastorale di San Gallo (SPI), così come l’Istituto di studi sociali della Chiesa evangelica in Germania (EKD), con collaboratori di 22 paesi. Nel periodo di rilevazione, da fine maggio a metà luglio 2020, hanno partecipato al sondaggio, prevalentemente quantitativo, un totale di quasi 6.500 pastore, pastori, parroci e assistenti spirituali, di cui circa 5.000 delle chiese evangeliche e cattoliche in Germania, Svizzera e Austria. 

Prof. Dr. Thomas Schlag (foto: idea/rh)

 

Thomas Schlag, quali sono state le risposte per lei più sorprendenti di questa ricerca?
Mi ha stupito in che misura pastore e pastori siano diventati digitalmente creativi e attivi – e come per tanti la fede e la spiritualità abbiano avuto un ruolo molto importante. Solo pochi interpellati hanno detto di non aver fatto alcun ricorso al digitale e di essersi isolati. La chiesa è stata presente in molti modi diversi. A livello digitale, pastorale, diaconale. Perciò ritengo che l’affermazione secondo la quale la chiesa non avrebbe “rilevanza sistemica”, sia un’insinuazione assolutamente infondata.

Qual era lo scopo dell’indagine?
Per noi era un’opportunità unica per poter osservare come il lockdown fosse legato al ben più ampio processo di digitalizzazione delle chiese. Volevamo sapere quale forma avesse assunta l’offerta durante questo periodo e che cosa comportava per pastori e sacerdoti e per la percezione del loro ruolo. 

Come si è comportato il personale ecclesiastico durante il lockdown?
In relazione alla digitalizzazione si è trattato di un intenso “learning by doing”. Nella maggior parte dei casi hanno reagito velocemente, anche se la qualità dei contributi digitali era molto varia. Ma sono state comunque reazioni davvero impressionanti, soprattutto in vista dei culti di Pasqua e di Pentecoste.

Secondo la vostra ricerca soltanto la metà delle persone interpellate ha dichiarato di essere attiva sui social network. È stata una sorpresa per lei?
Sì e no. Bisogna chiedersi se ora il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto. Ma spero che adesso, a un anno di distanza, le cose siano un po’ cambiate. Finora chi utilizzava i social era considerato quasi un “nerd” nella chiesa. Il mondo digitale ha però un potenziale enorme. La chiesa può esservi presente giorno e notte, per così dire, 24 ore su 24 e 7 giorni su 7.

Da dove nasce questo rifiuto del digitale?
Proprio nel protestantesimo c’è una lunga tradizione di scetticismo nei confronti della tecnologia. Lo si osserva per esempio nelle rivoluzioni scientifiche del 19. secolo, accusate di costituire un pericolo per la condizione umana. Poi negli anni ‘50 si acquisì, sebbene a fatica, un po’ di dimestichezza con la televisione e soprattutto con i culti televisivi. A questo punto sarebbe necessario un ripensamento riguardo ai nuovi media. Che piaccia o no gli spazi digitali hanno un’influenza decisiva nel plasmare la nostra cultura. 
Tuttavia, la maggior parte degli interpellati considera la comunicazione online piuttosto un’opportunità. Ma alcuni domandano, e a ragione, se la digitalizzazione non vada a detrimento del sentimento comunitario e non conduca in maniera ancora più marcata rispetto a prima a forme solo individuali di pratica religiosa. Ma lo considero un giudizio troppo affrettato.

Può spiegarsi meglio?
Nel mondo digitale viene a mancare, in una certa misura, la corporeità. Sperimentiamo forme completamente nuove di esperienza religiosa che, anche se vissute in rete, sono molto reali. Inoltre, mi chiedo se nella pandemia non sia stato evocato il mito dell’importanza della presenza fisica della comunità. Ovviamente mancano anche a me l’atmosfera e la cultura dell’incontro dei culti abituali. Ma già prima del Covid-19 la comunità presente in chiesa constava spesso soltanto di una piccola parte della congregazione. Adesso il digitale permette un’esperienza dello spazio e un’autonomia temporale del tutto nuove.

Quale forma assume il collegamento online delle chiese durante il lockdown?
Ha luogo soprattutto a livello di parrocchie. Lì si è cercato di capire come unire le forze, avvalendosi in particolare del lavoro di squadra, ma anche delllo scambio tra colleghi e colleghe. Personalmente mi sarei auspicato una maggiore connettività, in particolare a livello ecumenico, interreligioso e politico.

Come avrebbe potuto presentarsi questo collegamento in rete?
Nelle crisi si coniugano in maniera ingegnosa mezzi e competenze, si pensi per esempio a certe catastrofi naturali quando tutti gli specialisti uniscono le forze. Nel caso della gestione ecclesiastica della crisi ho l’impressione che si sia voluto fare molto da soli e che non si sia fatto sufficientemente ricorso alle risorse comuni in loco, come invece sarebbe stato possibile fare.

Lei ha studiato anche le conseguenze della pandemia sulle offerte formative delle chiese. Cosa è emerso?
Questo è un capitolo molto triste. Durante la pandemia la maggior parte del personale ecclesiastico, chi più chi meno, ha interrotto i contatti con i loro giovani, soprattutto per quanto riguarda la preparazione alla cresima o confermazione. Meno della metà sono rimasti in dialogo con loro durante la crisi – e questo con tutte le dolorose esperienze legate al periodo. Appena un terzo ha proseguito l’insegnamento online. Devo proprio dirlo: ma è mai possibile? E sa qual è il colmo?

Me lo dica.
Che appena il 10% degli interpellati si è inventato qualcosa di speciale per il giorno della cresima o della confermazione. In tutti gli altri casi semplicemente non è stato fatto nulla in quella data così importante e a lungo pianificata. Pare che abbiano soltanto fatto sperare in una celebrazione futura. Lo trovo a dir poco sorprendente e anche ben poco pastorale.

Quali feedback le sono arrivati dai suoi interlocutori?
È arrivato un numero incredibile di interventi scritti, spesso formulati in modo assai personale – molti ci hanno addirittura aperto il loro cuore. Hanno vissuto una situazione di crisi non solo a livello personale e professionale, ma anche ecclesiale. Ho l’impressione che le esperienze legate alla pandemia si siano trasformate in una sorta di catalizzatore di una nuova riflessione: come possiamo essere presenti in ogni caso e in che misura riusciamo ad andare al di là di ciò a cui siamo abituati?

Alla luce dei risultati emersi dalla Contoc, quali consigli si sentirebbe di dare alle chiese?
Secondo me, dopo queste esperienze di crisi, c’è anzitutto bisogno di un periodo di autentica riflessione. Non possiamo semplicemente ritornare alla routine quotidiana o possibilmente al “prima”. Dopo la pandemia deve aver luogo per prima cosa un debriefing interno alla chiesa. Con domande come: che cosa nelle offerte di comunicazione digitale si è rivelato davvero efficace e che cosa deve perciò essere assolutamente portato avanti? Come l'abbiamo vissuta noi stessi, in quanto responsabili, nonché interessati in prima persona? Le parrocchie e il loro personale dovrebbero a questo riguardo esaminare attentamente che cosa sono stati in grado di fare e che cosa no. E quindi portare avanti una riflessione strategica su come strutturare la propria offerta anche digitalmente in modo tale da mantenere una relazione pluridimensionale con le persone. (trad.: G. M. Schmitt; adat.: G. Courtens)

 

 

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