Svizzera. Vivere il lutto al tempo del virus

La pandemi lascia disorientati di fronte alla malattia e al distacco

08 febbraio 2021  |  Heimito Nollé

La pastora riformata Karin Baumgartner ha sperimentato nella propria comunità quanto brutalmente il coronavirus possa colpire. Intervistata, spiega come la pandemia abbia cambiato il modo di vivere il lutto e perché, nonostante tutto, veda questo periodo anche come un’opportunità.

La seconda ondata ha portato nuovamente molta sofferenza. Come ha vissuto le ultime settimane?

È stato un periodo intenso per la nostra comunità. Tra Natale e Capodanno è scoppiato un focolaio di coronavirus in una casa per anziani che ha provocato la morte di un terzo dei residenti. È stato molto difficile. In primo luogo per i parenti. Ma anche tra il personale di cura e gli ospiti della casa la costernazione è stata enorme.

Come ha affrontato la situazione, nella sua veste di pastora?

Anche per la nostra équipe di pastori si è trattato di una situazione fuori dell’ordinario. Era evidente che i parenti erano sopraffatti e non riuscivano a decidere come organizzare l’ultimo saluto. Di conseguenza noi ricevevamo le notifiche di decesso, ma nessuna indicazione per la sepoltura. Allora cercavamo di stabilire un contatto telefonico con i parenti. Adesso un mio collega, responsabile del lavoro con le persone anziane, effettua visite regolari in quella casa per anziani. Inoltre ha tenuto una piccola cerimonia commemorativa alla quale ha assistito anche il personale di cura.

Esequie e funerali sono attualmente possibili soltanto con rigide limitazioni. È un problema per i parenti?

Parlando con i parenti, percepisco un forte disorientamento. Spesso non hanno nemmeno in chiaro che cosa sia possibile fare. È il caso, per esempio, quando i parenti vengono da fuori e non sanno quali regole sono in vigore a Zurigo. Cerco allora di spiegar loro che cosa possiamo fare e che cosa purtroppo non è al momento possibile.

Ne derivano conflitti?

Finora non ho mai sperimentato conflitti a causa delle limitazioni. Nella maggior parte dei casi i parenti comprendono bene che attualmente le misure di protezione accresciute sono indispensabili. Ma ciò non facilita necessariamente le cose. Nella nostra comunità è morto di recente un uomo che nel villaggio era considerato una personalità. In tempi normali la chiesa sarebbe stata sicuramente gremita. Ma in tempi come questi la famiglia ha dovuto prendere commiato da lui in una cerchia relativamente ristretta.

Karin Baumgartner, pastora a Hinwil
Che cosa dice ai parenti?

A causa delle misure di protezione non siamo in grado di offrire loro una vera alternativa. Parlando con loro cerco quindi di scoprire se una celebrazione in una cerchia ristretta potrebbe essere un’opzione plausibile. In linea di principio ci sarebbe anche la possibilità di rinviare la cerimonia. Ma sono in pochissimi a volerlo.

Che cosa manca maggiormente ai parenti nella situazione attuale?

Una parte importante della cerimonia funebre è il mangiare insieme [una consuetudine diffusa nella Svizzera tedesca, ndr.] dopo la sepoltura. Sono occasioni per dialogare e scambiarsi parole di conforto. È qualcosa che alle persone manca. Adesso restano invece più a lungo in chiesa, perché non hanno un altro luogo dove andare e parlare. Constato anche che dopo la sepoltura le famiglie si trattengono più a lungo sulla tomba per dialogare. È accaduto anche che dopo la funzione la famiglia in lutto abbia condiviso uno spuntino con i presenti.

Le persone che hanno perso un proprio caro a causa del coronavirus spesso non sono riuscite a dare un degno commiato al defunto. Queste persone necessitano di un accompagnamento specifico?

Dipende, di recente ho accompagnato una famiglia che non aveva avuto praticamente più contatti con la persona defunta. I suoi cari mi hanno detto che la signora era già molto anziana e che soffriva di disturbi, perciò era stato meglio così per lei. Per altri la situazione particolare è più difficile da affrontare. Soffrono e hanno bisogno di parlarne. Ma ci sono altre persone per le quali la situazione è ancora più ardua.

Chi sono?

Tendiamo a dimenticare che le persone non muoiono soltanto di coronavirus, ma anche a causa del coronavirus. Ho dovuto per esempio seppellire un uomo che si era suicidato perché a causa della pandemia non intravedeva più alcuna prospettiva di lavoro. Per i parenti è stato tanto più tragico in quanto l’uomo, sulla cinquantina, era nel pieno della sua vita. Perciò la madre del defunto non riusciva ancora a compiere la separazione e aveva rinviato la cerimonia in chiesa, limitandosi alla deposizione dell’urna nel cimitero in una cerchia ristrettissima.

Durante la crisi del coronavirus anche persone anziane e isolate avevano bisogno di aiuto. Com’è rimasta in contatto con queste persone?

Abbiamo intensificato i contatti telefonici. In particolare proprio con le persone assenti ai culti. A Pasqua, a Pentecoste e a Natale un mio collega ha inviato una cartolina alle persone anziane. Inoltre già la scorsa primavera abbiamo iniziato a sviluppare un’offerta online.

Che cosa significa in concreto?

Dapprima abbiamo celebrato culti online e li abbiamo caricati sul canale YouTube della nostra comunità. Quando è stato di nuovo possibile celebrare culti in presenza siamo passati alla diretta streaming sino alla fine delle ferie estive. A novembre abbiamo ricominciato a riprenderli. Dalle trenta alle quaranta famiglie almeno seguono il culto in diretta. Poi fino al prossimo culto i video ottengono oltre 100 visualizzazioni. Senza l’aiuto di volontari non saremmo in grado di offrire questo servizio.

E in questo modo raggiungete anche le persone anziane?

Le competenze digitali delle persone anziane sono talvolta sottovalutate. E anche quando non sono molto portate per il digitale hanno spesso qualcuno vicino pronto a mostrare loro come fare. Durante il primo lockdown in primavera ho anche constatato che più persone si riunivano per seguire il culto insieme.

Il coronavirus ha causato molta sofferenza. Tuttavia, c’è qualcosa di positivo che lei trae da questo periodo?

Per me il coronavirus è stato un’opportunità per sperimentare e provare cose nuove. Con un collega cattolico ho per esempio organizzato una cerimonia commemorativa per gli Sternenkinder, i bambini nati morti o morti poco dopo la nascita. Per la vigilia di Natale abbiamo inoltre allestito una chiesa aperta con una serie di stazioni che raccontavano la storia del Natale. È stata un’occasione meravigliosa per dialogare con le persone. Per il mio culto più recente ho invitato la gente con un post su Facebook a condividere le loro richieste di intercessione. L’iniziativa ha ottenuto un’eco considerevole. È un periodo difficile e sono molte le nuove sfide che continuano a presentarsi a causa del coronavirus. Ma mi rendo anche conto che sono state e sono possibili molte cose che altrimenti non lo sarebbero probabilmente state.

Karin Baumgartner è pastora a Hinwil, nell’Oberland zurighese. In precedenza è stata fra l’altro pastora a Dübendorf, Zurigo, dove si occupava soprattutto del lavoro con i bambini e le famiglie. Da adolescente e da giovane è stata inoltre impegnata nell’associazione giovanile Cevi. Dal 2018 è membro del Sinodo di Zurigo. (da reformiert.info; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

Articoli correlati