Hong Kong democrazia a ogni costo

La mobilitazione di una grande parte della popolazione di Hong Kong prosegue. Tra i manifestanti ci sono anche molti cristiani

15 settembre 2019

Dallo scorso mese di giugno Hong Kong non ha pace. Grandi manifestazioni che coinvolgono fino a due milioni di persone scuotono la metropoli cinese. Sono soprattutto i giovani a voler difendere la democrazia nella ex colonia inglese restituita alla Cina. Ad accendere il fuoco della protesta la contestata legge sull'estradizione da Hong Kong di quelli che Pechino considera "fuggitivi". Carrie Lam, capo dell'esecutivo dell'ex colonia, era pronta a firmare il decreto, le proteste l'hanno costretta a sospendere la misura.
Il pastore evangelico francese Antonin Ficatier ha prestato servizio a Hong Kong, per tre anni, nella "Union Church", una chiesa fondata da missionari scozzesi. Ora lascia l'ex colonia britannica per assumere un incarico pastorale in Inghilterra. Il settimanale francese Réforme lo ha incontrato per sapere che cosa sta succedendo nella metropoli asiatica.

I cristiani partecipano alle manifestazioni per la democrazia?
Le chiese internazionali, nelle quali ho prestato servizio, non si espongono perché temono di perdere il diritto a rimanere a Hong Kong. In effetti, da due anni a questa parte la situazione delle chiese internazionali in Cina è peggiorata considerevolmente e questo si sente anche nella ex colonia. Inoltre bisogna considerare che i fedeli di quelle chiese risiedono spesso solo temporaneamente a Hong Kong e dunque non hanno molti contatti con la realtà della città.
Invece le chiese locali sono molto impegnate. A Hong Kong è risaputo che uno dei leader della protesta è un pastore di una chiesa evangelica metodista, molto impegnato politicamente.

Ma le chiese locali non corrono anch'esse il pericolo di vedere limitati i loro diritti partecipando alle proteste?
È possibile che sia così, ma le chiese locali si battono per la loro città. Tra i ceti più modesti regna una certa disperazione perché sanno che tutto ciò che hanno è Hong Kong. L'ho percepito tramite i contatti che ho allacciato con molti giovani i quali si sentono in trappola perché non hanno il permesso di emigrare. Chi ha effettuato degli studi all'estero o possiede più passaporti si sente invece al riparo: "Se le cose si metteranno male", dicono, "possiamo lasciare la città".

Molti si sentono in trappola perché non hanno il permesso di emigrare

Lei pensa che sia possibile una reazione violenta da parte delle autorità cinesi?
A Hong Kong c'è chi dice che un intervento diretto della Cina è escluso perché susciterebbe reazioni molto forti. E quindi è più probabile che continui a durare un clima da "guerra fredda". E forse la Cina ha interesse a permettere che le violenze continuino, perché a lungo andare potrebbero discreditare il movimento. Pechino ha comunque sempre inviato dei segnali, più o meno evidenti, della propria presenza, ad esempio schierando dei carri armati lungo la frontiera, a Shenzhen. La minaccia dunque non è mai lontana.

Cristiani coinvolti nella protesta

Che cosa l'ha colpita maggiormente nel corso degli ultimi mesi?
Innanzitutto il fatto che i manifestanti sono in maggioranza molto giovani. A scendere in strada sono soprattutto studenti e giovani adulti. Carrie Lam, capo dell'esecutivo, e con lei altri membri del governo, li considerano giovani viziati. Credo che ciò sia dovuto proprio alla differenza generazionale che li separa.
Ho notato inoltre che c'è stato una crescita della violenza. Hong Kong è conosciuta per essere una città pacifica, nella quale tutti si sentono al sicuro. Le proteste violente non appartengono alla cultura locale. In città tutti sono abituati a lavorare sodo e a non pensare ad altro che al lavoro.
Ho anche notato che i manifestanti sventolano spesso bandiere britanniche, americane o addirittura del vecchio Commonwealth. Mia moglie è inglese e si è spaventata, dicendo: "Ma come, vogliono tornare ad essere una colonia britannica?".

Union Jack a Hong Kong

La protesta è bene organizzata: tutti sanno dove trovare dell'acqua, o degli ombrelli con cui proteggersi, attraverso le reti social

Infine ho assistito, per la prima volta, a una manifestazione 2.0. La presenza e l'uso dei cellulari è incredibile. Tutti pubblicano dei video di ciò che sta accadendo, in diretta. Addirittura è stata creata un'app per le manifestazioni. Ho l'impressione che le agitazioni non finiranno tanto presto e che nessuno sappia dire dove porterà tutto questo. (da Réforme; intervista di Claire Bernole; trad. it. P. Tognina)

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