L'etica protestante di Alfred Escher

La statua di Alfred Escher troneggia di fronte alla stazione centrale di Zurigo

06 marzo 2019  |  Delf Bucher

Lavorare fino allo sfinimento: per il celebre imprenditore e uomo politico riformato svizzero Alfred Escher il lavoro era una sorta di religione, come sostenne - nel sermone pronunciato in occasione dei funerali di Escher, a Zurigo - il teologo Alexander Schweizer.

Etica del lavoro

L'uomo a cui la Confederazione elvetica deve la realizzazione del primo tunnel ferroviario del San Gottardo e la creazione del Politecnico federale, ma anche della Rentenanstalt (oggi Swiss Life) e della Schweizerische Kreditanstalt (oggi Credit Suisse), Alfred Escher, nacque esattamente 200 anni fa. Il "barone di ferro" fece in modo che tutte le strade ferrate conducessero a Zurigo e che qui sorgesse il nodo ferroviario più importante della Svizzera. In occasione del bicentenario della sua nascita, i media fanno a gara nell’uso dei superlativi. “Era un titano”, esulta il biografo di Alfred Escher, Joseph Jung, il quale non esita a sostenere che tutto il DNA della Svizzera moderna sia riconducibile a Escher: piazza finanziaria e centro di ricerca, sistema ferroviario e industria turistica.

Alfred Escher

Dormiva in ufficio

Nell'ampia biografia di Escher scritta da Jung, si trovano molte tracce che mostrano come nell’arcicapitalista Escher si incarnasse ciò che il sociologo tedesco Max Weber ridusse alla formula “etica protestante del lavoro”. L’argomento principale nella catena di prove a dimostrazione che Escher costituisca un caso esemplare di virtù del lavoro riformata è la seguente caratteristica: rampollo di una famiglia facoltosa, cresciuto in una splendida villa che si affaccia sul lago, a Wollishofen, non si trastulla con la sua cospicua eredità, ma si vota anima e corpo al lavoro. Non lo si vede spesso nella Villa Belvoir, poiché preferisce dormire nel suo ufficio, presso il Kreditanstalt (l’odierno Credit Suisse), pur di non sprecare troppo tempo ritornando a casa.

Alfred Escher

L’inquieto capitano d’industria e politico è stato elogiato da Gottfried Keller, il più grande romanziere svizzero, per la sua ferrea disciplina: “Figlio di un milionario, si accolla i lavori più impegnativi dalla mattina alla sera, si assume incarichi ampi e gravosi a un’età in cui altri giovani in possesso della sua ricchezza penserebbero soprattutto a godersi la vita”.

Un vero stakanovista

Sin dal primo momento in cui fece ritorno a Zurigo, dopo avere terminato gli studi all’Università di Lipsia, il giovane Escher dimostrò di essere uno stacanovista. Nel 1844, ad appena 25 anni, sedeva già in Gran Consiglio e a 28 anni in Consiglio di Stato. Nel 1857 Escher era presidente del Consiglio di amministrazione del Credito svizzero, presidente della direzione della Ferrovia del Nord-Est, presidente del Consiglio nazionale, presidente del Gran Consiglio di Zurigo e vicepresidente del Consiglio dei politecnici federali. Questa mole di lavoro minò la sua costituzione, ma non gli impedì di concepire il suo progetto più ambizioso, il traforo del Gottardo.
Fu tuttavia proprio il progetto del Gottardo a provocare il crollo di Escher. Quando allo Schweizerhof  di Lucerna venne festeggiato l’abbattimento dell’ultimo diaframma di quello che era allora il tunnel più lungo del mondo, l’uomo che aveva promosso l’opera del secolo non figurava nella lista degli invitati. I problemi finanziari del cantiere più difficile della Svizzera lo avevano fatto cadere in disgrazia.

Le radici protestanti

Nell’etica del lavoro di Escher c'era davvero qualcosa di protestante? Nel vasto elenco dei suoi incarichi, figura anche il mandato di consigliere parrocchiale di Zurigo. A spiccare è soprattutto il fatto che fin dalla giovinezza ebbe un’educazione religiosa. Fu formato da una squadra di teologi, per esempio il suo insegnante di ginnastica Alexander Schweizer, che in seguito sarebbe diventato il più celebre teologo della città di Zwingli.

Censura cattolica

Escher si mostrò un politico riformato nei difficili anni del Kulturkampf. Tenne discorsi polemici contro i gesuiti e fece sopprimere il convento di Rheinau. “Non vogliamo conventi nel paese!” disse, e pare che abbia aggiunto: “Nel mio cantone, Zurigo, non c’è posto per i fannulloni!” Naturalmente era interessato soprattutto ai beni monastici, che vennero in gran parte destinati alla costruzione del politecnico federale.
Al contrario del suo amico Gottfried Keller, a cui l’incontro con il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach fece perdere la fede, Escher continuò a credere in Dio. Almeno questo è ciò che disse Schweizer nel suo discorso di commiato nel Fraumünster: “Non è mai stato dell’idea che quanto più ordine, connessioni e coerenza si riconoscessero nella natura tanto più la fede sarebbe dovuta passare in secondo piano”. Poi Schweizer sottolineò come per Escher il lavoro si fosse trasformato in un momento religioso, che non fu scosso nemmeno dalla profonda caduta seguita alla crisi del Gottardo: “Chiedete se quest’uomo sia stato felice? Non nel senso in cui si è soliti intenderlo. Sì nel senso che lui attribuiva alla felicità. Disse quando ancora nessuno lo conosceva: ‘La cosa migliore della vita è il lavoro, la fatica e l’impegno’. Rimase un lavoratore e in ciò trovò la sua soddisfazione, lui che al pari di altri avrebbe potuto crogiolarsi nel piacere e nel dolce far niente, un lavoratore fino all’eccesso, tanto da diventare quasi cieco e avere la costituzione minata. Eppure sopportò con dignità questa sofferenza che lo devastava”. (da reformiert.; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

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