Ecumenismo del cuore

Ne parliamo con il nuovo moderatore del Consiglio ecumenico, il vescovo Heinrich Bedford-Strohm reduce da una visita in Vaticano

03 aprile 2023  |  Gaëlle Courtens

Da sin.: Heinrich Bedford-Strohm, Papa Francesco, Jerry Pillay (foto: Vatican Media)

“Ci lega la comune fede in Cristo, un legame non solo spirituale, ma anche umano, e si sente”. È quanto ci ha detto a caldo, dopo l’incontro con papa Francesco in Vaticano lo scorso 23 marzo, il vescovo luterano Heinrich Bedford-Strohm. Per lunghi anni è stato il presidente della Chiesa evangelica in Germania (EKD), nonché vescovo della Baviera, e da pochi mesi ricopre l’incarico di moderatore del Comitato Centrale del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), organismo nato nel 1948 con sede a Ginevra e che riunisce 350 chiese anglicane, evangeliche, ortodosse e vetero-cattoliche in tutto il mondo.

Non è la prima volta che Bedford-Strohm incontra papa Francesco, ma è la prima volta che lo incontra in questa nuova veste. Presente in Vaticano anche il nuovo segretario generale dell’organismo mondiale di chiese, il pastore sudafricano Jerry Pillay, eletto lo scorso giugno, e a tutti gli effetti operativo dal 1. gennaio.

Incontro inedito
Durante l’incontro in Vaticano - il primo di questo genere - si è parlato di dialogo ecumenico, accoglienza dei rifugiati, lotta al cambiamento climatico e guerra in Ucraina. L’intento dei due rappresentanti del CEC era quello di illustrare a papa Bergoglio i punti programmatici del Consiglio ecumenico per i prossimi 8 anni: questa, infatti, è la durata dei mandati sia del pastore Pillay, che del vescovo Bedford-Strohm. “Il profondo legame che ci unisce potrebbe essere riassunto nella parola programmatica che ci siamo dati alla scorsa Assemblea generale di Karslruhe (per approfondimenti clicca qui), e cioè: l’ecumenismo del cuore - ha detto il pastore Bedford-Strohm -. In un mondo come quello attuale, profondamente diviso, come chiese siamo chiamati a dare un segnale di unità. Per noi è molto importante questo, e nasce dalla comune fede in Gesù Cristo. Quando parliamo di fratellanza, lo pensiamo veramente. Siamo fratelli e sorelle, e anche per questo, quando mi rivolgo a papa Francesco lo chiamo: ‘caro fratello in Cristo’, senza i titoli ufficiali, e lo penso veramente”.

Verso la Pasqua del 2025
Il caso vuole che tra due anni la Pasqua cadrà per tutti i cristiani del mondo nella stessa data (sia per le confessioni che seguono il calendario gregoriano, sia per quelle che seguono il calendario giuliano). E il caso vuole che in quell’anno si celebreranno i 1700 anni del Concilio di Nicea, il primo vero Concilio Ecumenico riconosciuto da tutte le chiese e nel corso del quale fu decretata la natura insieme divina e umana del figlio di Dio. Lo convocò in quella città dell’Asia minore l’imperatore Costantino, preoccupato per la pace religiosa nell’Impero romano. Ne scaturirà il Credo niceno-costantinopolitano, espressione di unità, e che ancora oggi viene recitato durante le funzioni religiose. Papa Francesco, Jerry Pillay e Bedford-Strohm hanno fatto il punto sui preparativi in vista di quella storica ricorrenza. “La vogliamo celebrare insieme, nel modo più ecumenico possibile, forse anche con un pellegrinaggio a Nicea, che oggi sta in Turchia, e con una grande conferenza, ma dobbiamo ancora capire tutti i dettagli - ci ha rivelato il moderatore del CEC -. E in futuro, speriamo di trovare l’impulso per stabilire una data condivisa per la Pasqua. Certo, per ora si tratta ancora di un augurio, dobbiamo lavorarci, ma è bello sapere che questa possibilità ci viene offerta per questo anno così speciale”. 

Accoglienza, clima, guerra e pace
Sul fronte dell’accoglienza dei rifugiati e della dignità umana, ma anche della lotta al riscaldamento globale e della cura per la casa comune, esiste tra papa Francesco e il CEC un’ampia convergenza di vedute. I due temi sono stati oggetto del loro recente incontro, durante il quale, tuttavia, non poteva mancare il tema della guerra in Ucraina, anche perché la Chiesa ortodossa russa, che è membro del CEC, in questi mesi non ha fatto mistero del suo appoggio alla guerra di aggressione di Putin. Tra l’altro, il CEC sta preparando un evento da tenersi a maggio, teso ad intavolare un dialogo tra chiese russe ed ucraine. Heinrich Bedford-Strohm ha precisato: “Come comunità mondiale di chiese dobbiamo provare a cercare la pace ad ogni costo. L’idea è quella di procedere per tappe. Una giornata verrebbe dedicata all’incontro con le chiese ortodosse ucraine, un’altra giornata alla chiesa ortodossa russa, e la terza tappa vedrebbe tutti intorno allo stesso tavolo. È quanto abbiamo comunicato a papa Francesco, che ha accolto con interesse la nostra iniziativa. Ancora non è chiaro se la chiesa cattolico-romana parteciperà ai colloqui, ma verificheremo questa possibilità”.

Quale pace?
Per parte ortodossa russa, tra le giustificazioni apportate per questa guerra, c’è la lotta alla propaganda gay che minaccerebbe i cosiddetti “valori tradizionali”, il tutto farcito da una feroce retorica anti-occidentale. Il CEC ospita sotto lo stesso tetto espressioni cristiane di diversissimo orientamento teologico. Basti pensare alle numerose chiese protestanti che benedicono i matrimoni di coppie omosessuali. Insomma, che lo stesso CEC sia attraversato da profonde fratture di natura etica e teologica è un dato di fatto.
Al vescovo Bedford-Strohm abbiamo chiesto che ruolo può veramente avere, in questo contesto di guerra, il CEC? “Io sono convinto che quando le concezioni su determinate tematiche sono talmente discordanti, ecco, allora è proprio in questi casi che la necessità di un organismo come il nostro è massima. Se non esistesse, bisognerebbe inventarlo, proprio per avere un momento di confronto tra chiese che, pur riconoscendosi in Gesù Cristo, non si trovano d’accordo - ci ha risposto il moderatore del CEC, aggiungendo -: Nella prima lettera ai Corinzi, nel primo capitolo Paolo chiede: ‘Ma Cristo è diviso?’, puntando il dito contro chi insegue leader spirituali diversi da Gesù. Invece Paolo dice: al centro c’è Cristo!. Ecco, è un concetto che vale anche per il CEC. Paolo ricorda a tutti noi che in prima linea non ci sono le singole tradizioni confessionali, ma c’è Cristo, verso il quale tutti siamo rivolti. Ed è qui che si annida il seme che ci porta a dialogare, anche se abbiamo concezioni diverse. Certo, è una strada tutta in salita, e non c’è dubbio che il tema dell’omosessualità è tra i più controversi. Le chiese ortodosse hanno un approccio completamente diverso rispetto alle chiese protestanti. È un tema sul quale ci scontriamo, ed è ancora più difficile sapendo contemporaneamente quanto le persone omosessuali soffrono per le discriminazioni subite”.

La spina nel fianco
Si sente spesso dire che sono di più gli elementi che uniscono le chiese, di quelli che le dividono. In conclusione dell’intervista a Bedford-Strohm abbiamo chiesto un parere personale rispetto all’ostacolo all’unità dei cristiani che più di tutti vorrebbe vedere superato. “Quel che mi ferisce di più è l’impossibilità di sedermi alla stessa mensa del Signore. Quando partecipo ad una messa cattolico-romana con tutto me stesso, sentendomi coinvolto dal profondo del cuore, ma poi vengo escluso dell’eucarestia dovendo rimanere seduto, ecco, questo mi ferisce e mi ferirà sempre. Abbiamo toccato anche questo tema durante l’incontro con papa Francesco, al quale era presente anche il cardinal Kurt Koch, il ministro vaticano per il dialogo ecumenico. Il mio impegno per i prossimi 8 anni sarà caratterizzato anche dalla particolare attenzione che accordo a questo tema, soprattutto in vista del Cinquecentenario della Confessione Augustana che abbiamo all’orizzonte. Nel 1530, dopo la Riforma protestante, ci fu quest’ultimo tentativo di salvaguardare l’unità, tentativo che naufragò. In vista di questa ricorrenza il cardinale Koch vorrebbe convocare una commissione che si occuperà di battesimo, eucaristia e ministero, una mossa che vedo molto favorevolmente. L’approccio a questi ostacoli, più che teologico, dovrebbe trarre ispirazione appunto da quello che noi chiamiamo ‘l’ecumenismo del cuore’. Perché nel profondo dei nostri cuori sentiamo che Cristo è in mezzo a noi, lo sappiamo che siamo uno. Lo siamo già! Una cosa è certa: voglio ancora vedere il giorno in cui staremo insieme alla cena del Signore”.

La delegazione del CEC, dopo l’udienza con il pontefice, si è poi recata presso la sede della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Qui, grande attenzione è stata accordata al modello dei “corridoi umanitari” - vie di fuga legali e sicure per profughi fragili – una buona pratica che la FCEI porta avanti dal 2016 insieme alla Tavola valdese e alla Comunità di Sant’Egidio. Per approfondimenti clicca qui

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