Il Premio Nobel è un filantropo

In pensione da dieci anni, Jacques Dubochet ha ricevuto il Premio Nobel per la chimica grazie alla sua scoperta, negli anni ‘80, della criomicroscopia

01 marzo 2019

(Joelle Herren Laufer) Premio Nobel per la chimica, lo svizzero Jacques Dubochet, già professore ordinario dell'Università di Losanna, è un uomo generoso, impegnato e ispirante, i cui valori sono vicini a quelli dell'ente di aiuto delle Chiese evangeliche in Svizzera, HEKS/EPER.

La sua vita è cambiata molto da quando ha ricevuto il Premio Nobel?
Sì, c’è una grande differenza… Prima ero un uomo normale, in pensione da dieci anni, cominciavo persino ad essere bravo in questo mestiere! Poi, improvvisamente, si diventa una voce che conta, si è importanti. Le persone ti ascoltano con rispetto.

Quest’aura mediatica le dà voglia di difendere delle cause?
Ho sempre dato importanza alla relazione con gli altri e sono stato molto attivo politicamente. Quindi, quando si ricevono i mezzi per intraprendere qualcosa, ci si sente in dovere d’utilizzarli. L’8 dicembre 2017, alla consegna del premio Nobel a Stoccolma, non avevo voglia di limitarmi a parlare del mio lavoro di scienziato specializzato in «acqua fredda». Ho utilizzato questo podio per chiedere che la conoscenza venisse considerata come bene pubblico e fosse iscritta nella Dichiarazione universale dei diritti umani come 31° articolo.

Jacques Dubochet

Quali altre cause le stanno a cuore?
M’interesso agli altri, e in particolare ai migranti, ma anche alle questioni climatiche.

Com’è nata la sua voglia di lavorare con delle persone migranti?
Da giovane ho avuto la fortuna di trascorrere numerose vacanze in una casa per bambini con un’infermità motrice cerebrale, dove lavorava mia sorella. A me, che ero d’indole poco socievole, quell’ambiente andava bene. Quei giovani prendevano tutto ciò che si poteva dar loro. Era più facile che con gli adolescenti normali! Giunto alla pensione, son ritornato a fare questo, ma con dei minori non accompagnati e dei rifugiati. Per dieci anni ho dato delle lezioni di matematica nell’ambito di Mosaïque. Mia moglie invece lavorava per creare degli Orti condivisi in un centro d’accoglienza per richiedenti l’asilo a Crissier. Adesso queste persone fanno parte del nostro entourage. Da tre anni ospitiamo a casa nostra una donna d’origine somala.

Cosa le dà il suo lavoro con le persone migranti?
Quando davo dei corsi, la matematica aveva poca importanza. Ciò che contava per questi giovani era avere un «nonno o uno zio» che non domandasse loro nulla, ma che fosse presente incondizionatamente ogni settimana. Una persona di riferimento, è qualcosa di raro e rassicurante. Per certi versi è un aiuto molto modesto, ma per altri aspetti è enorme. È la parte più gratificante della mia pensione e mi permette d’allargare i miei orizzonti, anche se non è tutto così semplice. Ciò mette in evidenza il dramma dell’emigrazione e dei problemi del nostro mondo. In confronto, io ho avuto una vita così facile. Ho molta ammirazione per coloro che si mettono a disposizione degli altri.

Jacques Dubochet

M’interesso agli altri, e in particolare ai migranti, ma anche alle questioni climatiche

Il clima è un altro suo campo di battaglia…
È il grande problema del momento. Il riscaldamento climatico genererà una migrazione a un livello di cui non ci rendiamo conto. L’arrivo di tre milioni di rifugiati ha creato il panico in Europa. Come reagirà il nostro continente quando mezzo miliardo di persone cercherà rifugio? La Terra e la specie umana non scompariranno, ma sono i nostri valori ad essere in gioco. Adattando una citazione di Gramsci direi: «Ho il pessimismo del realismo, ma l’ottimismo della necessità». Coloro che possono creare un futuro favorevole all’ecologia sono i giovani d’oggi.

A livello individuale, cosa si dovrebbe fare per migliorare la situazione climatica?
Ognuno deve fare la propria parte, assumere le proprie responsabilità, non basta spegnere la luce. Bisogna agire su scala più ampia con delle misure forti per poter disinquinare il mondo entro i prossimi 30 anni sopprimendo le auto; così non avremo più bisogno di una circonvallazione di Morges! Il Lussemburgo ha istituito i trasporti pubblici gratuiti. Gli scossoni non mancheranno in futuro e saranno i fatti stessi a far parlare di loro.

Trova utili i 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile?
Certo. Abbiamo bisogno dell’ONU e di una gestione mondiale, ma mancano i mezzi. Se consideriamo i problemi delle banchise nell’Antartico, ci si rende conto che, malgrado un trattato sottoscritto da 50 Stati, non serve a nulla nei confronti del cambiamento climatico. La COP21 sul clima è una decisione forte, ma come metterla in atto? Stesso discorso per gli eccessi legati agli organismi geneticamente modificati, che provocano una levata di scudi. Ci vogliono delle regole e dei freni. E la presa di coscienza avverrà molto rapidamente dal momento in cui saremo toccati direttamente.

Anche se sono ateo, mi associo ai valori promossi dai cristiani dei nostri Paesi sviluppati

Lei ha un legame particolare con HEKS/EPER?
Sì certo, come con qualsiasi altra associazione d’aiuto. Il regalo del premio Nobel non lo terremo per noi. Mi piace sostenere le organizzazioni che corrispondono ai miei valori e ai miei impegni e che lavorano in un ambito in cui ho qualcosa da dire.

Dall’alto dei suoi 76 anni, quali sono, secondo lei, i più grandi progressi fatti dall’uomo in questi ultimi anni?
Per me, il progresso più impressionante è l’emancipazione delle donne! Aver potuto iscrivere l’uguaglianza uomo-donna nella Dichiarazione universale dei diritti umani è qualcosa di straordinario. Dal punto di visto di un biologo evoluzionista, i ruoli specifici dei maschi e delle femmine derivano da oltre tre miliardi d’anni d’evoluzione della vita. La femmina porta il nuovo organismo, il maschio assicura la diversità dei nuovi esseri viventi. Adesso vogliamo considerare donne e uomini uguali nella nostra società. È magnifico, è formidabile, ma non sarà facile, soprattutto per gli uomini! (da Agir; trad. it. Fabio Bossi/Alliance Sud)

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