Donne imam sfidano tradizioni patriarcali

In Danimarca, donne musulmane guidano la preghiera e predicano in una moschea. E intanto le donne prendono la parola anche in una moschea di Berna

19 settembre 2016

(Andrés Allemand) Sherin Khankan è sotto i riflettori. Danese di 41 anni, figlia di un siriano e di una finlandese, ha lanciato a Copenaghen l'adhan, la chiamata alla preghiera, nella moschea Mariam. La sua collega, l'imam Saliha Marie Fetteh, ha pronunciato la khutba, il sermone, davanti a una quarantina di musulmane e una ventina di cristiane, ebree o di altra fede venute per sostenerla.

Ribellione femminile
Una piccola rivoluzione per inaugurare questo luogo di culto aperto a febbraio in un appartamento in centro, sopra un fast food. Da allora questi locali hanno ospitato cinque cerimonie nuziali, in alcuni casi interreligiose. Si tratta del più recente episodio di una “ribellione” femminile che va prendendo forma ai quattro angoli del pianeta islamico.
Di donne imam ce ne sono già state alcune in Cina nel 19. secolo. Ma era una stranezza. Da allora se ne sono viste apparire in Sudafrica nel 1995, in Canada nel 2005. Lo stesso anno Amina Wadud, docente di studi islamici dell'Università del Commonwealth in Virginia, ha fatto scalpore presiedendo la preghiera del venerdì davanti a una congregazione mista a New York. Ci risiamo nel 2008 a Oxford, in Inghilterra. Nel 2012 due militanti femministe lanciano a Londra l'iniziativa “Inclusive Mosque”. L'anno scorso viene aperta a Los Angeles, in California, una moschea riservata alle donne. E per il 2018 è prevista l'apertura di una moschea gestita da un consiglio femminile a Bradford, in Gran Bretagna. L'imam, un uomo, dovrà garantire il carattere misto dei locali.

Da Copenhagen a Berna
Tante iniziative lanciate da musulmane che si ritengono emarginate e persino escluse dalle moschee tradizionali, dominate da uomini. Generalmente separate, esse sono relegate alle loro spalle o su una balconata o in un locale separato, non sempre accogliente, spesso troppo piccolo. Inoltre, anche se a una donna non è vietato predicare davanti ad altre donne, non è ammesso che guidi la comunità nella preghiera.
“Plaudo a ogni passo compiuto verso una piena partecipazione delle donne al centro della moschea”, dice da Berna Elham Manea, svizzera e yemenita, politologa all'Università di Zurigo e copresidente del ramo elvetico dell'iniziativa “Inclusive Mosque” con una docente di francese a Basilea, Jasmina El-Sonbati, figlia di un egiziano musulmano e di una austriaca cattolica. Il 27 maggio hanno organizzato insieme una preghiera del venerdì nella Casa delle religioni a Berna. Elham Manea ha pronunciato il sermone davanti a una ristrettissima assemblea mista. L'adhan era stato lanciato da una predicatrice venuta da Londra. L'indignazione non si è fatta attendere.
“Mi ha davvero sbalordito la portata della polemica nei media arabi”, confessa la bernese. “Ma sono stata anche sorpresa dalla quantità di messaggi di sostegno che abbiamo ricevuto. Ci hanno scritto donne dallo Yemen in guerra! In Egitto io stessa ho potuto constatare che molte musulmane vogliono un cambiamento, ma non osano dirlo pubblicamente”.

Deriva salafita
Ma che cosa ne dicono il Corano e gli hadith? “I giuristi - degli uomini! - brandiscono una citazione attribuita al profeta: 'un popolo che affida il potere a una donna non prospererà mai'. Una citazione di cui peraltro reputano poco attendibile l'autenticità”, nota la bernese. “Le femministe adducono altre citazioni o ricordano che la moglie del profeta predicava. Del resto, alla grande moschea della Mecca non c'è separazione tra uomini e donne!”
Ma Elham Manea reputa inutili questi dibattiti religiosi. “La realtà è che nel 1970 la preghiera era mista alla moschea di Berna. Poi sono arrivati i finanziamenti dal Golfo e l'influenza salafita. Le donne sono state estromesse. Ci viene imposto un ordine sociale patriarcale nell'epoca dei diritti umani! Io dico che possiamo pregare insieme e che una donna può essere imam. Oggi sono un'emarginata, ma domani quel che dico sarà ritenuto normale. Esattamente come per le donne pastore!” (da Tribune de Geneve; trad. it. G. M. Schmitt/voceevangelica.ch)