Non è un lavoro come un altro

Fa discutere la decisione di Amnesty International di promuovere la depenalizzazione della prostituzione, un'attività intorno alla quale ruotano molti interessi

15 agosto 2015

(Sandra Hohendahl-Tesch) In Svizzera la prostituzione è permessa. Le autorità federali non intendono introdurre una proibizione simile a quella adottata in Svezia. Un rapporto di recente pubblicazione commissionato dal Dipartimento federale di giustizia e polizia (DFGP) giunge al contrario alla conclusione secondo cui “un divieto totale della prostituzione o la penalizzazione dei clienti non sortirebbero l’auspicato effetto protettivo e sarebbero un illecito sotto l’aspetto economico”.
Liberalizzazione anziché restrizioni. È questa la ricetta di un gruppo di esperti dell’amministrazione federale, delle autorità cantonali e delle organizzazioni di protezione delle donne. Il documento orientativo ("Misure a tutela delle donne che lavorano nell’industria del sesso", vedi allegato) presenta una serie di misure. Tra queste, per esempio, la creazione di ulteriori case protette e consultori per vittime della tratta di esseri umani.

Senza dignità
Il tema divide: nelle camere federali sono pendenti svariate iniziative che puntano in direzioni completamente differenti. In disaccordo con il corso liberale è la consigliera nazionale bernese del Partito evangelico Marianne Streiff-Feller. Con un postulato del 2013 ha invitato il Consiglio federale a introdurre anche in Svizzera un divieto della prostituzione ricalcato su quello adottato in Svezia. “Il modello svedese ha portato a una forte riduzione della prostituzione e di conseguenza anche dello sfruttamento sessuale e della tratta di esseri umani”, afferma convinta. In Germania, invece, studi rivelano che la liberalizzazione ha portato a un aumento della tratta di esseri umani.
Streiff deplora che la Svizzera si opponga all’attuale sviluppo in Europa: “Sono necessarie analisi scientifiche che mostrino quali esperienze hanno fatto altre nazioni con legislazioni restrittive”. Il rapporto del DFGP, invece, affronta chiaramente la questione in un’ottica nazionale. Per l’esponente del Partito evangelico, che rappresenta i valori cristiani in politica, si tratta però anche di qualcosa d’altro: “Prestare il proprio corpo allo sfruttamento è contrario alla dignità di una donna”.

Contratto di lavoro
I gruppi di lavoro coinvolti nello studio la vedono diversamente: chiedono adeguamenti legislativi che permettano alle donne di svolgere la propria professione con dignità. Nel concreto, i contratti per l’attività sessuale non dovrebbero più essere considerati “immorali”, come sostenuto ancora nel 1985 dal Tribunale federale in una decisione di principio. Già nel 2013 una sentenza di prima istanza nel canton Zurigo ha concesso per la prima volta a una prostituta il diritto di riscuotere legalmente un compenso per la sua attività. In tal modo è stata messa in discussione la qualifica di “immoralità”.
Nel 2012 il Gran Consiglio bernese ha precorso i tempi con una legge sulla prostituzione cantonale che mira ad abrogare la “contrarietà al buon costume” della prostituzione. A livello federale il consigliere nazionale liberale ticinese Andrea Caroni ha presentato l’anno scorso un postulato con cui chiede la legittimazione di normali contratti di lavoro per l’attività sessuale.
Prostituzione: un lavoro normale con diritti e doveri per entrambe le parti? La teologa cattolica Béatrice Bowald ha scritto al riguardo una dissertazione da una prospettiva teologica-etica. Secondo Bowald si tratta certamente di una attività lavorativa, ma “se la prostituzione è un lavoro come un altro, non c’è più alcun motivo di esaminarla e di analizzare i valori che stanno alla base di questo comportamento”.

Interrogativo esistenziale
Al centro c’è, secondo Béatrice Bowald, un interrogativo esistenziale: “Fa parte di noi esseri umani domandarci come può dirsi riuscita la vita umana. L’ambito della sessualità non può essere escluso da questa domanda di senso”. Una sessualità riuscita richiede un “mutuo scambio tra due persone e non una transazione economica”. Per la teologa cattolica, la sessualità è un ambito legato in buona misura all’integrità di una persona. Con ciò non si intende in primo luogo una “buona condotta” morale, bensì un ambito che è particolarmente vulnerabile e perciò degno di particolare protezione.
Anche dal punto di vista teologico la prostituzione non va d’accordo, secondo Bowald, con una concezione cristiana della persona. In proposito fa riferimento alla prima lettera ai Corinzi (1 Corinzi 6,12-20), in cui l’apostolo Paolo si appella alla coscienza degli “uomini cristiani”, esortandoli a evitare la prostituzione e a non profanare il proprio corpo che è il “tempio dello Spirito Santo”.
Diversamente dalla consigliera nazionale del Partito evangelico Marianne Streiff-Feller, Béatrice Bowald non è però favorevole a un divieto. Sul punto della “contrarietà al buon costume” è assolutamente d’accordo con lo studio: “L’abrogazione conferisce alle donne certezza del diritto”. E questo, anche da una prospettiva femminista, è da accogliere con favore. (in reformiert.; trad. it. G. M. Schmitt)

L’UE imbocca una strada restrittiva
Nel 1999 la Svezia è stato il primo paese al mondo a introdurre un divieto della prostituzione. Lì, però, non è la prostituta a essere passibile di pena, bensì il cliente. In Francia l’Assemblea nazionale sta attualmente dibattendo sull’eventualità di comminare ai clienti una multa di 1.500 euro. In Germania, che dal 2002 segue una prassi molto liberale, è imminente un cambio di rotta: il nuovo patto di coalizione dei partiti al governo prevede un inasprimento della legge sulla prostituzione e un miglioramento della capacità di controllo da parte delle autorità. Ciò è conforme alla tendenza generale: il 26 febbraio 2014 il parlamento UE ha approvato nettamente un rapporto sul “modello svedese” e una risoluzione non vincolante che raccomanda l’adozione da parte dell’UE del modello scandinavo.

Un vescovo preoccupato
(ve) In una intervista rilasciata due anni fa al Corriere del Ticino e che aveva suscitato una certa eco, l’allora vescovo della diocesi di Lugano, Pier Giacomo Grampa, aveva parlato della prostituzione definendola una forma di “degrado dell’amore” e di “profanazione dei sentimenti". Grampa, il quale è tornato sull'argomento in un recente commento pubblicato dal quotidiano ticinese "Giornale del Popolo", si era detto “preoccupato del dilagare del fenomeno della prostituzione nel territorio della sua diocesi” e “preoccupato per il fenomeno in sé, che è moralmente riprovevole”. Riconoscendo che la prostituzione in Svizzera “non è fuori legge”, aveva detto che “occorre provvedere perché sia davvero nella legge e rispetti i diritti delle persone”.
Parole, quelle di Grampa, che richiamano i cristiani alla necessità di esprimersi senza mezzi termini su di un fenomeno problematico come quello della prostituzione.