Tra panico e pandemia i media e il coronavirus

L’esperta dei media Marlis Prinzing sul giornalismo in tempo di pandemia

29 marzo 2020

Docente di etica dei media presso l’Università di Friburgo e titolare di una cattedra di scienze della comunicazione a Colonia, Marlis Prinzing ha studiato storia, scienze politiche e matematica in Germania e ha lavorato come giornalista per la “Neue Zürcher Zeitung” e “Die Zeit”.
Nell'intervista, a cura di Cornelia Krause, analizza il modo in cui i media al nord delle Alpi hanno seguito il diffondersi dell'epidemia. Osservazioni e spunti che si applicano a gran parte dell'informazione con cui siamo confrontati quotidianamente.

Come giudica l’approccio all’emergenza coronavirus da parte dei media?
Direi che ci sono state due fasi distinte. Quando la diffusione del virus riguardava ancora principalmente la Cina i media di lingua tedesca ne hanno riferito lasciando trasparire a tratti giudizi severi nei confronti degli asiatici: l’immagine di copertina dello “Spiegel” del 1. febbraio recava il titolo “Made in China”. Venivano riportate inoltre storie bizzarre e teorie cospirazioniste sulla presunta propagazione del virus. Si sosteneva, ad esempio, che i cinesi avessero mangiato zuppa di pipistrello. Molti contenuti di questo genere sono stati messi in circolazione sui social media, ma anche alcuni canali giornalistici hanno diffuso strani consigli su come evitare il contagio. Il tono è cambiato quando il virus è arrivato in Europa.

Marlis Prinzing

Il tono è cambiato quando il virus è arrivato in Europa

Che cambiamenti ha osservato?
Il tono è divenuto più serio e sempre più spesso sono stati interpellati esperti e virologi. Inoltre l'accento è stato progressivamente posto sugli aspetti pratici, come la questione di ciò che i singoli individui possono fare per rallentare o impedire la propagazione del virus. Nel momento in cui abbiamo dovuto abbandonare il ruolo di osservatori, i media hanno iniziato a occuparsi in modo più approfondito del virus e delle conseguenze dell'epidemia sulla nostra società.

In generale valuta quindi in modo positivo l’approccio dei media?
Nel complesso sì, anche se in alcuni casi sorge qualche perplessità. Se ad esempio è stato riferito della chiusura del parco giochi A, è davvero necessario realizzare un altro servizio sulla chiusura del parco giochi B? O ha senso mettere in prima pagina un titolo a caratteri cubitali sul razionamento della carta igienica in una filiale di Aldi a Winterthur, come ha fatto di recente l'edizione online del “Blick”, quando la maggior parte dei rivenditori ha dichiarato che non c’è alcun motivo di fare accaparramento? Una cosa del genere non fa altro che generare panico e distoglie da questioni più importanti. Ma riconosco che si tratta di casi isolati.

Il giornalismo dovrebbe esercitare molto più chiaramente la sua funzione di critica e di controllo

Dove si situa secondo lei la linea di demarcazione tra allarmismo e informazione?
Non è facile tracciare una linea netta. In questa crisi è importante che i giornalisti mettano bene in chiaro se l’articolo riguarda in particolare un aspetto sanitario, economico o politico. Devono riferire la notizia in modo corretto, valutare il giusto peso da darle e richiamare l'attenzione sui punti controversi, senza drammatizzarli e senza minimizzarli. In Germania la domanda centrale, inizialmente, era spesso: “La partita di calcio X o Y si giocherà ancora?”. Mentre già nella prima fase dell'epidemia emergevano questioni ben più urgenti e rilevanti.

Non di rado vengono affrontate anche questioni etiche delicate, come ad esempio quella relativa alla gestione di risorse limitate. Un giornale titolava recentemente: “I medici dovranno presto prendere decisioni di vita o di morte?”
Si tratta di dilemmi etici ricorrenti per i quali non esiste una soluzione. Nella pratica medica si presentano abbastanza spesso. Un medico deve decidere a chi dare la precedenza o, nel peggiore dei casi, a chi non prestare aiuto anche quando viene chiamato per un grave incidente stradale. È perciò lecito chiedersi se si debba davvero mettere l'accento su questo tema o se non sia invece preferibile scegliere un altro titolo.

La digitalizzazione e l’interattività rendono possibile un diverso scambio con il pubblico

Quanto incide il fatto che questa crisi colpisca anche gli stessi giornalisti?
Fa di certo una differenza. Da un lato occorre osservare che alcuni giornalisti fanno fatica a trattare l'argomento perché si tratta di una materia a loro relativamente estranea. Dall'altro è interessante notare che in questa crisi senza precedenti, che colpisce in primo luogo la salute pubblica, scende in campo un numero sempre maggiore di giornalisti che di norma non sono in primo piano, e cioè i giornalisti scientifici.

In che modo tutto ciò influisce sulla qualità dell'informazione?
Nelle società democratiche come la Svizzera il giornalismo scientifico - sebbene sia purtroppo sottofinanziato - è molto competente e ben rappresentato. Lo si nota anche dal fatto che i pareri degli esperti vengono raccolti da persone competenti e bene informate. Il giornalismo in generale ne sta attualmente traendo beneficio.

I media si occupano sempre più spesso anche del loro rapporto con la crisi. Il Tages-Anzeiger online ha per esempio chiesto ai propri lettori se ritengono adeguata la copertura offerta sulla pandemia. Questa autoriflessione è una novità?
I media sono sempre più portati a riflettere sul proprio operato. Purtroppo in Svizzera non esiste un giornalismo dei media molto incisivo. Ma la digitalizzazione e l’interattività rendono possibile un diverso scambio con il pubblico che per i giornalisti dovrebbe ormai essere un fatto acquisito. Ciò permette di verificare se si è sulla strada giusta o se si stiano trascurando determinati aspetti di una questione. Le informazioni vengono sempre più spesso sottoposte a verifica, le teorie e le tesi che circolano nei media e in particolare sulle piattaforme dei social media vengono analizzate criticamente. Anche questa è una forma di riflessione.

Chi deciderà - e quando - di restituirci le libertà che ci sono state tolte?

Molti portali si affidano agli aggiornamenti continui sul coronavirus per dare tutte le notizie sulla propagazione dell'infezione a livello mondiale. Siamo sommersi dalle notizie sul coronavirus?
Credo che possiamo contare su un utente dei media responsabile, che sa decidere da sé quando si sente ben informato. In questo senso non credo che ci siano problemi. Mi preoccupa piuttosto il fatto che alcuni aspetti collaterali della questione, in parte anche nuovi, restino un po’ in secondo piano.

A quali aspetti si riferisce di preciso?
Alcune libertà che caratterizzano le società democratiche vengono attualmente limitate, anche se per buoni motivi. Ma non si pone la questione di chi deciderà - e quando - di restituirle e di come queste libertà verranno restituite. Ciò vale in modo analogo anche per le decisioni concernenti la chiusura di diverse frontiere nazionali in Europa. E quando, per esempio, in Austria il governo usa i dati di localizzazione degli operatori di telefonia mobile per controllare se le persone rispettano l’obbligo di restare in casa o meno e politici di altri paesi prendono in considerazione idee analoghe, è necessaria una vigilanza elevata. In tutti questi casi, secondo me, il giornalismo dovrebbe esercitare molto più chiaramente - soprattutto in un periodo di crisi come questo - la sua funzione di critica e di controllo e indagare con maggiore determinazione. (da reformiert., trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

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