10 ottobre, Giornata mondiale contro la pena di morte

La Repubblica islamica dell’Iran seconda in classifica dopo la Cina

09 ottobre 2023

foto: Sinitta Leunen/unsplash Commons

(apd/ve) Domani, 10 ottobre, ricorre la Giornata mondiale contro la pena di morte. La ONG tedesca Internationale Gesellschaft für Menschenrechte (IGFM) - Associazione internazionale per i diritti umani - per l’occasione richiama l’attenzione sul fatto che nei primi sei mesi di quest’anno la Repubblica islamica dell’Iran ha giustiziato almeno 354 persone, due delle quali sulla pubblica piazza. Tra le vittime si contano sei donne. Dopo la Cina è l’Iran il paese che infligge il maggior numero di pene di morte al mondo, e lo fa ai sensi del Codice penale islamico vigente nel paese. La pena hadd, secondo il diritto islamico, è una pena sancita nella sharia, che non può essere né ridotta, né annullata. Molte condanne capitali si basano su confessioni estorte sotto tortura. La pena di morte viene inflitta senza assistenza legale per l’imputato e, secondo la IGFM, si tratta di uno strumento per fomentare la paura nella società. 

“Donna, Vita, Libertà” 
Dopo lo scoppio delle proteste in seguito alla morte della giovane curdo-iraniana Mahsa Amini, a settembre del 2022, in Iran è aumentato il ricorso alla pena di morte. Nel quadro delle proteste “Donna, Vita, Libertà” il regime ha inflitto la pena di morte ad almeno 25 manifestanti. Finora sono state eseguite sette condanne capitali in base all’accusa di moharebeh (guerra contro Dio) e “corruzione sulla terra” (ovvero violazione delle leggi della sharia). Si tratta di: Mohammad Mahdi Karmi e Mohammad Hosseini (per corruzione sulla terra), Majid Reza Rahnavard (per presunti aggressione e omicidio di un agente di polizia), Mohsen ShekariMajid KazemiSaeed Yaqoubi e Saleh Mirhashmi (per moharebeh, “guerra contro Dio e i suoi profeti”).
E poi ci sono i possessori di doppia cittadinanza, accusati di spionaggio o di attività terroristiche, regolarmente considerati dalla giustizia iraniana mohareb o “corrotti sulla terra”. A gennaio del 2023 il cittadino britannico-iraniano Alireza Akbari è stato condannato a morte e giustiziato per “corruzione sulla terra e violazione diffusa della sicurezza interna ed esterna attraverso la trasmissione di informazioni”. Lo stesso è accaduto a Habib Chaab, cittadino svedese-iraniano condannato a morte e giustiziato a maggio di quest’anno per presunte attività terroristiche.

A rischio esecuzione
La pena capitale pende attualmente sul giornalista ed ingegnere tedesco-iraniano Jamshid Sharmahd e sul medico Ahmadreza Djalali
Sharmahd, che si trova detenuto in isolamento dal 2020, ad aprile di quest’anno è stato condannato a morte per “corruzione sulla terra”. Sequestrato a Dubai da agenti della Repubblica Islamica dell’Iran è stato accusato per il presunto coinvolgimento in una controversa esplosione.
Il dottor Djalali è un medico e ricercatore dalla doppia cittadinanza svedese e iraniana arrestato a maggio del 2016 e condannato a morte nel 2022 per “corruzione sulla terra” e “collaborazione con un governo ostile”.

Il giudice boia
Entrambi i casi sono stati “trattati” dal giudice Abolghasem Salavati, che la IGFM definisce non solo come “giudice della morte”, ma anche come burattino del ministero dei servizi segreti. È a lui che il regime affida di norma i casi più importanti. Salavati è uno dei giudici più famigerati nei 44 anni di storia della Repubblica islamica dell’Iran. Ha inflitto 30 condanne a morte e un totale di 1.500 anni di pene detentive.
Ha condannato sia il primo manifestante giustiziato per le proteste del 2022, Mohsen Shekari, sia l’attivista mediatico Ruhollah Zam, sequestrato in Iraq e giustiziato in Iran, ma residente in Francia. Salavati ha fatto giustiziare anche il cittadino britannico-iraniano Alireza Akbari per presunto spionaggio.
Le sentenze di Salavati vengono emesse al termine di processi farsa - senza assistenza legale e sulla base di confessioni estorte da agenti del ministero dei servizi segreti e del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica. “È un altro segno distintivo della mancanza d’indipendenza dei giudici e della giustizia in Iran”, sottolinea la IGFM.

La IGFM è un'organizzazione per i diritti umani fondata nel 1972 a Francoforte sul Meno. Sostiene persone impegnate in modo nonviolento nell’attuazione dei diritti umani nei loro paesi o che vengono perseguitate perché rivendicano i propri diritti. La IGFM è rappresentata globalmente attraverso 38 sezioni e gruppi nazionali in diversi paesi. (vedi: https://www.igfm.de) (Da: apd; trad.: G. M. Schmitt)

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