#MLK: I Have a Dream, 60 anni dopo

Tra sogno e incubo americano

28 agosto 2023  |  Paolo Naso

Martin Luther King, pastore battista e paladino dei diritti civili degli afroamericani, il 28 agosto 1963 a Washington D.C.

I sessant’anni dal grande raduno di Washington che, per la prima volta nella storia del Civil Rights Movement, raccolse oltre 250.000 persone da tutti gli Stati Uniti, cade in un momento molto particolare e complicato per la società e la politica americana. Quella manifestazione, fortemente voluta da Martin Luther King quanto scoraggiata e persino contrastata dai fratelli Kennedy, segnò infatti un momento di ricomposizione nazionale. Durò solo qualche settimana - il 22 novembre il Presidente fu ucciso a Dallas - ma in quello spazio di tempo qualcosa era cambiato nel cuore dell’America e grande merito di questo nuovo clima fu proprio del reverendo King.

Dimensione politica della predicazione

Il suo discorso rimase celebre per una ridefinizione del sogno americano in chiave etica e politica. Fu la cantante Mahalia Jackson a urlargli “Dai Martin, raccontagli il sogno” e King, che aveva pronunciato un discorso analogo in altre occasioni, trovò le parole per arrivare a toccare l’anima profonda dell’America. Lo fece da predicatore qual era, ma dando a quel sogno una precisa dimensione politica. I riferimenti alla liberazione degli schiavi israeliti, la vocazione ad essere quella “città sulla collina” predicata dai padri pellegrini, la citazione della Dichiarazione d’indipendenza e quindi il richiamo al diritto inalienabile alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità, costituirono i pilastri retorici di un discorso che, giustamente, viene annoverato tra i più celebri del secolo scorso.

Le ritorsioni e i ritardi

Di fronte a quella manifestazione e a quel discorso, la Casa Bianca - sino ad allora immobile e non reattiva nei confronti di un movimento che chiedeva il diritto fondamentale di ogni democrazia, quello al voto - dovette prendere atto che il tempo dell’attendismo e del prudente opportunismo per non scontentare i democratici del sud ancora condizionato dal segregazionismo, era finito.
Ma a volte la storia corre troppo veloce, e il 15 settembre 1963 la ritorsione del terrore razzista, dopo l’indiscutibile successo del raduno del 28 agosto, fu violenta e terribile: una bomba piazzata da attivisti del KKK in una Chiesa battista di Birmingham, Alabama, uccise 4 bambine. Dal sogno all’incubo americano, dalla visione fiduciosa di un’America riconciliata con se stessa e pronta ad aprire una nuova pagina della sua storia morale e civile, al buio dell’odio e del razzismo. Poi ci fu l’omicidio di Kennedy, quindi l’escalation della guerra in Vietnam e, soltanto nel 1965 - due anni dopo il raduno di Washington - il presidente Johnson firmò l’atto che riconosceva il diritto di voto agli afroamericani. E a quel punto ebbe ragione King a dire “troppo poco, troppo tardi”. Il movimento era cresciuto e nuove questioni - la povertà degli afroamericani, prima di tutto - imponevano una nuova agenda politica.

Un'America triste dalle occasioni mancate

La celebrazione del sessantesimo anniversario del discorso “I Have a Dream” comporta il rischio di un abuso retorico, strumentale e antistorico. Quel discorso fu ascoltato, commosse e cambiò il sentimento di molti americani ma non segnò la svolta politica che tutti si aspettavano. Non va ricordato, pertanto, soltanto per la sua qualità retorica, spirituale e politica; ma anche per il fatto che l’establishment non seppe o non volle capirlo, continuando a prendere tempo per non riconoscere subito ciò che invece era dovuto a oltre 20 milioni di afroamericani e alla coscienza morale dell’America.
Sessant’anni dopo, al centro del dibattito negli USA non ci sono i temi dei diritti delle minoranze e della giustizia sociale. Il dibattito pubblico è monopolizzato da Trump e dal suo volto ridicolmente truce ritratto in una prigione della Georgia. Nell’America triste di oggi, la gioia fiduciosa di un cambiamento possibile espressa sessant’anni fa a Washington resta l’icona di una speranza ad oggi incompiuta. (tratto da: nev.it)

L'autore di questa riflessione è il politologo Paolo Naso, valdese, impeganto variamente nei programmi della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, in particolare sul fronte del dialogo tra religioni e dell'accoglienza di migranti e rifugiati. Ha all'attivo numerosi saggi sugli Stati Uniti (e non solo), l'ultimo dei quali verte proprio sull'eredità del pastore battista ed è intitolato: "Martin Luther King. Una storia americana", pubblicato nel 2021 con ed. Laterza.

Per riascoltare integralmente il discorso di Martin Luther King in originale clicca qui.

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