Se i cristiani dovessero scomparire dal Medio Oriente

Il Medio Oriente è stato la culla del cristianesimo. Oggi, in seguito alle guerre che si sono succedute in Iraq e in Siria, la presenza cristiana nella regione si indebolisce

01 gennaio 2017

(Paolo Tognina) Moltissimi cristiani siriani, iracheni, ma anche egiziani, hanno preso la via dell'esilio. Il fenomeno è destinato a segnare la fine della presenza millenaria dei cristiani nel Vicino Oriente?
"Quei cristiani - mette in guardia Jean-François Colosimo, storico delle religioni e direttore delle edizioni du Cerf, autore di un recente libro dal titolo emblematico, "Les Hommes en trop", pubblicato da Fayard - non sono i cugini lontani, un po' dimenticati, e non sono nemmeno la punta avanzata dell'Occidente cristiano in terra islamica, ma sono i nostri fratelli".

Presenza significativa
Lo storico francese ricorda che "i cristiani sono sempre stati una presenza di rilievo in Medio Oriente. Il cristianesimo è nato in Oriente, non in Occidente. È lì che sono stati scritti i vangeli, è in Oriente che si sono svolti i primi Concilii, è sorto il monachesimo, è nato l'episcopato". E questa è solo una parte, prosegue Colosimo, del debito che abbiamo nei confronti del cristianesimo mediorientale. "La musica egiziana antica si è conservata nelle liturgie cristiane copte, gli inni dell'antica Grecia si ritrovano nelle liturgie dei greco ortodossi. Senza i cristiani, gli arabi non avrebbero mai trovato Aristotele, le cui opere giacevano a Baghdad dove venivano tradotte dal greco al siriaco. Più tardi, durante il lungo periodo di scontro tra mondo musulmano ed europeo, quei cristiani hanno continuato a essere dei ponti tra i due mondi. Ma tutto questo oggi è finito".

Cristiani liberati dallo Stato Islamico (video Segni dei Tempi RSI La1)

Scontro di civiltà
Jean-François Colosimo descrive la situazione attuale usando un termine forte e controverso: "Il mondo oggi è segnato da uno scontro di civiltà - dice, cosciente dell'ambiguità dell'espressione - e il guaio è che non c'è più posto per i mediatori. Oggi tutti tendono a ricostruire le proprie identità, si discute dei minareti e dei campanili, l'angoscia prevale da una parte come dall'altra. La modernizzazione avanza distruggendo le identità, e dovunque sorgono gli identitarismi. Il problema dei cristiani d'Oriente è che la loro identità non è legata né a un territorio né a un'ideologia politica forte. Sono abituati a essere dei mediatori, a facilitare il dialogo. Ma oggi nessuno vuole più dialogare e dunque sono diventati inutili".

Progressivo declino
Scomparsi presto dalla Turchia in seguito all'avvento dell'ideologia nazionalista e laicista di Kemal Atatürk - ispirata, ironia della storia, dall'Occidente - i cristiani sono riusciti a resistere nel Levante dove hanno appoggiato il movimento panarabico, riassume Colosimo. Ma il panarabismo non è sopravvissuta alla fine della Guerra Fredda e oggi è sostituito da un panislamismo aggressivo il quale afferma che "il panarabismo sostenuto dai cristiani non è altro che il cavallo di Troia con cui l'Occidente cerca di distruggere l'islam dall'interno". In questo contesto diventa difficile essere arabi senza essere musulmani e non si può più essere arabi musulmani senza essere islamisti. "E dunque - conclude lo studioso - in Medio Oriente resteranno dei cristiani, ma sarà un'infima minoranza riunita probabilmente intorno ad alcuni santuari storici. Non ci sarà più un cristianesimo d'Oriente. Come sono scomparsi dalla Turchia, scompariranno anche dal Levante, cioè dall'Iraq e dalla Siria. Non saranno più il motore della secolarizzazione di quei Paesi, non avranno più la capacità di fungere da stimolo per le coscienze e da vettori per dei cambiamenti sociali. Non avranno più alcun peso". E la conclusione, amara: "Sono destinati a diventare dei guardiani di musei".

Tra i profughi siriani in Libano (video Segni dei Tempi RSI La1)

Amara novità
Inutili, secondo Jean-François Colosimo, gli appelli lanciati da preti e vescovi, a rimanere in Iraq e a resistere in Siria. "Molti cristiani non vogliono rimanere, non hanno fiducia nella gerarchia della chiesa e hanno rotto tutti i rapporti con i loro vicini musulmani. Non solo perché c'è Daesh, non solo per l'islamismo, ma perché tutta la società si è sfasciata. Non dimentichiamo che l'Iraq è un Paese in cui si combatte una guerra civile iniziata nel 2003, all'epoca dell'invasione americana". La prospettiva, inoltre, è quella di una regione che presto sarà spartita tra le potenze che usciranno vincitrici dalle guerre in corso. "In questo quadro - conclude lo studioso delle religioni -, i cristiani non hanno un luogo dove andare. La popolazione queste cose le sa, mentre le gerarchie, i vescovi, sembrano non afferrarlo. Dopo mille anni di persecuzioni, di servitù, mille anni passati come cittadini di serie B, per la prima volta, i cristiani non hanno più voglia di resistere, ma vogliono partire. Questa è la novità".

Per la prima volta, i cristiani non hanno più voglia di resistere

La grande delusione
"I cristiani d'Oriente sono delusi - secondo Colosimo - perché avevano creduto di poter contribuire a far evolvere l'islam verso una forma di separazione del potere politico dal potere religioso, verso un'interiorizzazione della fede". Invece si sono trovati di fronte al fenomeno della Umma, della comunità dei credenti, in cui l'elemento spirituale e quello temporale sono indivisibili.
Le considerazioni dello storico sono pessimiste e non lasciano molta speranza in uno sviluppo positivo dei rapporti tra cristiani e musulmani. Non c'è via d'uscita? Forse no, azzarda Colosimo, ma "bisogna sperare nella perseveranza cristiana per continuare il dialogo con l'islam. È il dono migliore che si possa fare per nutrire la speranza in una convivenza dell'umanità. È un dialogo che può essere condotto solo tra comunità di fede e comunità di fede. Perché ogni altro dialogo che l'Occidente intrattiene con il mondo musulmano si basa sui petroldollari e le armi".

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