Ricostruire Beirut e le sue vetrate andate in frantumi

Maya Husseini sta riportando allo stato originario le vetrate delle chiese

30 novembre 2020

La vetraia libanese Maya Husseini nel suo atelier

 

(Zena Zalzal) Sono stati sufficienti pochi secondi, in quel funesto martedì 4 agosto 2020, per distruggere la metà di Beirut e devastare la vita di centinaia di migliaia dei suoi abitanti. Pochi secondi per distruggere i suoi quartieri storici, infrangere le vetrate delle sue chiese, delle sue belle dimore e di altri luoghi pieni di vita. Pochi secondi per cancellare quasi tre decenni di lavoro di Maya Husseini, l’unica maestra vetraia del Libano.
Questa artista del vetro ha acquisito notorietà nel 2016 grazie al suo lavoro di ricostruzione delle vetrate del museo Sursock così com’erano prima della guerra. Quei pannelli di vetro colorato che illuminavano, di giorno e di notte, la facciata del bianco edificio e le davano la sua forte identità erano diventati, da allora, tanto il biglietto da visita della signora dai riccioli rossi quanto il simbolo del luogo. Completamente polverizzati dalla doppia esplosione nel porto, la loro assenza conferisce all’edificio museale l’aria livida e smarrita delle vittime delle grandi catastrofi.

Maya Husseini

“Ho pianto vedendo il museo distrutto, ma anche tutte le chiese di Beirut alle cui vetrate ho contribuito. L’esplosione ha polverizzato gran parte del mio lavoro”, afferma Maya Husseini, il cui percorso professionale risale a ben prima della sua partecipazione ai lavori di ristrutturazione del museo Sursock. Diplomatasi in arti plastiche all’Accademia libanese di belle arti e specializzatasi nella lavorazione delle vetrate a Chartres, alla fine degli anni Ottanta inizia a concepire ogni sorta di elementi decorativi e mobili in termoformatura e vetrofusione con il marchio Cèdre-Verre, prima di lanciarsi, all’inizio degli anni Novanta, nel restauro delle vetrate delle chiese danneggiate durante la guerra libanese. La passione per questa arte del vetro tanto delicata quanto impegnativa la porterà, in una tappa successiva, verso la creazione di vetrate dalla a alla zeta, dal concepimento di disegni e motivi “a mano libera” fino al passaggio in forno.

Nulla è stato risparmiato
Da Notre-Dame du Mont, la sua prima realizzazione a Adma, alla cattedrale Saint-Louis des Capucins - il suo grande progetto di “due anni di pittura su vetro cattedrale alla vecchia maniera” nel centro della città - ha lasciato la sua impronta in oltre una trentina di chiese in tutto il Paese dei Cedri, la maggior parte delle quali nel cuore della capitale. Purtroppo alcune di quest’ultime non sono state risparmiate dall’esplosione nel porto.
“Terra Santa a Gemmayzeh, Saint Antoine de Padoue a Sin el Fil, Saint Louis a Bab Idriss, Saint Jean Baptiste nella salita dell’hotel Alexandre, la chiesa protestante di Beirut, dietro il Sérail, Saint Élie a Kantari o ancora il Rosaire a Hamra… Le vetrate di tutte queste chiese nelle quali ho lavorato sono state infrante”, dice la creatrice. “Anche La Maison Rayes, nel quartiere Sursock, dove avevo appena terminato il restauro delle vetrate di tutta una facciata e di una porta risalente al 19.esimo secolo, è stata devastata. Ma ho intenzione di ricominciare, di restaurare tutto ciò che può essere restaurato e di ricreare ciò che è stato distrutto”, assicura questa combattente, insignita del premio Unesco dell’artigianato per gli Stati arabi.

La vetraia di Beirut (Segni dei Tempi RSI La1)

Una équipe in formazione
“Ho quasi finito la ricostruzione delle vetrate che avevo concepito nel 2007 per una abitazione privata a Kantari. E inizierò subito, in un primo tempo, il restauro dei pannelli che è possibile riparare in alcune chiese come quella del Rosaire a Wardiya o a Santa, dove una famiglia libanese si è già fatta carico del finanziamento dei lavori”. I cantieri più gravosi, dove tutto è da rifare e che richiedono importanti raccolte di fondi, verranno dopo. Perché il problema consiste anche nei mezzi di finanziamento in questi tempi di crisi economica e finanziaria. In particolare per l’acquisto del vetro soffiato che Maya Husseini usa e che viene importato dall’estero. “Sto cercando di ottenere riduzioni di prezzo dalla vetreria Saint Just, filiale del gruppo Saint Gobain, che è uno dei miei fornitori principali, in modo che i miei clienti possano beneficiarne”, segnala inoltre.

Maya Husseini

Nella sua opera di ricostruzione delle vetrate distrutte della capitale Maya Husseini conta inoltre sul sostegno di una piccola squadra di giovani artigiani che sta formando personalmente. “Da sola non potrei affrontare la sfida di questo cantiere titanico che dovrebbe durare quattro o cinque anni. Ma insieme ci riusciremo. Ricostruiremo Beirut!”, scandisce l’artista. Che, di conseguenza, ha rimandato di qualche anno il momento di andare in pensione. “Il lavoro del vetro è abbastanza fisico e pesante e mi ero ripromessa di fermarmi tra due anni, quando avrei finito le vetrate della basilica giordana. Ma questo maledetto 4 agosto mi ha fatto tornare al punto di partenza. Dovrò rimandare i miei progetti di pensionamento. Non posso permettere che 27 anni della mia vita professionale vadano in fumo e che tutte le vetrate che ho creato ridiventino sabbia”, conclude la donna per cui “il vetro è una materia vivente” e il lavoro un’arte che rinasce sempre, a dispetto di tutte le stragi. (da "lorientlejour.com"; trad. it G. M. Schmitt)

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