L' America torna a volare?

Dalle elezioni statunitensi esce un paese spaccato. Analisi del “voto religioso” con Adelle Banks

14 novembre 2020  |  Gaëlle Courtens

Nel tentativo di recare conforto a coloro che hanno perso amici e parenti a causa del Covid-19, nel suo discorso della vittoria pronunciato lo scorso 7 novembre, il presidente eletto Joe Biden ha citato l'inno religioso “On Eagle’s Wings”, sulle ali dell’aquila, ispirato al Salmo 91. Richiamandosi poi alla Bibbia, ha ricordato che c’è un tempo per costruire, un tempo per seminare e per mietere e un tempo per guarire.

Religione e politica
L’intreccio tra discorso religioso e discorso politico non è una novità nel panorama statunitense. Ne ha fatto largo uso anche il presidente Donald Trump, durante la recente campagna elettorale che è stata forse tra le più religiosamente connotate: dall’una e dall’altra parte dell’arco politico non sono mancate le citazioni bibliche e i candidati hanno spesso chiamato in causa la propria fede, espressione di teologie e di politiche contrapposte.
Biden e la sua vice, Kamala Harris, si trovano ora di fronte a numerose sfide: la crisi economica, il Covid-19, il razzismo sistemico, il riscaldamento globale, e un paese profondamente diviso: se Trump se ne andrà, certo non se ne andranno il trumpismo e la retorica religiosa ad esso legato. Gli evangelicali bianchi - che rappresentano il 23% dell’elettorato - ancora una volta hanno votato in larghissima maggioranza (80%) per l’attuale inquilino della Casa Bianca, e così hanno fatto più della metà dei cattolici bianchi.
Con Adelle Banks, dell’agenzia stampa statunitense Religion News Service, a Washington D.C., diamo uno sguardo al cosiddetto “voto religioso”.

Adele Banks, giornalista di Religion News Service

Come mai la politica statunitense continua ad essere “impregnata” di religione, quando il paese negli ultimi anni si è fortemente secolarizzato con un tasso di “non affiliati” che sfiora il 30% della popolazione?
Nella vita religiosa americana i paradossi non mancano. Siamo un paese plurale, con persone di diverse fedi, ma anche con persone che non si riconoscono in nessuna fede. Molti frequentano regolarmente i luoghi di culto, molti altri non ci mettono mai piede. Proprio il discorso politico abbracciato da numerose congregazioni spinge molti ad abbandonare le comunità di fede. Ma ci sono anche comunità che si focalizzano di più sulla fede religiosa, e meno su quella politica, e sui cui banchi siedono fianco a fianco democratici e repubblicani. Ci sono realtà in cui conservatori e liberali insieme chiamano all’unità, ma in tanti credono che raggiungere quell’unità sia oggi più difficile che mai.

Dal suo osservatorio il “voto religioso” ha riservato qualche sorpresa?
Sicuramente non ci hanno sorpreso gli evangelicali bianchi che hanno continuato a votare in massa per Trump. Invece, sul fronte delle chiese afroamericane abbiamo visto una significativa mobilitazione: in questa campagna elettorale si sono messe in gioco, chiamando le persone a recarsi alle urne. Tra l’altro, Biden, nel suo discorso della vittoria, ha voluto sottolineare il loro impegno.
Ma anche altre comunità di fede hanno dato un contributo, penso ai sikh, i cui volontari hanno mobilitato con successo i propri correligionari ad andare a votare. Da citare anche il fatto che nei parlamenti di cinque Stati per la prima volta sono stati eletti dei deputati musulmani. Un altro indicatore della diversità del nostro paese.

Joe Biden sarà il secondo presidente cattolico degli Stati Uniti dopo John F. Kennedy. Tuttavia, non è riuscito a spostare il voto cattolico rispetto alle elezioni del 2016. Come se lo spiega?
Non abbiamo ancora tutti i dati sul voto religioso, ma secondo alcune proiezioni il 57% dei cattolici bianchi ha votato per Trump sia nel 2020 che nel 2016. E se guardiamo al voto cattolico nella sua interezza (il 22% dell’elettorato, ndr.), comunque la metà circa ha votato per Trump.
Il fatto che Biden è cattolico non significa che i cattolici votino per lui. C’è chi non lo ha votato perché sostiene il diritto all’aborto, altri invece lo hanno votato per le sue posizioni sull’immigrazione. Spesso la percezione che abbiamo dei cattolici come antiabortisti e anti-gay non rende giustizia alla componente progressista, composta soprattutto da cattolici afroamericani, ispanici ed asiatici, ma anche bianchi.

Adele Banks intervista la pastora Paula White, consulente spirituale del presidente USA Donald Trump

L'agenzia Religion News Service ha definito la vicepresidente eletta Kamala Harris come la personificazione della futura religione americana. Come intendere questa affermazione?
Kamala Harris non soltanto è la prima donna afroamericana, e la prima di origine sud-asiatica e caraibica, a ricoprire la vice presidenza degli Stati Uniti, ma è anche qualcuno che tocca vari aspetti del mondo delle fedi. È cresciuta con l’induismo e il cristianesimo, ed è attualmente membro di una chiesa battista nera. Inoltre è sposata con un ebreo. La pluralità di appartenenze che troviamo all’interno della sua stessa famiglia, è lo specchio del cambiamento che sta attraversando l’America dal punto di vista del panorama religioso.

In Europa si è parlato molto della “destra religiosa”, ma esiste anche una “sinistra religiosa”. Quest’ultima ha cambiato strategia, dopo la disfatta nel 2016 di Hillary Clinton?
La “sinistra religiosa” dal 2016 senza dubbio è diventata più rumorosa e presente. Penso in particolare ai pastori William Barber e Liz Theoharis, co-leader della Poor Peoples Campaign che ha portato l’attenzione sui temi della povertà e del razzismo, muovendosi nel solco della predicazione di Martin Luther King. Secondo alcuni sociologi americani, le chiese liberali, e soprattutto quelle nere, sono state le più impegnate politicamente, invitando le persone ad iscriversi nei registri di voto. Per quanto riguarda i temi legati all’immigrazione, diverse congregazioni si sono dichiarate “chiese santuario”, offrendo cioè i propri spazi a migranti a rischio espulsione, o hanno sostenuto la necessità di una riforma della legge sull’immigrazione. A sole poche settimane dal voto, ben 350 leader religiosi hanno firmato una dichiarazione congiunta a sostegno di Joe Biden.

L'America al bivio (Segni dei Tempi RSI)

In che misura queste elezioni incideranno sulla vita delle comunità di fede?
La dimensione politica all’interno dei luoghi di culto c’è sempre stata. Ovviamente in misura diversa e diversamente declinata a seconda dei casi. Ma è interessante notare che con la pandemia da Covid-19 molti fedeli si sono trovati impossibilitati dal frequentare chiese, sinagoghe, moschee e templi, e si sono quindi riversati nelle strade rispettando la distanza fisica e portando mascherine, oppure virtualmente, per esempio proponendo dei tutorial online su come votare. In molti hanno anche raggiunto il movimento Black Lives Matter. Ho avuto modo di parlare con diversi di loro che, nonostante il rischio di infettarsi, ritenevano troppo importante la posta in gioco per rimanere a casa. Ora, ad elezioni concluse, c’è da vedere quali saranno i prossimi passi delle comunità di fede. Secondo alcuni osservatori l’impegno delle stesse a favore della promozione dell’unità e della giustizia razziale proseguirà ancora a lungo.

Concretamente, come si muovono le comunità di fede?
Diversi leader religiosi si sono già espressi sottolineando la necessità di focalizzarsi su quanto unisce, e non sulla divisione politica, che senza dubbio c’è. Mi sono recentemente occupata di un movimento per il “lutto verso l’unità”, nato con la pandemia. L’iniziativa Mouring Into Unity si è diffusa in numerose città e coinvolge persone di diverse religioni. Gli incontri di preghiera si svolgono sia online che all’aperto. Ho seguito una di queste “veglie di lutto” qui a Washington D.C., durante la quale venivano esibiti striscioni di colore viola. Mi hanno spiegato che il viola non solo è segno di lutto, ma che è anche un colore che non è né rosso, né blu (né repubblicano, né democratico ndr.)

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