Una candidatura romanda

La teologa vodese Isabelle Graesslé si candida alla presidenza della Chiesa riformata in Svizzera

31 ottobre 2020  |  Marie Destraz

La teologa e pastora Isabelle Graesslé

 

Teologa e pastora, ma anche ex direttrice del Museo internazionale della Riforma, Isabelle Graesslé intende mettere le sue competenze al servizio del protestantesimo elvetico. Si presenta quale candidata alla presidenza del Consiglio della Chiesa evangelica riformata in Svizzera (CERS), con il sostegno della Chiesa riformata vodese, il suo attuale datore di lavoro. Sessantunenne, attualmente attiva in terra vodese, è stata la prima donna ad assumere il ruolo di moderatrice in seno alla Compagnia dei pastori della Chiesa protestante di Ginevra e ha presieduto la Commissione teologica della Federazione delle Chiese evangeliche svizzere - precorritrice della CERS. Sarà lei la prima donna a ricoprire una carica lasciata vacante a maggio da Gottfried Locher? I delegati al Sinodo della CERS decideranno lunedì 2 novembre.

Perché ambisce alla presidenza della Chiesa riformata in Svizzera?
Con il mio profilo e il mio percorso penso di poter introdurre una dimensione particolare nella direzione della Chiesa evangelica riformata in Svizzera (CERS): la trasversalità. Da oltre vent'anni sviluppo una teologia che non sia rivolta solo alle chiese e al protestantesimo, bensì anche al mondo nel quale viviamo e di cui siamo parte. Ma io non sono solo una studiosa, sono anche una pastora. E da tre anni, in qualità di pastora di parrocchia, sono a contatto diretto con la base protestante.

Isabelle Graesslé

A che cosa servirà questa trasversalità in seno alla CERS?
In un mondo che si trasforma in profondità, come nel 16.esimo secolo, il protestantesimo deve ripensarsi. Il ritorno del religioso annunciato alla fine del secolo scorso è arrivato e si manifesta, ma non a vantaggio delle chiese storiche in quanto istituzioni. Molti dei nostri contemporanei hanno aspettative spirituali, ma non si ritrovano nell’offerta delle Chiese attuali. Bisogna rivedere e rielaborare queste risposte da un punto di vista teologico e pratico.

In che modo?
Bisogna riprendere ciò su cui il protestantesimo poggia, interrogandosi su ciò che conserva, ciò a cui rinuncia, ciò che relega allo status di memoria, ciò di cui si appropria e ciò che riutilizza. Questo richiede trasformazioni e rinunce - e non tutti sono pronti a farlo. Non è mia intenzione rivoluzionare il protestantesimo, ma occorre procedere a dei cambiamenti, umilmente e in modo collettivo, all’interno degli organismi esistenti.

Ripensare il protestantesimo, una sfida enorme. E vorrebbe fare anche altro?
Ho a cuore anche di lavorare per un maggiore livello di coesione, in particolare tra le chiese che fanno parte della CERS. Dopotutto questa coesione fa parte del DNA svizzero. È altresì essenziale lavorare per una maggiore visibilità del protestantesimo. Nei tre anni in cui sono stata moderatrice della Compagnia dei pastori della Chiesa protestante di Ginevra mi sono spesso ritrovata a dover intervenire sui media. Anche la rappresentanza fa parte del mandato del presidente della CERS.

Se lei venisse eletta, non soltanto sarebbe la prima donna a ricoprire la carica, ma la sua elezione segnerebbe il ritorno degli svizzeri francesi dopo venticinque anni di assenza. È un elemento importante?
È il momento delle donne. Il protestantesimo deve essere rappresentato da una donna, ma una donna competente e teologa. Lo stesso vale per gli svizzeri francesi, ma anche in questo caso non a qualunque costo: bisogna che sia una persona competente. Rappresenta un elemento importante nel senso che una persona proveniente da una minoranza avrà un più grande senso di connessione e offrirà uno sguardo diverso da quello della maggioranza, in questo caso di lingua tedesca. Tutti aspetti che vanno di pari passo con il lavoro di coesione che ho intenzione di portare avanti.

La sua candidatura è quindi svizzera francese?
Sì. Rappresento il protestantesimo svizzero francese, francofono, con il suo lato latino e le sue peculiarità. Vivo nella Svizzera francese da oltre trent’anni, vi lavoro, vi ho studiato. Sono anche francese e non lo rinnego. Ma sono alsaziana e quindi provengo da una cultura germanica. Mi sento quindi a casa anche nella Svizzera tedesca.

Lei ha accennato alle peculiarità del protestantesimo svizzero francese. Quali sono?
Il protestantesimo svizzero francese è in prima linea in questo lavoro di trasformazione della Chiesa che ho menzionato. C’è un movimento di fondo che la spinge a ripensarsi, in particolare perché le Chiese protestanti sono diventate minoritarie.

Dalle dimissioni del presidente Gottfried Locher, lo scorso maggio, in seguito a una denuncia per abusi sessuali, la CERS sta attraversando una crisi. Questo influenzerà il suo mandato, se venisse eletta?
C’è una crisi nella CERS, non dobbiamo sottovalutarla ma nemmeno sopravvalutarla. L’istituzione è stabile, perché ha saputo generare procedure per gestire la crisi. Occorre lasciar lavorare ciò che è stato intelligentemente messo in piedi. Certo, bisognerà porre fine alla crisi, un compito che spetterà forse al futuro presidente. E se questo è il caso lo farò, per chiudere questo capitolo, avviarci e andare avanti. Ma questa crisi non influirà sul mio mandato.

Se venisse eletta, quale sarà la sua priorità?
Ho intenzione di incontrare le persone, i volti dietro le istituzioni. Non è qualcosa che prendo alla leggera. Mi permetterà di fare le mie valutazioni, di verificare se ciò che immagino, ossia un’erosione del protestantesimo, è conforme alla realtà delle Chiese che compongono la CERS. Intendo così anche mettermi all’ascolto delle necessità di ognuno. In un secondo tempo bisognerà riflettere sul modo migliore per lavorare concretamente alla coesione, al di là dei grandi discorsi. (da Réformés; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

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