Il virus, l'Europa e l'economia

La Premio Nobel Esther Duflo sulla crisi, sull’Europa e sul futuro

18 ottobre 2020

Esther Duflo, Premio Nobel per l'economia 2019

 

Economista, esperta di sviluppo e di lotta contro la povertà, docente presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston (Stati Uniti), un anno fa Esther Duflo ha ricevuto il premio Nobel per l’economia, insieme con suo marito Abhijit Banerjee e con Michael Kremer per i loro lavori sulla riduzione della povertà nel mondo. Esther Duflo, 48 anni, è la più giovane economista insignita del prestigioso premio e la seconda donna a riceverlo dopo l’americana Elinor Ostrom nel 2009.

L’Europa si è dimostrata all’altezza della sfida posta dalla pandemia?
A breve termine il ricorso a un fondo d’aiuto era l’unico mezzo per non rischiare di trasformare questa crisi temporanea in qualcosa di molto più duraturo - ma penso che sarà necessario ricostituire tale fondo. A medio termine il sistema fiscale dovrà essere ripensato se l’Europa vuole continuare a essere solidale all’interno dei suoi confini e all’interno di ogni Paese.
A più lungo termine sarà interessante osservare la reazione dell’Europa in quanto istituzione di fronte a questa crisi. È lascia o raddoppia. O riesce a coordinarsi e ne uscirà rafforzata, o non ci riesce e questa sarà la goccia che farà traboccare il vaso e che accelererà la sua disgregazione. Per il momento siamo piuttosto nel primo scenario.
Questa tuttavia è soltanto metà della battaglia. Ora che la legittimità di un’Europa forte è stata dimostrata, occorre ripensare certe modalità di funzionamento che hanno palesato i loro limiti, in particolare l’assenza di coordinamento fiscale. I paesi europei si sono altresì resi conto dell’importanza di essere uniti per gestire una crisi come questa. Lo comprendono ancora meglio assistendo all’atteggiamento degli Stati Uniti e della Cina che si tirano fuori da ogni tentativo di cooperazione. Almeno i dirigenti politici se ne sono resi conto.

Esther Duflo

L’atteggiamento dei paesi ricchi nei confronti del resto del mondo è soddisfacente?
La comunità internazionale ha mancato una svolta decisiva lasciando che i paesi più poveri se la sbrogliassero da soli. Istituzioni come il Fondo monetario internazionale (FMI) e la Banca mondiale non hanno molti mezzi per intervenire. Spetta agli Stati membri agire e aiutare i paesi in difficoltà.

Negli ultimi trent’anni la lotta contro la povertà nel mondo aveva compiuto notevoli progressi. È preoccupata per i più poveri?
Sì, lo sono. I paesi ricchi hanno buone possibilità di far ripartire la propria economia a forza di misure. Nei paesi poveri la situazione è completamente diversa. C’è il grosso rischio che molte persone ricadano nelle trappole della povertà, soprattutto a causa di questa mancata assistenza da parte dei paesi ricchi. Ci attendono anni difficili.

Quali soluzioni raccomanda per rilanciare le economie?
Durante il picco dell’epidemia siamo stati costretti a indurre l’attività economica in coma farmacologico. Occorre assolutamente evitare che questa fase di coma si prolunghi a oltranza, dopo questo forte crollo dei consumi da parte delle famiglie. Se le persone non hanno più soldi smettono di consumare. E quando l’economia si risveglia non c’è più nessuno che compri i prodotti e i servizi venduti dalle imprese.

Rilanciando l’economia i governi non rischiano di essere sopraffatti da un capitalismo incontrollabile?
Non credo che siamo condannati ad andare in quella direzione. Sebbene gli economisti siano spesso pessimi pronosticatori, ritengo che non esista alcuna legge dell’economia che possa prendere il sopravvento, a meno che la risposta politica non sia debole o assente.

Non dovremmo emanciparci una volta per tutte dalla crescita e da questo indice del PIL, a vantaggio di un indice del benessere?
L'ossessione per il PIL è artificiosa. È sbagliato partire dal presupposto che le persone vogliano semplicemente consumare. La prova è il fatto che gli europei hanno abitudini di consumo diverse da quelle osservate negli Stati Uniti, e non sono più infelici. I nostri lavori hanno dimostrato che le differenze dipendono dall’esperienza, dall’ambiente e da altri fattori, come l’educazione, e che sono flessibili. Un’esperienza come quella che stiamo vivendo attualmente può modificare la percezione di ciò che è importante, le preferenze e quindi i comportamenti e le abitudini di consumo.

Esther Duflo: Nobel Prize Banquet Speech

Come far fronte all’automazione che minaccerà sempre di più i posti di lavoro?
Nel nostro libro, scritto prima della pandemia ("Una buona economia per tempi difficili, Laterza 2020, ndr.), parliamo di questo movimento di automazione eccessiva. I robot non si ammalano, non scioperano e beneficiano di un trattamento fiscale favorevole. L’automazione distrugge impieghi della classe media per creare posti di lavoro per persone altamente qualificate o molto poco qualificate. Quelle altamente qualificate sono più ricche e possono permettersi il lusso di assumere qualcuno per portare a spasso il loro cane, per esempio. Non si vede a Parigi, ma negli Stati Uniti è una prassi molto diffusa.
Più che la scomparsa del lavoro in quanto tale, ciò che mi preoccupa è che la polarizzazione degli impieghi lascia un vuoto nello spazio intermedio che interessa gli impiegati d’ufficio e gli operai qualificati.
Gli economisti pensano che si tratti di un fenomeno transitorio che si autoregolerà. Dopo la rivoluzione industriale è stato necessario attendere un centinaio di anni prima che tutti ritrovassero un lavoro. Non possiamo dire alle persone di aspettare così a lungo. Siamo all’inizio di questa transizione. La pandemia rischia di accelerare questo fenomeno a lungo termine. Non so se possiamo impedirlo, perché è lì che la china ci sta conducendo. Probabilmente possiamo accompagnarlo e assicurarci che gli impiegati siano formati, protetti nel caso in cui il loro posto di lavoro fosse a rischio.

La pandemia ha messo in luce il valore di alcune professioni legate alla cura e all'assistenza. Che cosa facciamo con questi lavori che si sono rivelati essenziali per la vita della società?
Abbiamo visto che il loro valore per la società è maggiore di quello che produce o rende al datore di lavoro. Per avere una società più armoniosa, questi lavori dovrebbero essere sovvenzionati dalla collettività. Così occuparsi dei bambini o prendersi cura delle persone anziane genererà sempre impieghi. Spero che questa presa di coscienza si traduca in misure concrete.

Quali altre lezioni possiamo trarre da questa pandemia?
Approfittiamo di questa crisi per riflettere su ciò che è importante per noi. Personalmente preferisco pensarci in un mondo che avrà trovato un vaccino.
Spero che non dimenticheremo troppo in fretta quello che ci è successo. Perché una crisi di questo genere può ripetersi. Teniamo a mente che in una situazione del genere abbiamo bisogno di un governo del quale ci fidiamo. Questo sport nazionale o internazionale - la Francia non è l’unico paese che lo pratica - che consiste nel volere distruggere la fiducia nei governi, è pericoloso. Questi ultimi realizzano interventi difficili e perciò è normale che non siano perfetti. Rendiamoci conto che se affidassimo gli stessi compiti al settore privato i risultati sarebbero in genere ancora peggiori.
L’altra lezione concerne il nostro rapporto con la natura. Questa esperienza è un forte appello in favore della transizione ecologica. Essa rafforza l’urgenza del messaggio ecologico. Sono ottimista riguardo al fatto che questo virus ci servirà da lezione e ci condurrà a una presa di coscienza ecologica. Comincia ad assumere un certo rilievo, soprattutto in Europa, grazie ai giovani. (da Réforme, intervista a cura di Nathalie Leenhardt, Massimo Prandi e Laure Salamon; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

Un Nobel in tutta semplicità
Nata a Parigi da madre pediatra e padre matematico, Esther Duflo ha ricevuto un’educazione protestante che ha influenzato il suo percorso, sebbene lei pensi che la difesa del più debole e la lotta contro le disuguaglianze siano valori più ampiamente umanistici. “Mi sono sempre chiesta, vista la fortuna di essere nata dove sono nata e quando sono nata, quale fosse la mia responsabilità nei confronti del mondo. È una domanda che mi è sempre sembrata del tutto naturale. Molto di recente mi sono resa conto che non tutti si ponevano questa domanda sotto il profilo della responsabilità. Il semplice fatto di interrogarsi in questo modo è abbastanza protestante”, riconosce. “E ho scelto di rispondere cercando di migliorare le condizioni di coloro che, uomini e donne, sono stati meno fortunati, a titolo individuale o collettivo”. Tuttavia, quando la si interroga sulla fede, Esther Duflo si sente a disagio. Non è il fatto di vivere nel paese di Donald Trump che le ha fatto perdere la fede, perché ha sempre dubitato dell’esistenza e della presenza di Dio. “Già alla confermazione descrivevo Dio come una forza che emana da una collettività, da una comunità di persone che vogliono lavorare insieme su un progetto positivo”.
Con il movimento che ha contribuito a creare mette in atto le sue convinzioni, ispirata probabilmente dagli anni passati con gli scout protestanti francesi, gli Éclaireuses et Éclaireurs unionistes de France (EEUdF). Il suo approccio non è del tutto lontano dai metodi provenienti dallo scoutismo: progettualità, valutazioni regolari, crescita personale. (LS)

Articoli correlati