Non abbandoniamo il Libano

L’accorato appello delle chiese di tutto il mondo a favore dei libanesi dopo la deflagrazione del 4 agosto a Beirut

05 settembre 2020

(gc/ve) Un tribunale internazionale per permettere un’inchiesta indipendente sulla devastante esplosione di Beirut dello scorso 4 agosto: è quanto chiedono il Consiglio delle chiese del Medioriente (MECC), l’Alleanza di “Action by Churches Together” (ACT Alliance) e il Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) con sede a Ginevra.

No all’impunità
A un mese dal disastro, che ha causato oltre 200 morti, decine di dispersi e 7000 feriti, i tre organismi ecumenici, in una dichiarazione congiunta indirizzata alla comunità internazionale, lanciano un appello a favore della popolazione di Beirut, in cui chiedono non solo un meccanismo umanitario globale di coordinamento e collaborazione con la società civile libanese, ma anche un’investigazione indipendente, perché “ci deve essere una reale responsabilità per questo disastro”, si legge nella dichiarazione. “Chiediamo alla comunità internazionale, attraverso l'ONU, di assicurare che le cause di questo disastro siano indagate e stabilite da un processo indipendente credibile, che i responsabili siano consegnati alla giustizia e che si eviti l'impunità”, scrivono i tre segretari generali degli organismi ecumenici MECC, ACTAlliance e CEC, rispettivamente Souraya Bechealany, Rudelmar Bueno de Faria e Ioan Sauca.

Souraya Bechealany

“Vogliamo un tribunale internazionale. Vogliamo la verità”, ha detto la teologa maronita Bechealany a Voce evangelica, aggiungendo: “Quello che temiamo è che l’intervento internazionale si riduca ai soli aiuti umanitari, per nascondere una verità che il mondo non vuole assumersi. Parliamo della più grande esplosione non nucleare della storia. L’11 settembre del 2001 il mondo si è fermato per capire cosa fosse successo negli Stati Uniti. Perché non cercare la verità dietro l’esplosione di Beirut?”.

Una crisi fuori dall’ordinario
L’esplosione di 2750 tonnellate di nitrato d’ammonio depositate da più di 6 anni in un hangar del porto ha devastato le abitazioni e l’economia locale di quello che era il cuore pulsante della capitale libanese causando 400.000 sfollati. Ma le sue conseguenze stanno ora aggravando una profonda crisi economica e sociale preesistente, con il 50% dei libanesi che vivono sotto la soglia di povertà. A questo si aggiunge la difficoltà di accogliere un milione e mezzo di profughi siriani, in un paese di poco più di 4 milioni di abitanti, nonché l’emergenza sanitaria, dovuta alla diffusione del Covid19, in una città che ha perso la funzionalità di almeno 3 ospedali.

Per permettere una ripresa sostenibile, che possa durare nel tempo, i tre organismi chiedono pertanto un impegno globale, non solo alla comunità internazionale, ma anche alle chiese membro e ai partner ecumenici di tutto il mondo. I segretari generali di MECC, ACTAlliance e CEC, uniscono la loro voce nel chiedere risorse - umane, finanziarie, comunicative/tecniche e spirituali - tese a sostenere il popolo libanese a superare questa profonda crisi.

Rischi e bisogni
“Come MECC abbiamo lanciato un appello subito dopo l’esplosione e sono già arrivati degli aiuti da alcune chiese membro - assicura Bechealany -. Abbiamo anche istituito una cellula di crisi e procederemo in tre fasi: più urgente è ora l’aiuto umanitario, forniremo quindi cibo e beni di prima necessità ai bisognosi; la seconda fase, che durerà un anno, avrà al centro i piccoli artigiani e l’economia locale che deve essere messa in grado di ripartire, la loro presenza è vitale per quei quartieri della città. La terza fase invece sarà dedicata al restauro degli edifici, affinché le persone possano tornare nelle loro case”. Tuttavia, aggiunge Bechealany, “è una corsa contro il tempo, perché ci sono già dei profittatori locali e internazionali che provano a trarre vantaggio dalla situazione per accaparrarsi le case della vecchia Beirut, quelle più pittoresche, ma anche più danneggiate. Il rischio è che i proprietari disperati accettino le allettanti offerte, con la conseguenza che gli inquilini si troverebbero sulla strada, e che venga rasa al suolo l’anima di Beirut per costruirci dei grattacieli. Non deve accadere!”.

Preservare il pluralismo
“Con tutte le tragedie e le sfide del suo passato e del suo presente, il Libano si pone come segno e simbolo della convivenza nella diversità”, affermano i tre segretari generali, ricordando il pluralismo religioso e sociale del Paese dei Cedri, nonché la risposta corale al disastro, arrivata dal basso, dalla società civile, soprattutto da molti giovani. “Un segno significativo di speranza che rafforza la capacità delle persone di superare questa enorme crisi e di ridare fiducia alla società per il futuro della nazione - affermano i tre leader cristiani, concludendo - : il popolo libanese merita il nostro sostegno per sopravvivere e resistere, e per ritrovare la speranza nel suo futuro”.

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