Come liberarci da Google nella vita quotidiana?

Passata la pandemia sarà necessario ragionare sullo spazio in cui viviamo

18 aprile 2020  |  Arturo Di Corinto

Zoom ci spia. La piattaforma per videoconferenze tanto in voga durante la quarantena passa(va) le nostre informazioni a Facebook. Lo stesso vale per altre app, siti e software che grazie ai dati generati dalle nostre interazioni creano profili statici e dinamici, singoli o aggregati, della nostra persona digitale, quella che ci precede nelle interazioni online e che viene usata da Amazon per decidere il prezzo da proporci quando navighiamo tra i suoi prodotti.

Il capitalismo delle piattaforme fa questo: estrae valore dalla profilazione degli utenti e dal data mining dei nostri comportamenti online. In questo modo le aziende sanno con precisione che cosa offrirci, quando, dove e a quale prezzo, sapendo già cosa siamo propensi a desiderare. Il loro modello di business è basato sulla conoscenza dei soggetti isolati e iperconnessi che più tempo passano con i loro software gratuiti più facilmente manifesteranno desideri, fragilità e sentimenti da soddisfare con un’azione: postare, condividere, cliccare, comprare. Ogni click diventa l’occasione per arricchire il nostro profilo psicometrico, venderlo al migliore offerente, anche per le campagne politiche. È così che Trump ha vinto.

Postare, condividere, cliccare, comprare: ogni "click" diventa l'occasione per arricchire il nostro profilo psicometrico

La colpa di un uso così disinvolto dei dati è anche nostra. Non abbiamo ancora capito il valore della nostra presenza online. I dati che generiamo quando siamo online indicano dei comportamenti e, in una società digitale, questi comportamenti sono trasformati in dati digitali. Il trattamento dei dati digitali consente di interpretate e spiegare i comportamenti passati ma anche di predire i comportamenti futuri. È così che i nostri dati vengono resi “produttivi”. Siccome quei dati possono essere venduti e comprati, le piattaforme ci offrono gratis i loro servizi. Ma quei servizi li paghiamo con i nostri dati.

Quando non paghi qualcosa il prodotto sei tu.

Per questo è importante proteggere i nostri dati digitali, anche imparando a capire se, come e quando ci conviene offrirli alle grandi piattaforme. Ci farebbe bene innanzitutto leggere i ToS, i Termini di Servizio di app, siti e software di uso comune: scopriremmo che Instagram diventa proprietaria delle nostre foto e che LinkedIn può geolocalizzare la nostra posizione o che WhatsApp non si ritiene responsabile della violazione di sicurezza delle nostre foto. Motivo in più per cancellare documenti, biglietti d’aereo, immagini amorose che ci scambiamo in chat.

I nostri dati vanno protetti per proteggere la riservatezza dei nostri comportamenti: come, quando con chi ci colleghiamo, ci amiamo, facciamo affari. Informazioni utili agli stati autoritari, a un parente geloso, a un concorrente sleale. I dati ci definiscono come buoni o cattivi consumatori, buoni o cattivi lavoratori, buono o cattivi vicini di casa. I dati indicano i nostri comportamenti sociali.

In tempo di crisi i governi sono tentati di limitare le libertà fondamentali introducendo nuove forme di sorveglianza.

È per questo che qualcuno ritiene lecito usarli per sapere se siamo usciti di casa durante la quarantena, dove siamo andati e con chi siamo intrattenuti. È lecito? Sì, a certe condizioni. Intanto la decisione di utilizzarli va presa in Parlamento, con leggi ad hoc che minimizzino la raccolta e il trattamento dei dati ai fini del contenimento della pandemia da Coronavirus. [...] Una volta presa la decisione bisogna comunicare con massima trasparenza l’uso che verrà fatto di quei dati e una volta terminata la necessità di usarli, vanno distrutti. La scelta non è tra la salute e la privacy, ma tra la possibilità di essere curati nel rispetto dei propri diritti ed essere curati nella totale mancanza di rispetto dei diritti.

Poi, finita la fase dell’emergenza potremo tornare a ragionare sull’uso dei software adottati nelle scuole, per lo smart working e per l’intrattenimento. Le aziende che divorano i nostri dati, li usano per raffinare i prodotti che ci offrono a pagamento. Esistono però molte alternative al mondo del software proprietario e commerciale che evitano di inviare in paesi stranieri, con ridotta protezione della privacy, i nostri dati personali e l’esito di ogni interazione elettronica. Degooglizzare la nostra vita non è facile, ma è importante gestire in maniera consapevole i dati prodotti. Non sappiamo infatti che uso potrà esserne fatto. D’altra parte chi si aspettava di dover stare chiusi in casa tutto questo tempo? (da: Riforma.it; adat. P. Tognina)

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