Che cosa verrà dopo la pandemia?

L'impatto della crisi su chiese e società. Intervista alla pastora Ilenya Goss

12 aprile 2020  |  Paolo Tognina

L'emergenza di coronavirus ci impone uno stile di vita diverso. Non avremmo mai pensato di dover restare così a lungo a casa, di dover limitare le interazioni sociali per spezzare la catena del contagio. È possibile ricavare qualcosa di positivo da questa situazione? Il parere della pastora evangelica valdese di Mantova, Ilenya Goss, medico chirurgo, teologa, membro della Commissione bioetica delle chiese valdesi, metodiste e battiste in Italia.

Come sta vivendo l'attuale crisi generata dalla pandemia?
Nei primi giorni ho soprattutto cercato strade per offrire aiuto, non solo per la comunità ma ovunque fosse possibile. Col passare dei giorni il lavoro si è intensificato. Ho dedicato molto tempo alla preparazione di lezioni online, ma anche ai contatti con le persone che paradossalmente sono aumentati attraverso le videochiamate, i messaggi e le telefonate.
Certamente sento di essere, in questo momento, tra i privilegiati che dispongono di spazi abitativi adeguati. Penso alla famiglie che invece vivono in queste ore, in questi giorni e settimane in condizioni di disagio.

Ilenya Goss, pastora valdese e medico chirurgo

Una Pasqua senza funzioni religiose. È uno choc per le chiese? Come affrontare questo vuoto?
Nelle prime settimane questa condizione ha provocato delle esitazioni, anche qualche polemica perché si parlava della chiusura dei locali di culto con accenti un po' di protesta. Oggi, chiaramente, in piena pandemia, l'atteggiamento è diverso e siamo peraltro tutti in questa condizione che tocca tutte le realtà religiose: penso al Seder di Pesach che è avvenuto in questi giorni e adesso al Triduo di Pasqua per le chiese cristiane.

Sento un richiamo molto forte a capire che cosa stavamo facendo.

Certo, lo choc esiste, la condizione di vuoto la sentiamo tutti. Alcune chiese certamente la sentono con più intensità, per ragioni teologiche, ecclesiologiche, liturgiche, per il significato che viene attribuito al culto, alla celebrazione. Altre chiese possono essere più pronte a reinventarsi delle modalità di contatto comunitario. Verificare come abbiamo reagito sarà importantissimo per capire come andare avanti dopo, e personalmente sono convinta che questo stop abbia molto da insegnarci e che ci possa educare e possa essere colto anche come una occasione molto preziosa per fare una revisione accurata sul nostro essere comunità.

Nelle scorse settimane - e forse la cosa proseguirà -, le chiese hanno promosso molte attività online. Un'alternativa valida? O c'è stata un'esagerazione?
All'inizio notavo una fioritura un po' disordinata di queste attività online che adesso sembra stia prendendo quasi un ritmo suo, a cadenza regolare. Su questo argomento mi sento di fare due osservazioni. La prima, credo che una delle spinte a trasferirsi nella realtà virtuale sia stata per così dire fisiologica perché tutto il mondo lo fa - penso allo smart working e a tutte le attività che si fanno online -, quindi era ovvio che anche le chiese andassero in quella direzione. Questo fatto ci dovrà portare però a studiare l'uso corretto di questi mezzi, i suoi limiti, le funzioni che può avere. Inoltre dovremmo approfondire l'adeguamento dei linguaggi perché non si può usare online lo stesso linguaggio usato in altri contesti.

Questo obbligo a stare soli ci chiama a ubbidire a una situazione concreta in cui possiamo cogliere un insegnamento.

La seconda osservazione è dettata dall'impressione che dietro questo correre sui social ci fosse anche una sorta di horror vacui per cui si correva a riempire il tempo nello spazio virtuale per timore di perdersi, quasi un bisogno di controllare la situazione riproponendosi in modi alternativi perché il silenzio e l'assenza imposti risultavano intollerabili. E su questo invece io sono molto critica, perché credo che nelle limitazioni imposte alla vita comunitaria ci sia un senso profondo da cogliere che va al di là del rispetto della regola di sicurezza sanitaria. Detto in altre parole, penso che si possa leggere l'assenza di riunioni come un richiamo molto forte a capire che cosa stavamo facendo, e quindi a verificare la salute delle comunità e i rapporti che abbiamo tra di noi.

Parlare di Dio al tempo del virus (Segni dei Tempi RSI)

Questa pandemia cambierà le chiese, il loro modo di interpretare l'essere comunità?
È un'occasione e come ogni crisi possiamo uscirne rinnovati oppure rovinati. Ecco perché penso che ricorrere spaventati a tutti i mezzi per sostituire le attività comunitarie, culto compreso, in modalità online non sia la risposta sufficiente anzi, che questa risposta rischi di sottrarci a ciò che invece dobbiamo fare.
Da cristiani protestanti a maggior ragione credo che possiamo cogliere più facilmente l'appello ad assumere ciascuno, individualmente, la responsabilità della propria vita interiore. Questo obbligo a stare soli ci chiama a ubbidire a una situazione concreta in cui possiamo cogliere un insegnamento. Penso che sia più pedagogico permettere alle persone di prendere cura della loro preghiera, della loro vita interiore - naturalmente fornendo tutto il supporto necessario -, e anche accettare questa solitudine che non riempirle di contenuti. Se le nostre comunità devono essere dei luoghi dove si vive l'amore reciproco, una consapevolezza individuale e una capacità di assumere responsabilità personale sulla propria vita, sulla vitalità della propria interiorità, sono una base imprescindibile.

Come usciranno le nostre società occidentali da questa crisi? Ritorneremo al "business as usual", o c'è la possibilità che si rifletta su un cambio di paradigma?
A questo proposito riprendo in parte il discorso fatto per le chiese dicendo che la crisi è un'occasione. Certamente questa crisi è drammatica, ci stiamo giustamente preoccupando dei morti di Covid19, ma ci saranno altre vittime nel tempo perché ci saranno molti che scenderanno sotto la soglia di povertà, e in alcuni paesi questo scendere sotto la soglia di povertà vorrà dire anche non potersi curare. Quindi ci sarà un impatto su tutte le fragilità. Penso in questo momento alle persone fragili dal punto di vista psichico, al tipo di impatto che ci sarà ad esempio sulla capacità lavorativa, conservata, limitata, lesionata. Ci sarà un impatto sui rapporti economici, sui rapporti politici internazionali. Stiamo vedendo gli effetti sull'Europa, ma non è solo l'Europa.

La pandemia avrà un impatto su tutte le fragilità.

Dunque lo scenario di certo non sarà come prima. Il rischio che intravvedo è che non si riescano invece a cambiare le regole: cambia lo scenario ma non cambiano le regole e se non cambiano le regole - e dunque se le vecchie regole vengono riapplicate -, l'effetto è devastante. Sarà possibile far valere, solo per fare un esempio, l'idea di rapporti cooperativi anziché competitivi anche in economia? Le forze che operano a favore del cambiamento di questi rapporti riusciranno ad affermarsi oppure cambieranno semplicemente i rapporti di forza? O vedremo la riproposizione del vecchio meccanismo, cioè dello stesso gioco, su uno scenario cambiato? 

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