La violenza non educa

Myriam Caranzano: "Per far crescere un bambino ci vuole un intero villaggio"

04 dicembre 2019

(Gaëlle Courtens) In Svizzera due terzi dei giovani hanno subito qualche forma di violenza da parte dei loro genitori. Lo afferma uno studio realizzato lo scorso anno dalla Scuola universitaria professionale di Zurigo (ZHAW) e dalla Haute école de travail social di Friburgo (HETS), al quale hanno partecipato oltre 8'000 giovani tra i 17 e i 18 anni di dieci cantoni. Il 41% dei giovani dice di aver ricevuto schiaffi o strattoni, il 22% pugni, calci o botte. Lo studio conferma quello che gli esperti sanno da tempo e che numerose altre ricerche dicono: in Svizzera vige una cultura educativa violenta.

Myriam Caranzano

Ne abbiamo parlato con la dottoressa Myriam Caranzano, medico pediatra, madre di quattro figli e nonna, in prima linea sul fronte della promozione dell’unica cultura che può contrastare quella della violenza: la cultura del rispetto. Direttrice dell'ASPI, Fondazione della Svizzera italiana per l’aiuto il sostegno e la protezione dell’infanzia con sede a Lugano-Breganzona, con il suo staff ha lavorato sui temi della prevenzione coinvolgendo più di 55’000 bambini, e decine di migliaia di genitori e insegnanti in Ticino. Caranzano è impegnata non solo localmente, sul territorio, ma anche a livello globale. Nella sua veste di membro del Consiglio esecutivo dell’ISPCAN (International Society for Prevention of Child Abuse and Neglect), promuove la protezione dei minori in tutto il mondo. In quanto tale ha anche partecipato a riunioni con il Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) di Ginevra, da alcuni anni impegnato insieme all’Unicef nella lotta alla violenza contro i bambini e le bambine.

Dottoressa Caranzano, due terzi dei ragazzi e delle ragazze in Svizzera ha subito in ambito domestico qualche forma di violenza. Dal suo osservatorio si sente di confermare queste cifre?
Assolutamente sì. Anzi, sono sottostimate. Per tanti adulti questi gesti detti “educativi” basati sulla forza fisica o psicologica, sul potere dell'adulto su un bambino, non sono considerati come violenza. Cambiando prospettiva: alzi la mano chi non ha mai ricevuto una sberla in vita sua? Quando lo faccio nei miei corsi le mani che si alzano sono pochissime. E ciò è la dimostrazione che fa parte ancora di una mentalità, dove chi ha il potere, in questo caso l’adulto, può permettersi quasi tutto su chi non ce l'ha.

È vero che una sola sberla può avere effetti nocivi sui bambini?
Il nostro corpo e il nostro cervello reagiscono ad ogni cosa che viviamo. Quando il bambino riceve una sberla o sente le urla, ha delle reazioni fisiologiche da stress. Anche se succede una volta soltanto, lo spavento resta comunque. Nel cervello del bambino rimane la memoria, al pari di una cicatrice.

Chi cresce in un ambiente violento tende a riproporre gli stessi modelli educativi?
Il rischio è molto elevato. Le prime cose che impariamo sono quelle che rimangono per tutta la vita. Perciò, chi ha subito violenza da bambino rischia di averla assimilata come normalità.
Questo non significa che da parte del genitore non ci possa essere una presa di coscienza e il rifiuto di riproporre le stesse pratiche violente. Ma dovrà fare un grosso sforzo per trovare altre modalità. Praticamente si tratta di imparare un'altra lingua, e di archiviare quella vecchia. E c’è chi ci riesce.

La violenza è sempre dannosa e non abbiamo alcuna scusa per non impegnarci per cambiare mentalità e imparare a educare con autorevolezza e benevolenza

La sua Fondazione ha come missione quella di promuovere una “cultura del rispetto” nei confronti dei bambini. Può spiegare meglio di cosa si tratta?
È semplice: il bambino è una persona esattamente come gli adulti e merita rispetto. Oltre al rispetto, il bambino ha anche bisogno di essere protetto e guidato nella sua crescita. Non deve mai essere trattato come un essere inferiore, o che non capisce. Capisce, però a modo suo, e con gli strumenti che in quel momento del suo sviluppo ha a disposizione. In altre parole: non c'è nessun motivo che possa giustificare di fare qualche cosa a un bambino che non si farebbe a un adulto.

Si fa presto ad incriminare i genitori, in fondo si tratta del mestiere più difficile al mondo. Come aiutarli?
Porre fine alla violenza sui bambini è un obiettivo dell'ONU, e quindi un nostro obiettivo, che può essere raggiunto solo fornendo sostegno alla genitorialità. L'ASPI ha diversi progetti rivolti sia ai bambini, che ai genitori, ma anche ad insegnanti ed educatori. È un lavoro corale, che vede il contributo di molti. Da diversi anni collaboriamo per esempio con la Conferenza cantonale dei genitori e il Forum per la genitorialità.

Come valuta il trend in Svizzera? Negli anni la situazione è migliorata?
Certamente si può parlare di una maggiore presa di coscienza. Sono sempre più i genitori che si rendono conto che bisogna cambiare, anche frequentando corsi. Un miglioramento c’è, ma è appena percettibile e comunque troppo lento. Ritengo che in Svizzera andrebbe introdotta una legge ad hoc per cambiare la mentalità. In tanti paesi del mondo è dimostrato che dal momento che c'è una legge contro la violenza e i maltrattamenti degradanti e umilianti sui bambini, le cose cambiano.

Lei è impegnata in prima persona su questo fronte?
Credo che bisogna fare pressione sui politici. Per questo sono testimonial per la campagna “Keine Gewalt gegen Kinder” (No alla violenza sui bambini), con la quale raccogliamo firme per promuovere una legge sul divieto delle punizioni corporali e della violenza psicologica sui minori. La tematica è stata portata in Parlamento già diverse volte, ma senza successo.
Ancora troppo spesso succede che casi portati in tribunale considerano atti di violenza sui bambini come “educativi”, e quindi non punibili. Se ci fosse una legge metterebbe chiarezza per tutti, non solo a livello penale, ma sarebbe uno strumento utile anche per l'assistente sociale, lo psicologo, il docente.

Insomma, educare senza violenza si può?
I bambini hanno bisogno di essere educati, è un loro diritto. Lo prevede l'articolo 29 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo. Non si tratta di non educare, ma di come farlo. Come buona prassi direi: non fare niente a un bambino che non vorreste fosse fatto a voi. Che poi, è anche un discorso evangelico. Lo dice Gesù: "ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Matteo 25,40). Vale nel bene e nel male. Mi piace anche il detto “per far crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”. In questo villaggio ci siamo tutti, ci siete voi, ci siamo noi, c’è tutta la società.

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