Nuovo carcere cantonale apre nei Grigioni

Il pastore Andreas Rade è il cappellano del nuovo penitenziario

15 ottobre 2019

(Rita Gianelli) Dal suo ufficio, la direttrice del carcere cantonale Sennhof vede ancora le case plurifamiliari nella città vecchia di Coira. Ben presto, però, Ines E. Follador-Breitenmoser e la sua squadra lavoreranno, dietro le mura, ai piedi dell’Heinzenberg, circondati da boschi e prati, nel nuovo carcere cantonale di Cazis-Tignez (nella foto). Un perimetro di sicurezza costituito da un muro di  cemento alto sette metri, una recinzione di contenimento alta tre metri, una recinzione di sicurezza dotata di rilevatori e un sistema di rilevamento di droni dovrebbero impedire le evasioni. “Nel carcere Sennhof c’era soltanto il muro perimetrale”, dice non senza rimpianto. “Eppure quell’edificio aveva un certo fascino”.

Il nuovo carcere (video)

Città nella città
Da otto anni Follador-Breitenmoser dirige il più grande carcere chiuso del cantone. Quando all’inizio del 2020 i circa trenta detenuti verranno trasferiti a bordo di autobus scortati da un convoglio di polizia nel nuovo penitenziario chiuso di Cazis miglioreranno anche le loro condizioni detentive. Invece di 8,4 metri quadrati le celle sono ora conformi alla norma di 12 metri quadrati. Nelle nuove cosiddette esecuzioni di gruppo è possibile anche mangiare insieme. Finora i detenuti mangiavano nelle rispettive celle con la porta aperta. C’è una palestra, un campo da basket e uno da calcio. “I detenuti possono sentire erba vera sotto i piedi”, dice Follador-Breitenmoser. Ciò non toglie che la maggior parte dei detenuti resterà dietro le sbarre per anni. Esclusa dalla società. Una piccola città nella città.

Il carcere dispone di servizi sociali, servizio medico, biancheria intima, falegnameria, industria e un atelier. Tutto ciò ha lo scopo non ultimo di contribuire alla riabilitazione dei detenuti. “In Svizzera non esiste più il carcere a vita. Ogni detenuto ha la possibilità di tornare in libertà prima o poi”, dice Follador-Breitenmoser.

Andreas Rade, cappellano del carcere

Anche l’assistenza spirituale in carcere può agevolare il reinserimento sociale dei detenuti. Il pastore di Coira Andreas Rade lavora da tre anni nel carcere chiuso di Sennhof e in quello aperto di Realta. Quando gli si chiede che cosa sia per lui una pena ragionevole non si limita a dare una risposta. Un reato penale è sempre anche un disturbo nelle relazioni tra esseri umani. Scopo della pena dev’essere quello di andare alla radice delle cause di questo disturbo e di porvi rimedio, afferma Rade. È un aspetto che non può sempre essere preso in considerazione nei regimi carcerari chiusi. “Il semplice fatto di scontare una pena non cancella la colpa”.

Choc salutare
Da un punto di vista teologico l’esecuzione delle misure dovrebbe essere al servizio della vita. Com’è il caso, per esempio, della “giustizia riparativa”. Il colpevole viene messo a confronto con il suo reato, se possibile con la partecipazione di tutte le persone coinvolte. Questo processo può essere avviato anche nell’ambito di colloqui con altre persone che sono state esse stesse vittime di un reato. La pena ha quindi un senso, afferma Rade, quando il colpevole o la colpevole acquisisce consapevolezza ed è disposto a lavorare su sé stesso. Come cappellano carcerario si lascia guidare dalla cosiddetta regola d’oro: “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”. “Questa prospettiva si applica a tutte le religioni”.

La pena ha senso quando il colpevole o la colpevole acquisisce consapevolezza di ciò che ha commesso

Frank Stüfen, responsabile del corso di studi "Assistenza spirituale nell’esecuzione delle pene e delle misure", ha conosciuto i metodi della “giustizia riparativa” lavorando con i detenuti in Sudafrica. Un modello adottato, oltre che in molti paesi europei, anche in Canada, in Australia e in Thailandia. Come teologo non crede che le pene abbiano effetti positivi. Perché la pena è sempre determinata a partire da un deficit. Tuttavia lo sorprende come molti autori di reati accettino di buon grado la pena loro inflitta. “Una breve privazione della libertà può essere uno choc salutare e strappare via qualcuno dalla strada sbagliata”.

Ines Breitenmoser, direttrice del carcere

L’obiettivo di una routine carceraria rigorosamente strutturata, afferma Ines E. Follador-Breitenmoser, consiste anche nell'indicare ai detenuti percorsi diversi da quelli a cui erano abituati. “Ci sono persone che in carcere sperimentano per la prima volta nella loro vita una routine quotidiana regolare e si rendono conto di ciò che questa può dar loro”. (da reformiert.; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

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