La democrazia liberale è in pericolo?

Ma l’ideale democratico rimane attraente in tutto il mondo

02 settembre 2019  |  Louis Fraysse

Che cosa si intende esattamente per democrazia? E da dove viene l’idea che questa forma di governo sia la più naturale, quella verso la quale porta il progresso?

Una questione di definizione
In un articolo intitolato “La fine del momento democratico?”, il politologo Zaki Laïdi sostiene che bisognerebbe innanzitutto mettersi d’accordo sulla definizione di democrazia. Ma non è per niente semplice. Come minimo, si caratterizza quale democratico un sistema nel quale le elezioni sono libere. La democrazia non è allora che un modo di scegliere i propri rappresentanti. Se ci si attiene a questa definizione non si può non affermare che la democrazia avanzi: nella storia le elezioni libere non sono mai state così numerose, anche se, a seconda dei paesi e degli scrutini, il livello di libertà può variare significativamente.

Victor Orbàn

La storia della democrazia è anche quella della lotta intorno alla sua definizione

Questa definizione ha il merito della semplicità. Il suo limite, tuttavia, è quello di mettere sullo stesso piano due tipi di governo: le democrazie liberali occidentali e le democrazie cosiddette “illiberali”, le cui punte di diamante in Europa sono l’Ungheria di Viktor Orbán e la Polonia di Andrzej Duda. Da diversi anni questi ultimi hanno moltiplicato i colpi inferti alle libertà civili e allo Stato di diritto: è allora lecito parlare ancora di democrazia?
“Nel corso della storia sono coesistite due visioni dell’ideale democratico", sottolinea Loïc Blondiaux, professore di scienze politiche all’Università Parigi 1. "Una ha posto l’accento sulla sovranità del popolo, sul principio della volontà maggioritaria espressa attraverso il suffragio universale. L’altra ha invece insistito sullo Stato di diritto, l’uguaglianza, le libertà civili e i meccanismi che impediscono alla maggioranza di tiranneggiare le minoranze”.

Il politologo Yascha Mounk afferma che nelle società occidentali è stato l’ideale delle libertà che ha prevalso, a scapito a volte di quello della sovranità del popolo - quest’ultimo progressivamente marginalizzato nel processo decisionale. Le democrazie illiberali fanno prevalere questa sovranità popolare, questa volontà della maggioranza, per mettere in discussione un certo numero di libertà”.

La fine della storia
Facciamo un passo indietro, all’inizio degli anni Novanta. La caduta del muro di Berlino nel 1989 e la dissoluzione dell’URSS due anni dopo hanno convinto certi teorici delle relazioni internazionali del trionfo definitivo del “modello” democratico. Agli occhi dell’influente politologo americano Francis Fukuyama la sconfitta del contromodello sovietico segnerebbe la “fine della storia”, ossia la vittoria della democrazia liberale, definita da elezioni libere, diritti individuali e liberalismo economico.

Vladimir Putin

I pensatori neoconservatori cercano allora di estendere il proprio vantaggio. La sconfitta dell’URSS, sostengono, ha dimostrato la “legittimità” del modello democratico. A conferma di ciò citano la spettacolare ondata di democratizzazione degli ex paesi del blocco sovietico: ogni popolo vuole la democrazia. Quest’ultima diventa pertanto lo standard in base al quale giudicare la legittimità di un governo. A rischio di incoraggiare e persino provocare cambi di regime. La strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti del 2002, che definisce gli orientamenti del paese in politica estera, è limpida al riguardo: “Gli Stati Uniti faranno tutto ciò che è in loro potere per portare la speranza della democrazia, dello sviluppo, del libero mercato e del libero commercio in ogni angolo del mondo”.

Democrazia, sviluppo, libero mercato e libero commercio devono arrivare in ogni angolo del mondo

Il seguito è noto. L’invasione dell’Iraq nel 2003, che combina interessi economici e geopolitici con una dimensione morale, è un palese fallimento. I suoi effetti sulla regione si fanno ancora sentire. “L’idea soggiacente, tra i neoconservatori, era anche quella di garantire l’ordine mondiale, secondo la teoria che le democrazie non si fanno la guerra”, sostiene Dario Battistella, professore di scienze politiche a Sciences-Po Bordeaux. “Da qui la volontà, per alcuni, di ‘trasformare’ le dittature in democrazia, anche con la forza. Ma l’imposizione forzata della democrazia è un’assurdità, perché nessuno vuole vedersi imporre dallo straniero il tipo di regime che dovrebbe adottare”.

La statua di Saddam Hussein

L’errore dei neoconservatori, secondo Zaki Laïdi, è quello di aver attribuito alla democrazia una capacità ch’essa non ha, quella di poter risolvere un problema nazionale. Lo stallo democratico in Iraq o ancora in Bosnia Erzegovina si spiega con il fatto che questi paesi non coniugano progetto nazionale e progetto democratico.

Putin e Xi Jinping
L’unico prerequisito universale della democrazia, prosegue Zaki Laïdi, è l’esistenza di un démos, un popolo, che si accorda per consenso sulla sua natura, sul suo futuro e sui suoi confini. Senza di questo, per quanto le elezioni possano essere libere, non faranno che avallare le divisioni etniche, religiose o politiche e consacrare il potere della maggioranza sulle minoranze.

Il sintomo più evidente di questa crisi dell’ideale democratico, comunque, arriva dagli Stati Uniti. “Con la dottrina dell’America first, Donald Trump sostiene la sua volontà di rifocalizzarsi sugli Stati Uniti e non ha alcun interesse alla promozione della democrazia o dei diritti umani nel mondo”, osserva Dario Battistella. “Il futuro ci dirà se la sua presidenza costituiva soltanto una parentesi o l’avvio di una tendenza di fondo”.

Donald Trump

Il sintomo più evidente della crisi dell’ideale democratico arriva dagli Stati Uniti

Questo significa che la democrazia, alla fine, non ha carattere universale? Quest’ultimo, ricorda il filosofo Florent Guénard nella sua opera “La Démocratie universelle” (“La democrazia universale”), è un’eredità della Rivoluzione francese. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo, afferma, “dà corpo all’idea di un presunto universalismo democratico e alimenta la speranza di un’espansione senza limiti della libertà politica”.

Per quanto maltrattato, l’ideale democratico non ha ancora detto la sua ultima parola

I problemi sono sorti quando si è voluto fare della democrazia un modello da esportare, un piano da applicare. Se c’è universalità, sostiene il filosofo, è nel concetto che l’idea democratica costituisce un “linguaggio” di valori comuni a popoli differenti: “La sua forza risiede nella sua potenza evocatrice, non nella forma di governo che propone”. (da Réforme; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

La Turchia ai tempi di Erdogan (Segni dei Tempi RSI La1)

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