Un alleluia per Hong Kong

L'inno della protesta di Hong Kong è un canto cristiano, “Alleluia al Signore”

24 luglio 2019

(Gabrielle Desarzens) A Hong Kong i manifestanti cantano “Sing Hallelujah to the Lord” (“Canta alleluia al Signore”) davanti alle forze dell’ordine. Questo grido di battaglia, a tutta prima sorprendente, è pragmatico. Con il pretesto delle “rivolte” le forze dell’ordine hanno infierito contro i cittadini che scandivano slogan politici. Nella megalopoli del sud-est della Cina, però, le riunioni di preghiera cristiane, anche spontanee, sono legali e non sono quindi incluse nella definizione di “assembramenti” che il governo potrebbe proibire. La scelta di un canto cristiano è anche legata al fatto che gli abitanti di Hong Kong identificano il cristianesimo con valori positivi, come la libertà d’espressione.

Canta alleluia al Signore

A Hong Kong il 10% della popolazione è cristiana. I credenti, numerosi nelle fila dei manifestanti, temono un avvicinamento alla Cina, dove il presidente Xi Jinping conduce una forte repressione nei confronti delle religioni.

Chiese in prima fila
Le chiese cristiane sono coinvolte nel movimento di protesta. I loro responsabili hanno lanciato un appello ai fedeli affinché prendano parte alle manifestazioni. Tra di essi vanno ricordati il cardinale Joseph Zen, salesiano e vescovo emerito di Hong Kong dal 2009, noto per le sue prese di posizione contro il governo di Pechino, e il pastore battista Chu Yiu-ming, il quale aveva già partecipato a un movimento per il diritto di voto nel 2017 e fa parte dei leader religiosi che oggi manifestano quotidianamente.

Chu Yiu-ming

"Sing Hallelujah to the Lord" è un inno di origine protestante composto negli anni Settanta del secolo scorso in California da Linda Stassen, membro del movimento hippie evangelico dei Jesus People. Da allora è stato ripreso da numerose comunità, sia protestanti sia cattoliche, e tradotto in varie lingue. A Hong Kong, quel canto esprime un desiderio di libertà e di pace qualunque sia la fede di chi lo intona.

Manifestazioni a Hong Kong

La protesta a Hong Kong
La contestazione di una parte della popolazione di Hong Kong contro il governo pro Pechino di Carrie Lam ha assunto una dimensione completamente nuova lo scorso 1. luglio, anniversario della restituzione dell’ex colonia britannica alla Cina. Mentre una folla immensa marciava per reclamare riforme democratiche e il ritiro definitivo di un disegno di legge controverso, una parte dei manifestanti è riuscita a entrare nel Parlamento locale, saccheggiando l’immobile, coprendo le pareti di graffiti e gettando a terra i ritratti dei dirigenti.

I protestanti chiedono riforme democratiche e il ritiro di una legge controversa sulle estradizioni verso la Cina

A giugno due gigantesche manifestazioni avevano riunito ognuna oltre un milione di persone per protestare contro un disegno di legge che autorizzava le estradizioni verso la Cina continentale. Questo disegno di legge, che avrebbe interessato i sette milioni di abitanti della megalopoli, ma anche i cittadini cinesi e stranieri residenti a Hong Kong, era per i manifestanti un ulteriore segnale della volontà di Pechino di accrescere il dominio sul loro territorio semiautonomo. Di fronte alla pressione della piazza il capo dell’esecutivo Carrie Lam ha sospeso l’attuazione della legge, ma non l’ha comunque ritirata.

Ex colonia britannica
Hong Kong è ritornata alla Cina nel 1997. La restituzione fu accompagnata da varie condizioni, la principale delle quali era che il territorio potesse continuare a seguire le regole del capitalismo internazionale per un periodo di cinquant’anni. La stampa ufficiale cinese continua a ripetere che Hong Kong è una parte “inalienabile” della Cina. Malgrado ripetute manifestazioni favorevoli alla democrazia, una consistente minoranza della popolazione di Hong Kong sostiene la linea pro Pechino e approva gli interventi della polizia. (ProtestInfo; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

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